“Il dissenso non si rinchiude in un museo”, è il messaggio del Cua, che davanti ad un ingente spiegamento di celere ha bloccato per ore l’ingresso per poi muoversi in corteo: “Ci hanno chiuso le porte della cultura in faccia. È questo il trattamento riservato a studentess3 che non possono permettersi di pagare 15 euro?”.
“Vivere la città significa casa, significa biblioteche, significa mostre, significa ristoranti, significa concerti, significa qualunque spazio di vita!”. Con queste premesse il Cua ha deciso di promuovere per la giornata di oggi un’autoriduzione del biglietto di accesso alla mostra “Jago, Banksy, TVboy e altre storie controcorrente” in corso a Palazzo Albergati, raggiungendo collettivamente la sede dell’esposizione con partenza da via Zamboni 38. Originariamente l’iniziativa era stata programmata per lo scorso 17 novembre e poi rinviata a causa dello sgombero di via Oberdan 16. L’intenzione era quella di “trattare il prezzo per l’ingresso alla mostra”, ma “la risposta che abbiamo ricevuto- riferisce il collettivo- non è stata una risposta: siamo stat3 subito accerchiat3 da cinque macchine della celere e da decine di sbirri con manganelli in mano e caschi blu in testa. Ci hanno chiuso le porte della cultura in faccia. È questo il trattamento che riservate a dell3 studentess3 che non possono permettersi di pagare una mostra 15 euro? In tant3 abbiamo bloccato l’ingresso di Palazzo Albergati per più di due ore, fino alla sua chiusura, e a quel punto ci siamo moss3 liber3 per le strade della città attaccando opere di quella mostra a cui oggi non abbiamo potuto partecipare”.
E allora: “Grazie per la vostra performance vergognosa, la incorniceremo e le daremo un titolo degno di nota. Poi la esporremo nelle cento, mille altre occupazioni che nasceranno sotto i vostri nasi coperti da caschi antisommossa. Grazie per aver dimostrato che abbiamo ragione, per aver dimostrato quanto fanno paura alla città studentess3 e precari3 che si organizzano per appropriarsi dei loro desideri. All’interno di un contesto governativo che incita l’umiliazione, diciamo: non ci vergognamo di essere pover3, ma siamo stanch3 di esserlo! Ma le porte chiuse si aprono, le mura si scavalcano, i cancelli si abbattono, la nostra pretesa di lusso è solo iniziata e siamo pront3 a darle gambe!”, promette il collettivo.
“Siamo ormai stanch3 della precarietà a cui siamo relegat3 nella vita di tutti i giorni tra studio e lavori estenuanti, tra affitti altissimi e una socialità troppo cara, tra necessità di autodeterminazione e vincoli economici e burocratici che ci incatenano alle nostre condizioni di provenienza”, aveva scritto il Cua per lanciare l’autoriduzione: “Strappandoci via il tempo della nostra vita, tentano di rinchiudere la nostra capacità di immaginazione nelle stringhe di un mondo che non ci offre abbastanza, ma che vive di abbondanza e consumo sfrenato. Quest’abbondanza la vogliamo anche noi, ci spetta tutta e non ci accontenteremo degli scarti. Non lasceremo che la nostra creatività sia consumata dalla precarietà sistemica delle nostre vite. Rompiamo insieme le righe di un sistema che ha rinchiuso il dissenso in una bolla!”.
La mostra di Palazzo Albergati raccoglie “alcune delle opere più anticonformiste del nostro tempo, con autori quali Jago, Banksy e Tvboy. L’ennesimo tentativo- scrivono le/gli attiviste/i- di assorbire la controcultura e il dissenso incastrandolo in quella stessa rete che gli artisti in questione cercano di tagliare, offrendo uno sguardo sul presente che permetta di immaginare, tramite l’arte, un mondo diverso. Così facendo ogni istanza di lotta contro questo modello di mondo viene richiusa negli schemi preesistenti e di conseguenza viene ammansita, con il preciso scopo di impedire qualsiasi sguardo sul presente che sia fuori dagli immaginari che vengono proposti. Ma noi vogliamo dare vita a quel dissenso! Vogliamo che ispiri i nostri ragionamenti e che infuochi la nostra lotta”, non lasciando “che venga rinchiuso tra le mura di un museo rimanendo fruibile ai pochi che possono permettersi il prezzo del biglietto. Nasce dunque spontanea la necessità di riprenderci le nostre vite rifiutando la precarietà in cui siamo incatenat3, di avere accesso libero e gratuito alla cultura e all’arte così da poter ridipingere collettivamente il mondo in cui vogliamo vivere, partendo dai nostri desideri”.