La Corte di Cassazione conferma l’assoluzione degli agenti della polizia penitenziaria ma rinvia a un nuovo processo d’appello per accertare le responsabilità di cinque medici dell’ospedale Pertini.
di Luca Blasi, Acad (Associazione contro gli abusi in divisa) – da Dinamopress
Stefano Cucchi fu “picchiato senza nessun dubbio di natura oggettiva”.
Parole scontate a sentirle così, ma se pronunciate dal procuratore generale di Cassazione Nello Rossi scontate proprio non lo sono.
Per la prima volta in aula di giustizia si afferma che Stefano Cucchi è morto perchè qualcuno lo ha picchiato abusando della sua divisa e del suo ruolo e qualcun altro non lo ha curato e assistito, abdicando al proprio dovere di medico.
Il tribunale di Cassazione ha confermato l’assoluzione degli agenti della polizia penitenziaria mentre chiede un nuovo processo d’appello per accertare le responsabilità dei cinque medici del Pertini e per “non mettere una pietra tombale sulle cause della morte di Stefano Cucchi, persona morta in un ospedale pubblico e che è stata violata nella dignità”.
Anche gli avvocati delle parti civili hanno ritirato il ricorso contro gli agenti penitenziari mantenendo quello sui medici del Pertini; tutto questo alla luce dell’inchiesta-bis, che stavolta vede coinvolti cinque carabinieri, alla quale anche il procuratore generale fa riferimento sottolineando che sempre più elementi dimostrerebbero un’azione violenta contro Cucchi, precedente al suo ingresso a piazzale Clodio.
Proprio questa nuova inchiesta porterà ad altre perizie medico-legali, per provare a portare alla luce e confermare quello che già sta emergendo da diverse intercettazioni e dalle profonde contraddizioni in sede di interrogatorio.
Ieri Acad (Associazione contro gli Abusi in Divisa) era presente in aula al fianco dei familiari di Stefano per continuare il percorso di presenza e testimonianza diretta intrapreso su questo come su molti, troppi altri casi.
“Gliene abbiamo date tante a quel drogato”. Questo il tono delle intercettazioni a carico dei carabinieri che ebbero in custodia Stefano successivamente al suo arresto.
Per questo Acad ritiene assurde e offensive le dichiarazioni del comandante generale dell’arma dei carabinieri Tullio Del Sette, per cui l’accertamento delle responsabilità non porti “nessuna delegittimazione dell’Arma da notizie e iniziative mediatiche”. Crediamo che il comandante generale dovrebbe preoccuparsi del crescente numero di casi di abusi in cui l’arma è coinvolta su tutto il territorio nazionale (Magherini a Firenze, Bifolco a Napoli, Casalnuovo a Buonabitacolo, Uva a Varese… solo per citarne alcuni), perchè è proprio questa continua catena di abusi e omicidi che delegittima l’Arma e non, al contrario, il lavoro di chi cerca verità e giustizia denunciando gli abusi e informando.
Venerdì Acad sarà a Napoli per presentare il proprio lavoro in un liceo classico del Vomero insieme a Flora, la mamma di Davide Bifolco, il ragazzo sedicenne del Rione Traiano freddato dai colpi di pistola sparati da un carabiniere.
La verità su Stefano, che con forza sempre maggiore sta emergendo anche nelle aule di tribunale rompendo opacità e coperture, ci parla della presenza nel nostro paese di un’emergenza democratica che sta mietendo vittime e in cui, troppo spesso, i colpevoli ricevono applausi e copertura politica. Come nel caso degli assassini di Federico Aldrovandi.
Non spegnere quelle grande luce accesa un anno fa in piazza Indipendenza, durante l’iniziativa delle mille candele per Stefano Cucchi in cui intervennero molti familiari, è la prima cosa da fare per illuminare i luoghi bui in cui l’umanità viene calpestata.