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Speciale / Il funerale del sottopasso
dai mille possibili usi

Il Comune vuole “tombare” il grande sotterraneo tra via Ugo Bassi, via S.Felice e via Marconi. Storia di un patrimonio prezioso prima lasciato al degrado e ora destinato all’oblio.

28 Novembre 2015 - 10:06

Sottopasso Ugo Bassi - © Michele lapiniDopo aver murato decine di immobili per contrastare le occupazioni illegali, dopo aver distrutto centinaia di sanitari, di scale e rampe d’accesso di case popolari vuote per impedire che qualcuno, alla ricerca di un tetto sotto cui riparasi, le usi abusivamente, adesso è venuto il momento del sottopasso di via Ugo Bassi/via San Felice/via Marconi “tombato” definitivamente, per inibirlo alle “cattive frequentazioni”. In tutte le città europee gli spazi sotterranei sono considerati un patrimonio prezioso, a Bologna l’amministrazione comunale lo considera un inutile spreco di superficie e investe 39.000 euro per chiuderlo definitivamente, lasciando aperto solo un accesso in via Marconi, per raggiungere la sottostazione elettrica di Tper.

E’ chiaro che quel luogo, abbandonato oltre il lecito da decenni, versava in un degrado totale. Le vetrinette espositive vuote, sporche e disadorne, le luci soffocate che garantivano all’ambiente un’atmosfera squallida, il pavimento di gomma scanalata in molti punti sollevato, i vecchi bagni pubblici sempre più degradati fino alla chiusura, ne erano la desolante testimonianza.

Questo, però, non impedì alla Giunta Cofferati di usarli come uno dei luoghi dell’emergenza freddo, dove alloggiare su giacigli di fortuna, nelle giornate più rigide, i senza dimora più “incalliti”, quelli che, secondo le leggende metropolitane degli zelanti amministratori comunali, vogliono dormire in strada o in maniera disagiata a tutti i costi.

Accantonato, per fortuna, quell’infausto utilizzo, negli anni successivi non è uscito uno straccio di idea. Nemmeno di quelle ovvie e banali, come il reimpiego del sottopassaggio per collocare dei bagni pubblici gestiti in modo tale che, chi gira o lavora nel centro della città, non debba bersi una miriade di caffè alla ricerca di un bar con la toilette disponibile. Oppure, tenendo conto della posizione strategica dell’incrocio Ugo Bassi/Malpighi/Marconi, perché non creare un altro (più piccolo) deposito di biciclette, modello Dynamo/ex garage del Pincio, con attività di contorno, dandolo in gestione ad associazioni?

Ma per fare cose di questo tipo ci vuole un minimo di impegno cerebrale, usando una metafora da vecchia scuola: “Dal 5 e tre quarti al 6 meno meno”.

Questa elementare incombenza, però, è ormai è irrintracciabile nelle stanze di Palazzo d’Accursio.

Allora, di fronte al funerale del vecchio sottopasso, riscriviamone un po’ la storia, per non cancellarlo definitivamente almeno dalla memoria, dato che la nostra città, in giro, è ancora famosa, per i suoi tragitti nel sottosuolo. A ritroso nel tempo, dalla Bologna romana del I sec. a.C. alla Bologna della guerra di Liberazione, attraverso storie e leggende che vengono ancora tramandate. Oppure, l’antica città delle acque, quella dei canali sotterranei che alimentavano i mulini dei setifici.

I sottopassaggi Rizzoli e Ugo Bassi nacquero in tre tappe. La prima, fra il 1957 e il 1958, diede alla luce il tratto a forma di elle compreso tra via Rizzoli (nell’angolo del palazzo dell’ex cinema Modernissimo, poi Arcobaleno), via Caduti di Cefalonia e piazza Re Enzo. Il secondo lotto, quello che si sviluppa sotto l’incrocio tra le vie Rizzoli, Ugo Bassi e Indipendenza, fu costruito tra il 1959 e il 1960, mentre il terzo, quello sotto l’incrocio tra le vie Marconi, San Felice e Ugo Bassi, tra il 1961 e il 1962. I costi delle tre opere furono rispettivamente di 47, 150 e 80 milioni di vecchie lire (il costo fu enorme per il valore del denaro all’epoca).

Tenendo conto della mentalità del tempo, il motivo principale per cui furono costruiti questi sottopassi, fu di decongestionare il traffico delle automobili, abolire il semaforo fra via Rizzoli e piazza Re Enzo e assicurare ai pedoni l’attraversamento di quegli incroci strategici con tranquillità e sicurezza. I sottopassaggi avevano inoltre la funzione vitale di dare continuità ai 35 chilometri di portici, creando un transito sotto terra dove i portici mancavano: il cittadino che camminava sotto il portico del Pavaglione poteva continuare la sua passeggiata scendendo nel sottopassaggio e sbucando sotto i portici di via Indipendenza o via Rizzoli.

I sottopassaggi erano il frutto della cultura di quegli anni. L’auto era il simbolo del futuro. Bologna ambiva a essere la città da un milione di abitanti. Ma era una città senza tram, a causa dell’idea infausta di togliere i vecchi binari.

I sottopassaggi pedonali, forse, furono il frutto di un malinteso modernismo. Probabilmente l’esatto contrario di quello che bisognava fare: sotto le macchine e sopra le persone.

Comunque sia, i sottopassaggi furono costruiti. E non senza difficoltà, soprattutto tecniche. Durante i lavori furono rinvenuti importanti reperti archeologici, tra cui un ben conservato selciato di decumano massimo e alcuni tratti di pavimentazione a mosaico, che furono messi in mostra nel sottopassaggio stesso.

L’accoglienza da parte della città fu entusiastica: la gente saliva e scendeva, con piacere, le scale d’accesso di quello che appariva un salotto sotterraneo. In un opuscolo del 1960 si legge: “I sottopassaggi costituiscono un vero e proprio sistema di strade sotterranee, con molti e comodi accessi, negozi, bar, servizi igienici, vetrine di esposizione, mostre di reperti archeologici: un complesso capace di favorire nel proprio interno attività permanenti e non solo di accogliere un transito frettoloso”.

Poi, nei decenni successivi, l’entusiasmo si affievolì e, poco alla volta, i camminamenti sottoterra del centro cominciarono a spopolarsi.

A metà degli anni ’80, si aprì in città, tra gli amministratori pubblici e non solo, un dibattito su come riutilizzare al meglio quegli spazi.

Il che fare dei sottopassaggi semi-abbandonati, divenne materia di discussione. Si partiva dal dato inconfutabile della loro esistenza. Da tutti veniva scartata l’idea di murarli e di chiuderli per sempre. Qualcuno parlava di un loro utilizzo hard, giovanile e di servizio alla città, nelle ore in cui i servizi e le occasioni d’incontro e di vita scemavano. C’era chi proponeva un drug-store, aperto dal pomeriggio fino all’alba, con librerie, videogiochi, audioteca, videoteca, giornaleria, tabaccheria, caffè e ristorazione (per il dopo cinema, il dopo teatro, il dopo tutto), farmacia, bagno diurno-sauna, punti vendita specializzati. C’era chi ipotizzava, all’interno del progetto del parco urbano di piazza Maggiore, un ampliamento e allungamento del sottopassaggio che partisse dal Museo Medievale di via Manzoni e arrivasse alla biblioteca dell’Archiginnasio, creando una cerniera di collegamento che passasse sotto piazza Maggiore. Al suo interno avrebbero trovato posto una serie di esercizi commerciali, nonché tutti i servizi museali, luoghi dove poter comprare gadget, audioguide, cataloghi, materiale informativo del patrimonio museale e storico della città. Con in più uno spazio dove poter svolgere attività di intrattenimento, senza nessuna specializzazione particolare, dal concerto jazz allo spettacolo di marionette. Insomma, una grande galleria sotterranea.

C’era chi diceva che i sottopassaggi avrebbero dovuto valorizzare maggiormente la loro tendenza all’underground, con spazi per la musica, il jazz, utilizzabili anche come luoghi di aggregazione notturna. C’era chi proponeva una serie di tapis roulant per il centro storico, cioè un sistema ottimo per evitare i brevissimi trasporti in autobus all’interno della T. I tapis roulant avrebbero anche potuto correre sotto terra, utilizzando anche le cantine di via Rizzoli, in parte di proprietà pubblica, e allacciando cosi i sottopassaggi. Quegli spazi sarebbero stati ottimali anche per mostre e luoghi espositivi per chi non aveva mezzi economici, un’alternativa alle gallerie d’arte private.

C’era chi proponeva i sottopassaggi come laboratori di prima produzione artistica e culturale. Per la loro posizione centrale, sarebbero stati adatti a costituire una struttura di giunzione tra produzione e primo ascolto. Attirare la gente a scendere sottoterra, ma senza correre il rischio di ghettizzare.

C’è chi propose, nel 1987/88, di usare i sottopassaggi come sede della Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa Mediterranea, chi come luoghi ideali di un ipotetico centro notturno polivalente.

Erano fantasiose utopie? Probabilmente sì, ma molto meglio del buio assoluto dei trent’anni successivi. Del terrificante realismo, fatto di innalzamento di muri e di chiusura di spazi.

“Le idee non fanno voli pindarici, cercano spazi”, si diceva allora. “Servono per camminare, ma con qualche prospettiva futura”.

E’ l’ignoranza che, di solito, vola… e quella dell’attuale giunta comunale ha come consulente la Nasa… Figuriamoci se può incunearsi nei meandri dell’undreground.