Attualità

Roma / In migliaia per il “grido altissimo e feroce” transfemminista

Sfila per il quarto anno consecutivo nella capitale il corteo di Non Una Di Meno. Maschere, flash mob e interventi contro violenza maschile, “narrazione tossica” dei media e per un reddito di autodeterminazione. Lanciato il prossimo appuntamento globale per lo sciopero femminista dell’8 marzo.

23 Novembre 2019 - 19:56

Attiviste e operatrici dei centri antiviolenza di tutta Italia hanno aperto oggi, come di consuetudine, la quarta manifestazione nazionale di Non Una Di Meno contro la violenza maschile sulle donne, partita nel pomeriggio da piazza della Repubblica. Sui volti delle manifestanti in testa al corteo le maschere verdi delle ‘Luchadoras’, simbolo della lotta della Casa delle donne ‘Lucha y Siesta’ a Roma a rischio sgombero. Dietro di loro, le donne dei centri antiviolenza della rete D.i.Re, di BeFree e Differenza Donna, della Casa internazionale delle donne di Roma e dalla Casa delle donne di Viareggio, molte in piazza con i nasi rossi per ricordare e chiedere giustizia per Daniela Carrasco Mimo, attivista cilena impegnata nelle manifestazioni popolari contro il governo Piñera, torturata e uccisa dopo una perquisizione da parte delle forze di polizia.

Il corteo, intervallato da alcuni flash mob, ha dato voce a numerosi interventi scanditi dai camion dell’organizzazione. Così un’attivista al microfono: “La nostra sicurezza non la fanno né le ordinanze né i confini. Vogliamo un reddito per poter autodeterminare le nostre vite, vogliamo essere indipendenti. Lotteremo, vi renderemo la vita impossibile, e scenderemo ancora in piazza: ci vediamo l’8 marzo per lo sciopero globale femminista, perchè se le nostre vite non valgono, noi ci fermiamo!”.

Un primo stop ha visto le e i manifestanti sedersi a terra e rimanere in silenzio per cinque minuti, all’altezza di piazza di Santa Maria Maggiore, in solidarietà alle donne cilene e a tutte le protagoniste di ogni forma di mobilitazione e lotta nel mondo. “Per Daniela e per tutte le attiviste uccise si alza il nostro grande grido collettivo di gioia, di rabbia, di lotta” ha scritto la sezione bolognese della rete transfemminista su Facebook. E così “Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che non hanno voce” è stato lo slogan scandito alla fine dei minuti di silenzio. “Abbiamo deciso di fare l’azione del grido muto – ha detto un’attivista – perchè vogliamo dare visibilità alla nostra presa di parola e indignazione. Solo il 48% delle donne lavora, la disparità salariale è al 23%, un femminicidio su due avviene in famiglia, i percorsi di uscita dalla violenza non prevedono forme di sussidio e i finanziamenti per i centri antiviolenza equivalgono a 76 centesimi per ogni donna che chiede aiuto. Soprattutto, non vogliamo che la nostra sicurezza sia decisa dai preti, vogliamo rilanciare la nostra autonomia con un’azione di vicinanza alle donne cilene torturate e stuprate dalla Polizia”.

Successivamente si è tenuto un altro flash mob per dire basta alla “narrazione tossica della violenza sulle donne da parte dei media italiani”, con la lettura di alcuni titoli fra quelli che recentemente hanno suscitato più indignazione. Così un’attivista è intervenuta contro le “giustificazioni date dal giornalismo italiano a tutti gli uomini che massacrano, stuprano e uccidono. La stampa enfatizza quegli assassini e li giustifica: la vita privata delle donne e delle soggettività lgbtqia+ è oggetto di giudizio morale. La memoria di chi viene uccisa è oltraggiata. L’accento sulla vittima è posto solo ed esclusivamente per colpevolizzare. Il rifiuto viene trasformato in un equivoco, vengono create le attenuanti culturali verso l’opinione pubblica con sentenze che anticipano le difese processuali di chi uccide. Si parla di amore al posto di dominio. La parola ‘lesbica’ non viene pronunciata, se non per inserirla in un contesto di anomalia. La pazienza è finita! Risponderemo colpo su colpo. La violenza sulle donne non è un fatto emergenziale, ma un elemento strutturale della nostra società. La violenza non è un raptus, né uno spettacolo per i vostri click, né divide tra donne per bene e donne per male. Gli uomini violenti non sono mostri, belve, pazzi: sono i figli sani del patriarcato”.

Le attiviste hanno quindi rilanciato l’adozione di “una carta deontologica che impedisca una narrazione deviata della violenza e che preveda un racconto del fenomeno a livello sistemico”. Il corteo si è poi concluso in piazza San Giovanni.