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Il ricordo dell’eccidio di via Gobetti [foto]

Ieri trekking lungo il canale Navile e presidio all’ex Fornace Galotti, su iniziativa di Resistenze in Cirenaica, per rievocare l’assassinio di Tatino e Patrizia per mano dei killer in divisa dell’Uno bianca.

24 Dicembre 2015 - 11:09

Presidio Gobetti - Foto Michele Lapini/Resistenze in CirenaicaSe andate su Wikipedia, alla voce “Isola Posse All Stars”, si può leggere: “Storica crew della scena rap-raggamuffin italiana… Il suo successo è dovuto soprattutto alla produzione underground Stop al panico che dipinge il clima instauratosi a Bologna dopo la cosiddetta Strage del Pilastro in cui morirono tre carabinieri per mano della banda della Uno bianca. Nello stesso periodo venivano sgomberati alcuni dei centri sociali occupati della città…”.

Stop al panico”, nato tra le mura dell’Isola del Kantiere, è forse il pezzo più suonato nei centri sociali italiani, il più conosciuto tra tutte le generazioni di ragazze e ragazzi che hanno frequentato gli spazi autogestiti nel nostro paese. “Mi piacerebbe sapere, quanti, tra tutti quelli che hanno ascoltato questo pezzo, sanno che fu ispirato dalla lunga scia di sangue tracciata dai killer in divisa della banda dei Savi?”, così Wu Ming 1 ha commentato sul perché, a venticinque anni di distanza, fosse importante ricordare la strage al campo nomadi di via Gobetti e far girare il più possibile la notizia. Considerazione più che condivisibile se anche la scheda di presentazione di una delle canzoni cult del panorama rap italiano fa riferimento solo all’eccidio del Pilastro e non ai colpi di mitraglietta e dei fucili a pompa che i killer della Uno bianca scaricarono, nello stesso periodo, contro rom, sinti e immigrati. Questo ricordo è ancora più necessario, perché nel lungo elenco di vittime e di cadaveri che i Savi si sono lasciati alle spalle, ci sono caduti di serie A e caduti di serie B. Morti ricordati (giustamente) con tutti gli onori da tutta la città, e persone scomparse non solo dalla vita ma anche dalla memoria.

E lo diciamo con cognizione di causa, perché, l’assassinio di Rodolfo “Tatino” Bellinati e Patrizia Della Santina, sono stati commemorati a corrente alternata dalle istituzioni locali. Chi, in questi 25 anni, in via Gobetti, il 23 dicembre, c’è venuto diverse volte, dopo la presenza del sindaco Imbeni ai funerali dei due sinti, non si ricorda di altri primi cittadini che abbiano fatto a spallate per esserci. E pure la prolungata amnesia dei media ufficiali non è stata meno dolosa. Del resto, i comportamenti delle autorità e della stampa mainstream hanno ben rappresentato quello che la città è sempre stata. Bologna è stata capace di dimostrare grandi atti di solidarietà, se non esclusivamente, particolarmente con i suoi “figli”. Nei confronti dei diversi, di quelli che venivano da fuori, soprattutto se “brutti, sporchi e cattivi” come gli zingari, ha sempre fatto affiorare l’indifferenza sociale e un razzismo perbenista in salsa petroniana.

La dimostrazione più lampante fu l’episodio avvenuto il 3 aprile 2000 a Santa Caterina di Quarto, quando, nell’incendio della loro roulotte, morirono due bambini Alex e Amanda. Il campo di Santa Caterina dimostrò di essere un luogo di morte, non solo della morte quotidiana vissuta nella separatezza e nell’esclusione, ma della morte vera e propria di due piccole creature. Dieci anni dopo il 1990 si realizzava l’intento della banda della Uno Bianca: l’eliminazione fisica e la correzione con il terrore di quelli concepiti come diversi, non omologabili, nemmeno degni di essere ascoltati. Infatti, il 10 dicembre 1990, quando Santa Caterina era ancora solo un accampamento, la Banda dei fratelli Savi sparò all’impazzata colpi di mitraglietta contro le roulotte, provocando il ferimento di nove persone. Qualche settimana dopo, il 23 dicembre 1990, la banda della Uno Bianca tornò a sparare contro gli zingari, al campo di Via Gobetti, uccidendo Rodolfo Bellinati e Patrizia della Santina e ferendo pure la nonna materna di Alex e Amanda. E la risposta che le istituzioni diedero all’emergenza terroristica della Uno Bianca, fu la “regolarizzazione” del campo di Santa Caterina, applicando la Legge Martelli e trasformandolo (di nome) in un centro di prima accoglienza per immigrati rom Jugoslavi.

Quell’emergenza portò ad altre emergenze, quelle repressive, quelle dei percorsi di inserimento. Si raffinarono i meccanismi permanenti dell’esclusione e dell’emergenza istituzionale, funzionale solo a se stessa. La marginalizzazione divenne la strategia primaria dell’esclusione, per non includere nella società le persone che la società riteneva “indesiderabili”. Santa Caterina divenne un esempio emblematico della cattiva accoglienza, quella “accoglienza disincentivante” che questa città ha voluto dare agli immigrati, ai profughi, ai nuovi cittadini.

Di questo e di altre cose si è parlato questa mattina nei due momenti proposti da “Resistenze in Cirenaica“. Nella parte riguardante il trekking, che da piazzetta Pasolini lungo il canale Navile, fino all’ex Fornace Galotti, Wu Ming 2 è stato una guida preziosa e ben informata sulle trasformazioni urbane e gli scempi urbanistici che si sono incontrati lungo il percorso. Arrivati poi nei pressi del luogo dell’eccidio, dove da anni è aperto un interminabile cantiere per le nuove facoltà di Chimica e Astronomia, lo stesso scrittore ha letto e commentato articoli apparsi sui quotidiani dell’epoca, descrivendo il contesto delle grandi migrazioni dei primi anni novanta e delle occupazioni abitative fatte da migranti, tra cui quella grossissima dell’ex pastificio della Pantanella a Roma.

Il tema delle occupazioni abitative di quegli anni è stato sollevato anche nell’intervento di un attivista di Social Log che ha descritto il clima di paura che si viveva in città, raccontando anche l’episodio della “visita di cortesia” fatta da Roberto Savi all’ex scuola occupata da pakistani in via Rimesse e della contro inchiesta sui crimini dell’Uno bianca fatta da compagni del movimento.

Una delle testimonianze più gradite, sia al presidio che durante il trekking, è stata quella dell’anziano fotografo Mario Rebeschini, un reporter bolognese, da sempre impegnato nel sociale e che, nel corso degli anni, ha saputo costruire un rapporto speciale con le persone appartenenti alle comunità sinti e rom. Mario, a un certo punto della sua carriera, scelse il fotogiornalismo di strada, quello “impegnato”, in cui un fotografo deve decidere da che parte stare. Sicuramente è per questo che, quella mattina insanguinata del 23 dicembre ’90, fu il primo ad essere chiamato sul posto dagli abitanti del campo. “Sono arrivato 15 minuti dopo la sparatoria, chiamato da un figlio di Debar, che si è salvato perché ha finto di essere morto quando un killer gli sparò con un fucile a pompa lasciando andare il furgone nel fosso”.

Nel racconto di Mario di quel giorno infame ci sono le scene strazianti dei morti e dei feriti, il volto di Patrizia completamente sfigurato, i vetri delle roulotte e il sangue delle persone sparsi ovunque. Altra storia molto commovente, il racconto del funerale, i fiori in grande quantità, i volti dei parenti delle vittime, arrivati da diverse parti del paese. E, in più, il duro rimbrotto che Mario rivolse a un giovane fotografo che faceva scatti con l’approccio da avvenimento mondano. Quel ragazzo che quel giorno non aveva preso benissimo la strapazzata del suo collega più grande, incontrando Mario a Roma, tre anni dopo, a un raduno internazionale di zingari, gli parlò di quella sgridata: “Ho pensato molto alle tue parole e ti devo ringraziare per quello che mi hai fatto capire… Per come mi hai insegnato a guardare e riprendere i volti di quelle persone e le emozioni che trasmettevano… Pensa, oggi, sono diventato il fotografo di fiducia dei rom e dei sinti romani…”.

Una bella giornata è stata quella di oggi, pur nel paradosso di descrivere con l’aggettivo “bello” la tragedia provocata dai Savi 25 anni fa. Una giornata utile per trasmettere momenti di memoria che non possono andare cancellati e per prendere un impegno: il cippo in ricordo di Patrizia e Tatino che, a causa del cantiere, è stato rimosso, dovrà essere risistemato dove sempre è stato.

Presidio Gobetti - Foto Michele Lapini/Resistenze in Cirenaica

23-12-2015. Bologna, via Navile. Camminata e presidio promosso da "Resistenze in Cirenaica" per ricordare la strage della Uno Bianca di via Gobetti dove furono uccisi Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina, dopo l'assalto al campo nomadi. Il cippo, che si trovava all'interno di un cantiere, è stato rimosso. Foto Michele Lapini/Eikon