Dal progetto Yogaround la prima corrispondenza del viaggio partito da Bologna per portare l’attività nelle tendopoli greche. “All’interno dei campi di Karamanlis e Frakapor, quanti di noi saprebbero vivere in questo spazio di mancanze?”.
(da Yogaround)
Salonicco, seconda metropoli della Grecia, fiorente centro industriale dei tempi moderni, punto nevralgico per i trasporti nel sud est Europa da secoli, città di cultura e conquista dai tempi di Carlo Magno e anche storicamente nota come culla di accoglienza. Già nel 1492 divenne luogo di approdo per migranti ebrei che fuggivano dalla Spagna a seguito del decreto Alhambra e lo rimase fino alla seconda guerra mondiale. Oggi come allora sono decine di migliaia di migranti ad essere accolti, suddivisi in una decina di campi organizzati in tendopoli all’interno di fabbriche abbandonate o all’aria aperta. Luoghi polverosi con condizioni igieniche e di sussistenza molto molto basilari. Acqua, cibo, elettricità e beni primari in piccole dosi. Non mancano il tè né i sorrisi e se qualcuno mi spiega gentilmente cosa significa esattamente non perdersi d’animo lo ringrazio davvero.
Da alcuni giorni Yogaround si muove all’interno dei campi di Karamanlis e Frakapor che sono gestiti da Swiss Cross, un’ organizzazione non governativa che agisce attraverso donazioni e lavoro volontario non retribuito. Le persone che vivono qui non mi sembra che si chiedano da dove arrivino le cose, se dal governo greco, un’associazione locale o da dove altro. Molti dei bambini sono talmente piccoli che non sanno neppure da dove vengono loro stessi. Alcuni di questi bambini sono nati proprio in queste tende e altri durante il “viaggio”. Mi chiedo quanti di noi saprebbero vivere in questo spazio di mancanze, un quotidiano lento fatto di piccolissime cose, senza demoralizzarsi e pensando né al passato, perché l’inferno, né al futuro perché al momento non c’è. Le persone che vivono qui ora sono gli sfollati degli sfollati, ovvero quelli che quando hanno chiuso il campo di Idomeni in Macedonia, sono venuti o sono stati portati qui, assieme ai nuovi arrivi, che da Lesbo o dalla Turchia, non cessano di aumentare. Stando coi bambini ti accorgi che mentre chi gestisce il campo fa di tutto per provvedere a luce, acqua ed un po’ di riscaldamento, l’unica cosa da fare sia giocare, scherzare, ballare e colorare. Fare tutto con niente, stando nel presente. Loro ci riescono, ma a me non viene facile infilare perline mentre mi chiedo “ma che cazzo sta facendo il genere umano”.
Le necessità ai campi sono tante ed i volontari mai sufficienti. Mentre ci immergiamo in questa realtà non diversa da come ce la aspettavamo, ma molto più dura da digerire di quello che pensavamo, stiamo cercando di capire come inserire lo yoga all’interno della vita che ci circonda. In soli 3 giorni abbiamo già tenuto 2 classi alle donne e piano piano cercheremo di estendere questa possibilità. Nel frattempo gestiamo gli spazi e le attività che già ci sono come tutti gli altri. Personalmente mi sento che per ora lo Yoga lo sto imparando e non insegnando cercando di essere talmente flessibile da scorrere come acqua, di reinventarmi ad ogni occasione senza identificarmi, di stare presente senza distrarmi e mantenendo altissimo il benessere psicofisico e la positività. Grazie refugees, già maestri di vita!