Trentanove anni fa il colpo di stato in Cile e l’omicidio di Salvador Allende. Una testimonianza diretta.
Di David Munoz Gutierrez
Il Presidente socialista della repubblica cilena Salvador Allende viene assassinato dentro al palazzo di Governo intorno a mezzogiorno su ordine dei generali delle forze armate cilene sotto la guida di Augusto Pinochet generale in capo dell’esercito.
Inizia una durissima repressione dei militanti della UNIDAD POPULAR coalizione che aveva portato Allende alla guida del governo tre anni prima, il 4 settembre 1970.
Intorno alle sei del mattino di quel martedì 11 settembre si avvertono i primi movimenti di truppe, il Presidente venne avvisato che la città portuale di Valparaiso sarebbe in mano ai militari.
Noi, quattro compagni che eravamo venuti a Santiago il fine settimana precedente eravamo ancora a Santiago. Come sempre quando si andava a Santiago a delle riunioni, che si facevano quasi sempre nel fine settimana, rimanevamo i primi giorni della settimana seguente per delle pratiche presso qualche ministero.
Ecco arrivare il Martedì 11 e dovevamo fare dei giri presso vari uffici, quindi ci siamo alzati prestissimo, ma quando siamo arrivati a fare colazione nella sala dell’albergo ci siamo trovati con la notizia che alla televisione si ascoltavano solo marce militari. Il gestore ci ha detto “signori c’è il colpo di Stato!!!”
Non abbiamo fatto colazione, ci siamo riversati in strada, ci siamo incamminati nella direzione della “MONEDA”, il palazzo di Governo. Ormai erano circa le otto del mattino, vedevamo gente che correva da tutte le parti, soldati in jeep che giravano come impazziti dappertutto, oppure altri appostati sui mucchi di terra e con i fucili spianati, in lontananza si sentivano degli spari, si vedevano passare dei camion pieni di militari, delle macchine tornavano indietro facendo inversione a U all’impazzata, c’erano dei gruppi di persone negli angoli della strada che ascoltavano la radio transistor, ci siamo fermati e aggregati ad un gruppo e abbiamo ascoltato le parole del Presidente che diceva :… “Informazioni certe segnalano che un settore della Marina avrebbe isolato Valparaiso e la città sarebbe stata occupata.”…“mi appello a tutti i lavoratori. Chiedo loro di occupare i posti di lavoro, di recarsi nelle fabbriche e di mantenere la calma e la serenità.”…“io sono qui, nel Palazzo del Governo, e vi resterò per difendere il governo che rappresento per volontà del popolo.”…“il popolo e soprattutto i lavoratori devono restare mobilitati, ma nei posti di lavoro, ascoltando la chiamata e le eventuali istruzioni che potrebbero venire dal compagno Presidente della Repubblica.”…“sappiate che siamo qui, almeno con il nostro esempio, per dimostrare che in questo Paese c’è gente che tiene fede agli impegni.”…“La storia non si ferma nè con la repressione, né con il crimine.”…“Però il domani sarà del popolo, sarà dei lavoratori. L’umanità avanza verso la conquista di una vita migliore.”…“In questo momento storico di transizione, pagherò con la vita la lealtà al popolo.”…“La storia è nostra, sono i popoli a farla.”…“Il popolo deve difendersi, ma non sacrificarsi. Il popolo non deve farsi annientare, ma non può neanche umiliarsi. Lavoratori della mia Patria, ho fiducia nel Cile e nel suo destino.”…“E’ un momento duro e difficile, potremmo essere sopraffatti però il domani sarà del popolo, sarà dei lavoratori”. “Viva il Cile, Viva il popolo, viva i lavoratori!!!
La voce non era chiarissima, si sentivano spari e rumori molto forti come se scoppiassero delle bombe, poi abbiamo saputo che avevano bombardato la radio da dove Allende stava parlando, ci siamo allontanati e abbiamo deciso di provare ad arrivare alla sede del Partito Socialista che non distava molto da dove ci trovavamo, ma poco più in là siamo stati bloccati da una grande quantità di gente che tornava indietro in direzione della stazione centrale, ci siamo fermati davanti ad un altro gruppo di persone che ascoltavano la radio, c’era una voce che ordinava alle persone che difendevano il Palazzo di Governo di abbandonarlo, giacché sarebbe stato ordinato il bombardamento. Poco tempo dopo abbiamo visto nel cielo gli aerei che si dirigevano verso la il Palazzo, scaricare le bombe, una, due, tre, non ricordo più quante, noi eravamo a una distanza di non più di un chilometro in linea d’aria…Tre anni di rivoluzione democratica e di un tentativo di costruzione di una società socialista per via pacifica con la partecipazione attiva del popolo veniva soffocata nel sangue.
Mentre vedevamo la gente affrettarsi per salire su qualunque mezzo per arrivare da qualche parte, ci siamo aggregati ad un altro gruppo di persone che ascoltavano la radio; sentimmo che i militari comunicavano le loro prime decisioni e invitavano tramite un bando militare tutta la cittadinanza a non essere in circolazione a partire dalle 15 del giorno stesso, ecco perché tutti correvano cercando i mezzi più appropriati per arrivare il più vicino possibile alle loro abitazioni. Noi che venivamo da un territorio lontano circa 700 km al sud di Santiago rimanevamo isolati, non c’era la possibilità di raggiungere la stazione delle ferrovie per tentare di tornare verso la nostra provincia. Dopo qualche tentativo di telefonare ai nostri compagni e ad alcuni parenti abbiamo costatato che eravamo semplicemente bloccati a Santiago, i telefoni non funzionavano e la Junta Militar che si era impadronita del potere aveva ordinato il coprifuoco totale fino a nuovo ordine. Siamo tornati all’albergo da dove eravamo usciti quella mattina, per fortuna ci hanno ricevuto e assegnate le stesse stanze che avevamo avuto prima. Dalle finestre dell’albergo che davano sulla strada principale di Santiago, la Alameda-Gran Avenida abbiamo visto il grande spiegamento di mezzi militari da ogni parte. Poco dopo la nostra preoccupazione è cominciata a crescere perché i mezzi militari, i camion portavano decine di civili in mezzo ai soldati. Poco lontano dal nostro albergo c’era lo Stadio Chile, uno palasport chiuso che dopo abbiamo saputo i militari hanno utilizzato per rinchiudere i sostenitori del governo di Allende e lì hanno assassinato il poeta e cantate Victor Jara. Siamo rimasti bloccati in albergo fino al giovedì intorno alle 15 del pomeriggio. Nella notte fra mercoledì 12 e giovedì 13 settembre nel nostro albergo hanno eseguito una perquisizione.
I militari, una cinquantina circa, hanno fatto irruzione all’ora di cena, creando un grandissimo scompiglio, ci hanno fatto alzare tutti e messi contro il muro nel corridoio, il pericolo che abbiamo corso non è stato poco dato che tra di noi quattro c’era un deputato al parlamento, per fortuna poco conosciuto perché eletto negli ultimi comizi del marzo 1973. Ad un certo punto ci siamo sentiti chiamare io ed il mio compagno di stanza, lui aveva dimenticato di distruggere una cartella del sindacato dei taxisti democratici, quindi tutto l’interrogatorio fu basato sul perché eravamo a Santiago e che c’entrava questo sindacato dei taxista democratici…Qualche calcio di fucile alla schiena lo abbiamo avuto chiedendoci di parlare più forte quando rispondevamo alle loro domande…Ad un certo punto l’ufficiale che ci interrogava fu chiamato da altri soldati che avevano scoperto tra gli ospiti dell’albergo un gruppo di lavoratori del sindacato metalmeccanico della città di Concepcion…questi si trovavano a Santiago per partecipare ad un congresso della loro categoria, circa 10 compagni…nel trambusto che si è creato, il soldato che era rimasto a controllare noi ci ha presso a spintonate col fucile e ci ha chiuso nella nostra camera…poco dopo abbiamo sentito l’ufficiale che ordinava la ritirata gridando “la nostra caccia ha dato dei frutti ragazzi, possiamo andare”; si portarono quei 10 lavoratori, dei quali nulla sapevamo e mai più nulla abbiamo saputo. Il giovedì 14 verso le 15 abbiamo lasciato l’albergo, ci siamo scambiati numeri telefonici di amici e parenti, possibili luoghi dove provare a cercare dei compagni, ci siamo salutati e augurati buona fortuna…uno ha ricevuto asilo politico in Francia prima e poi in Australia (purtroppo ora non c’è più), un altro è riuscito a scappare verso la Colombia, l’altro, il dirigente sindacale dei taxisti si è salvato ed è ancora in Cile, l’altro, cioè io, il 20 di agosto del 1974, tramite l’ambasciata italiana a Santiago ho lasciato il Cile diretto in Italia.
La dittatura di Pinochet è durata 17 anni ed in quegli anni molti morirono, molti furono torturati, molti hanno dovuto prendere la via dell’esilio. Alla repressione iniziale seguì poi quella più selettiva. Dal punto di vista economico la Junta Militar si fece consigliare dall’economista Milton Friedman ed altri denominati i “Chicagos Boys” i quali hanno applicato in Chile le teorie del libero mercato totale. Hanno portato avanti una politica di privatizzazione di tutta l’economia del paese e anche dei servizi. Hanno riconsegnato ai vecchi padroni le terre che il governo di Allende aveva espropriato per portare avanti la Riforma Agraria; hanno riconsegnato le miniere di rame che erano state nazionalizzate da Allende, tranne una, a investitori stranieri; tutte le imprese che erano passate all’area sociale dell’economia sono state ridate ai loro vecchi proprietari; Le ferrovie sono state praticamente eliminate per favorire il trasporto su gomma; le scuole sono state privatizzate dalle primarie all’università; stessa sorte per la sanità e la previdenza. Il popolo per 17 anni ha dovuto sopportare la più brutale applicazione delle politiche neoliberiste che portarono miseria alla grande maggioranza del paese…
Poi in giro per il mondo e anche in Europa si sono portate avanti politiche simili, ed negli ultimi tempi anche in Italia si porta avanti la privatizzazione dei beni dello stato costruiti con il sacrificio di tutti. Qui non ci sono i carri armati a sostenere queste politiche, ma gli effetti saranno catastrofici per tutta la popolazione meno protetta, sarebbe il caso di pensarci un po’ a queste esperienze prima di farsi imporre politiche del genere. In Argentina ed altri paesi latinoamericani che sono passati per questa esperienza di neoliberismo oggi hanno intrapreso un’altra strada e sembra stiano meglio di prima, forse anche noi ci dovremmo fare un po’ d’attenzione.