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Varese / Giuseppe Uva, cronaca di un’assoluzione annunciata

Colpo di spugna sulla verità: assolti due carabinieri e sei poliziotti dall’accusa di omicidio preterintenzionale per la morte, nel 2008, dell’operaio quarantatreenne.

16 Aprile 2016 - 10:00

Di Checchino Antonini da Popoff

Giuseppe UvaLa corte d’assise di Varese ha appena assolto i due carabinieri e i sei poliziotti dall’accusa di omicidio preterintenzionale e altri reati nel processo con al centro la morte di Giuseppe Uva, deceduto all’ospedale di circolo di Varese nel giugno 2008 dopo aver trascorso parte della notte nella caserma dei Carabinieri. Dopo la lettura della sentenza gli imputati si sono abbracciati, esultando, mentre una parente dell’uomo è uscita dall’aula gridando.

Assolti perfino dall’accusa di arresto illegale, nel frattempo riqualificata in sequestro di persona, e piuttosto semplice da dimostrare. «Hanno cercato e ottenuto l’assoluzione piena e più ampia possibile», commenta a caldo Fabio Ambrosetti, legale della famiglia Uva al termine di una giornata di attesa tesissima. Fra novanta giorni le motivazioni e subito dopo il deposito dell’appello da parte della famiglia Uva. «Un’assoluzione largamente annunciata – commentano a caldo gli attivisti di Acad che da tempo seguono il caso- continueremo a sostenere la lotta di Lucia per verità e giustizia». Infatti, Il pubblico ministero, non aveva tenuto conto, nella sua requisitoria delle dichiarazioni della dottoressa Finazzi. A lei, prima di morire in ospedale, Giuseppe Uva ha confidato che uno dei carabinieri, quella sera, al momento del fermo, disse: «Uva, era proprio te che cercavo». Proprio come ha sempre sostenuto Alberto Biggiogero. Il pm, secondo la parte civile, non ha voluto distinguere tra le macchie ipostatiche e i segni delle lesioni, certificati dall’autopsia e dalla Tac eseguite dopo la riesumazione del cadavere. Giuseppe Uva non è morto di botte, secondo la parte civile, è morto per una serie di concause, tra cui le percosse che ha ricevuto in caserma quella notte. E che hanno contribuito a scatenare la tempesta emotiva che gli ha fatto fermare il cuore.

Il pm ha perfino messo in dubbio che i pantaloni consegnati da Lucia Uva dopo la morte di Giuseppe fossero quelli effettivamente indossati dal fratello la notte in cui è stato portato in caserma. All’altezza del cavallo, su quei pantaloni, c’è una grossa macchia di sangue, composta da cellule di origine anale. Com’è possibile ipotizzare che non fossero quelli indossati da Giuseppe nella sua ultima notte di vita?

«Continueremo la nostra battaglia», dice Lucia, scossa dalla sentenza. Si è presentata in aula con una maglietta con stampata la foto del fratello e la scritta ‘Giuseppe Uva-aspetto giustizia’. Dopo la sentenza ne ha indossato un’altra: ‘assolti perché il fatto non sussiste’.

Secondo i familiari, parti civili nel processo, Uva avrebbe subito violenze da parte delle forze dell’ordine, dopo essere stato fermato assieme all’amico Alberto Biggiogero mentre, in stato d’ebrezza, spostava alcune transenne nel centro di Varese. La Procura di Varese non ha riscontrato comportamenti scorretti da parte delle forze dell’ordine e, nelle scorse udienze, il procuratore Daniela Borgonovo aveva chiesto l’assoluzione. Un’istanza analoga è stata avanzata dalle difese. Tutto ciò a quasi otto anni dai fatti e dopo una faticosissima battaglia legale per smontare la prima versione ufficiale della morte per malasanità sostenuta con ostinazione dal pm Abate, poi rimosso dall’incarico e visibilmente ostile alla famiglia Uva. In aula, con la sorella di Giuseppe, Lucia Uva c’erano la madre di Stefano Gugliotta, pestato dalla polizia a Roma senza alcun motivo e Domenica Ferrulli, figlia di Michele, ucciso durante le concitate fasi di un violentissimo arresto. Il processo d’appello è in corso a Milano.