Acabnews Bologna

Occupata un’aula in Berti Pichat

Cambiare Rotta: “Denunciamo il problema degli spazi in università e in città che, tra burocratizzazione e militarizzazione, impedisce ogni momento di discussione, dibattito, confronto, socialità”. Il Cua, intanto, attacca l’Ateneo per la decisione di partecipare ad un bando del Miur per il “restauro” di 500 metri tra portici e palazzi di via Zamboni.

19 Novembre 2021 - 20:32

“Oggi siamo entrati in un’aula del plesso di Berti Pichat non solo per denunciare il problema degli spazi in università e in città che, tra burocratizzazione e militarizzazione, impedisce ogni momento di discussione, dibattito, confronto e socialità, ma per attaccare tutto questo modello universitario – la cui funzione sociale non è più di emancipazione individuale e collettiva ma di esamificio ed enorme creatore di forza lavoro prona agli interessi dei privati- e più in generale di questo modello di sviluppo di cui questa università è la necessaria conseguenza”. Lo segnala Cambiare Rotta, aggiungendo: “Da Zampieri, all’undici ottobre, all’università seguimos luchando per la giornata del No Draghi Day del 4 dicembre. Ci vediamo tra poco in aula per la proiezione del film ‘La notte delle matite spezzate'”.

Sempre in tema di Università, scrive il Cua: “È notizia di qualche settimana fa quella della volontà dell’Unibo di partecipare ad un bando del Miur per il ‘restauro’ di circa 500 metri tra portici e palazzi di via Zamboni. Non sono tanto stupore o malizia che ci fanno guardare con sospetto a questa notizia quanto più ciò che essa fa intendere tra le righe. Gli articoli di cronaca, infatti, oltre che parlare di patrimonio storico, ora Unesco, dicono testualmente che ‘l’operazione di ripulitura e restauro delle sedi dell’Ateneo si completerà con l’intervento di pulizia, restauro e ripristino dei muri e delle facciate dei palazzi […] Particolare attenzione sarà rivolta alla rimozione, con prodotti ad hoc, di scritte, tag e graffiti. È prevista, a fine lavori, l’applicazione di protettivi antigraffiti’. Ma certo! Non avevamo alcun dubbio che ancora una volta ci si riempisse la bocca e gli intenti del tanto amato decoro che a questa città e a questa università è tanto, infinitamente caro. In effetti in un momento come questo la centralità che hanno le scritte sui muri – da sempre, tra l’altro, in particolare a Bologna e in zona universitaria, segni di effervescenza, di autorganizzazione dal basso, di lotte, di bisogni, di desideri – è indubbia. Effettivamente non si ha la minima capacità di guardare a quelle scritte, a quel ‘degrado’ e saperne ascoltare le urla, figuriamoci di pensare che siano qualcosa di rivendicabile (anche se ci ricordiamo bene il ‘punkwhashing’ di università e città, quando turistə provenienti da ogni dove si facevano scattare da noi student foto esattamente davanti ai murales di via Zamboni, che ricordavano al mondo la meticcità della nostra città o la vicinanza con la rivoluzione del Rojava, e quindi allora andava bene)”.

Continua il collettivo: “L’ardua battaglia contro scritte, tag e manifesti è quindi sicuramente prioritaria… mentre student si muovono tra ricatti morali ed economici, sgomitando per riuscire a raffazzonare qualche cfu in più per tenersi strette le borse di studio o vivendo in case fatiscenti o soprattutto NON vivendo a Bologna perché di case, spazi e soldi non ce ne sono neanche per sbaglio. Tutto ciò mentre continua imperterrita l’esternalizzazione da parte dell’Università di ciò che è diritto allo studio e diritto all’abitare. Il welfare studentesco viene delegato ad aziende terze, che giustamente dal loro punto di vista niente hanno a che fare con necessità, bisogni e desideri di noialtrə. Del resto siamo pur sempre nella città degli studentati di lusso che come alternativa hanno studentati pubblici che scarseggiano di posti, oltre ad essere nella maggior parte dei casi siti ai bordi estremi di quartieri e periferie e il cui accesso sottostà sempre e comunque al ricatto dei cfu. Purtroppo non ci sorprende affatto che quindi ancora una volta ci si voglia pavoneggiare perché questa è l’Università dell’eccellenza, nella città della magnificenza e del progresso, che mentre lascia indietro migliaia di giovani pensa a come e dove spendere chissà quanti soldi per rifarsi il trucco. Sì, ancora una volta lo troviamo inaccettabile, ancora una volta non riusciamo a tenerci questa notizia fra i denti, mentre pensiamo tra angoscia e frustrazione a che cosa ne sarà di noi, tra un lavoretto precario e l’altro, tra la ricerca del modo di restare a galla in una città che si dimostra costantemente più inacessibile e attraversando un’Università che continua a guardarci come sacche di soldi da spremere fino al midollo, vantandosi in giro per il mondo di essere tra le migliori, tra le più produttive, tra le più belle”.

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