Quest’anno niente istituzioni sul palco del trentennale della strage, mentre continuano a trovare spazio fantasie che confondono la ricerca delle responsabilità, così come per la strage di Ustica. Riceviamo un commento da un nostro collaboratore
Oggi è sempre più difficile parlare delle stragi di Stato. Far capire che questi episodi non sono per nulla misteriosi, ma rispondono a una logica coerente e continuativa del potere, a una strategia di lunga durata, che potrebbe ancora riproporsi. Ogni anno, nella ricorrenza dei più rilevanti episodi stragisti, le alte cariche dello Stato esibiscono insieme lacrime e fantasie autoassolutorie, negando o alterando i pochi elementi certi e dimostrati emersi nei lunghi, faticosissimi, depistatissimi processi. È un piccolo tic, ma la dice lunga sulla coscienza sporca delle istituzioni.
Si prenda ad esempio l’ultimo anniversario della strage di Ustica. Carlo Giovanardi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per famiglia e tossicodipendenze, – noto per aver dichiarato che Stefano Cucchi era morto da sé perché drogato, anoressico e sieropositivo, – afferma che la strage di Ustica fu effetto non di un missile militare, ma di una «bomba nella toilette». Una «bomba»!? Sì, e subito il presidente Napolitano, che è anche capo dell’Aeronautica, dichiara con viso afflitto che «le indagini e i processi svolti sin qui non hanno consentito di fare luce sulla dinamica del drammatico incidente». Sulla «dinamica»…? «drammatico incidente»?
Se c’è una cosa accertata al di là di ogni dubbio è invece che il DC9 fu abbattuto da un’arma militare. «L’inchiesta», si legge nella sentenza del 1999, «è stata ostacolata da reticenze e false testimonianze, sia nell’ambito dell’Aeronautica italiana che della NATO, le quali hanno avuto l’effetto di inquinare o nascondere informazioni su quanto accaduto. […] L’incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC9 è stato abbattuto». Quindi conosciamo la «dinamica»: e non si trattò di un «drammatico incidente», ma di un atto di guerra in tempo di pace…
Oggi impudenza e impunità vanno a braccetto. Se sei un politico, un deputato, un sottosegretario, puoi dire qualsiasi cosa ti salti in mente, offendere la verità e i morti di Stato, giocare con le parole e con i media. Ogni svista, ogni menzogna, ogni veleno è un modo per abbassare la soglia di attenzione, di memoria e di risposta civile. Tutto è ridotto a talk-show. Ogni fantasia e assurdità fa gioco alla smemoratezza collettiva e impedisce che, pur a distanza di decenni, si possa avere risposte sui mandanti.
È un discorso che vale a maggior ragione per la strage neofascista del 2 agosto 1980: la più grande strage della «strategia della tensione», costata la vita a 85 persone, con effetti politici involutivi di lungo periodo, con una scia di depistaggi e menzogne di Stato lunga trent’anni, con l’insulto di «veleni» e «premi per gli assassini», come scrivono quest’anno i Familiari delle vittime. Nel caso del 2 agosto si vede bene quanto i vecchi depistaggi della Loggia massonica P2 abbiano costituito un modello ben al di là dei processi e siano l’antecedente del revisionismo immaginoso senza né prove né indizi che ogni anno trova ampia risonanza sui media di regime.
Quest’anno che la pista palestinese ha mostrato tutta la sua illogicità storica, che il polverone intorno a Carlos «lo sciacallo», a Thomas Kram, alla presenza immaginaria di Christa-Margot Frohlich a Bologna non risulta più sfruttabile né sostenibile, i professionisti del depistaggio mediatico hanno cercato vanamente di imbastire l’ennesima «pista internazionale» con le ipotetiche «rivelazioni» della Commissione Mitrokhin e le carte provenienti da Germania Est, Ungheria, Grecia ed ex Cecoslovacchia. Negli archivi ex-comunisti, dove la Stasi e altre polizie segrete fabbricavano dossier buoni per tutti gli usi, si vorrebbe trovare un qualche pezzo sbrindellato di carta, una nota spese, uno scarabocchio sbiadito che supporti nuove fantasie autoassolutorie dello Stato.
Giustamente Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime, osserva che queste presunte «piste alternative» servono anzitutto a distogliere da una seria ricerca dei mandanti delle stragi: «A 30 anni dalla strage ci sono ancora tentativi di sviare l’attenzione dai mandanti o da un percorso verso obiettivi più alti di quelli che sono gli esecutori. Con tutta la montagna di carte che vengono messe a disposizione dei giudici di Bologna, sulla questione dei palestinesi o sul caso Kram diventa difficile che la pista dei mandanti possa essere perseguita con successo».
Moltissimi elementi emersi nei processi sulle stragi hanno dimostrato che in Italia era ed è forse tuttora operante – in quanto mai davvero toccata da indagini – una rete occulta di potere in grado di condizionare la vita sociale, economica e politica, anche con l’impiego di violenze indiscriminate e di protezione e finanziamenti a gruppi neofascisti e neonazisti. Non è un caso che gli aderenti alla Loggia massonica P2 – a cui apparteneva anche l’attuale capo del governo – si siano adoperati in un’opera sistematica di depistaggio. «Ci sono 14 stragi, di nessuna si sa il mandante», ha detto ancora Bolognesi, «e questo vuol dire che il potere in prima persona ha vietato di arrivare ai mandanti. Una strage la posso anche capire, ma tutte e 14 no. È inutile che mi vengano a dire che dietro la strage ci sono dei misteri, i misteri ci sono solo nelle religioni, questi sono segreti, per cui se si vuole si può arrivare fino in fondo».
Ogni tanto qualche lume traspare per caso. Come nelle intercettazioni a Gennaro Mobkel, l’imprenditore neofascista legato alla massoneria, in rapporti con esponenti della banda della Magliana e della ’ndrangheta calabrese, promotore dell’elezione al Senato dello «schiavo» Nicola Di Girolamo (PdL, ex AN) e amico degli «amichetti di Brancher». Fiancheggiatore a suo tempo dei NAR, nel 2007 Mobkel risulta in contatto «sia per telefono che di persona» con Francesca Mambro («indicata come la Dark») e Giusva Fioravanti «anche con rilevanti sostegni economici». Un legame che trova numerose conferme nelle intercettazioni telefoniche di Mokbel. Quando parla con Carmine Fasciani, boss di Ostia, si vanta dicendo dei due neofascisti: «Li ho tirati fuori tutti io… tutti con i soldi mia, lo sai quanto mi so’ costati?… un milione e due… un milione e due…». Gli avvocati di Mambro e Fioravanti hanno detto che questo milione e duecentomila euro non è finito nelle loro tasche. E Mobkel è un volgare truffatore neofascista che ha fatto della corruzione uno stile di vita.
Ogni anno lo Stato ha voluto imporre la propria ambigua presenza sul palco delle celebrazioni del 2 agosto. Quest’anno nessun esponente dello Stato parlerà nella piazza della Stazione e le istituzioni continueranno il loro lavorio dietro le quinte per spegnere il ricordo della strage e per mantenere le protezioni e i segreti che si trascinano da trent’anni. Se la cultura di governo in Italia non è mai stata ispirata a un’etica della verità, oggi prevale solo un clima di violenza, sfruttamento, sopraffazione, corruzione, revisionismo, autoritarismo, «me ne frego» e «ghe pensi mì».
Dinanzi a tutto ciò non si può che ribadire la nostra sofferta verità. Che fin dal principio lo stragismo fu neofascista, con coperture statali, con agganci militari per armi ed esplosivi, come confermò già la condanna definitiva di Freda e Ventura per le bombe del 1969 pre-piazza Fontana: attentati per i quali alcuni anarchici erano già stati condannati e sarebbero stati incastrati se il giudice Giancarlo Stiz non avesse riportato gli accertamenti sui dati di fatto. Poi ci fu Piazza Fontana e quel che seguì. A lungo preparata, anche la strage di Bologna fu un capitolo della «strategia della tensione» e la sua verità storica non può essere staccata dalla storia dello stragismo neofascista e dei suoi appoggi istituzionali di ieri e di oggi.
Proprio per questo è un’iniziativa importante quella promossa dall’Associazione dei familiari delle vittime che ha voluto la digitalizzazione integrale dei documenti e degli atti dei processi sulla strage del 2 agosto 1980, quasi 180.000 pagine che saranno disponibili presto anche sul web.
Per il trentesimo anniversario si registrano ad oggi, inoltre, una presa di posizione di G.M. De Pieri (Tpo) per una «grande assemblea pubblica», e la proposta del Nodo sociale antifascista di Bologna, che invita a partecipare alla manifestazione del 2 agosto portando in piazza non solo l’importanza della memoria civile, ma la necessità di una critica «contro ogni revisionismo» che, più in generale, «sappia smascherare le operazioni ideologiche di manipolazione della memoria».