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Palestina / Yoga e arti circensi oltre la buffer zone [foto]

Dalla palestrina di Xm24 alla Striscia, il diario di Yo-Gaza e Acrobatics4Gaza: “Se hai dei sogni devi sperare che siano realizzabili qui dentro, perché da Gaza non si scappa”.

24 Marzo 2016 - 18:57

Dopo due giorni d’attesa, per la delegazione partita da Bologna è finalmente arrivato il permesso di entrare nella Striscia.  Il viaggio, nato nella palestrina libera e popolare di Xm24, “vuole portare nella striscia di Gaza classi di yoga, tessuti aerei e trapezio nelle strutture sopravvissute agli ultimi  bombardamenti e nel carcere femminile”.

Foto da Yogaza > Day 4: “Inspira, espira”

Mercoledì 23 marzo 2016 – “Inspira, espira perché se non respiri muori e siccome naturalmente ci dimentichiamo come si respira pienamente proviamo a contattarci su come lo facciamo e aumentiamo la nostra consapevolezza di vita”. Così inizia la nostra quarta giornata di viaggio e seconda dentro la Striscia.

Sapevamo che lo yoga non fosse molto popolare qui e non ci aspettavamo che si sviluppasse un così alto interesse sia per la parte più legata al corpo che quella relativa alla respirazione e meditazione. Yoga come pratica quotidiana per lo sviluppo di una forte consapevolezza e controllo delle proprie emozioni, consapevolezza e controllo del respiro per raggiungere la parte più profonda della nostra mente dove si radicano emozioni e reazioni agli impulsi esterni. Mantenere la calma e cercare la propria profonda felicità è qui una questione di sopravvivenza. Quando tutto si fa duro bisogna trovare una risposta di speranza in questo carcere a cielo aperto, altrimenti muori già prima di morire. A Gaza siamo venuti ad insegnare alcune basi di yoga e ad imparare a vivere. Lo scambio è impari, riceviamo molto più di quello che portiamo.

Continuano i laboratori di Yoga al sud e Acrobatica al nord e mentre cominciamo ad affezionarci intensamente ai sorrisi e l’ospitalità di tutte le persone che conosciamo, i giorni a nostra disposizione per questa esperienza volgono verso un triste conto alla rovescia. È impossibile non innamorarsi di questo minuscolo lembo di terra e della sua gente. È tutto rotto e tante cose non funzionano bene, eppure il livello di umanità fra le persone e noi è altissimo. Non si capisce perché ma qualcosa si mischia fra una forte gioia ed una sottile malinconia.

Gaza e le sue contraddizioni e difficoltà se ti entra nel cuore non la dimentichi più.


YoGaza

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> Day3: a Gaza si cena a lume di candela

Martedì 22 marzo 2016 – Lo spirito romantico sicuro non manca, ma la ragione principale è che l’energia elettrica viene distribuita a fasce orarie. Chi può sopperisce alla mancanza con un gruppo elettrogeno, ma essendo anche la benzina un bene da centellinare si finisce ad abituarsi ad uno stile di vita più antico e non importa se sei avvocato, impiegato, taxista o contadino. Quando l’elettricità viene staccata, nessuna delle attività cessa, semplicemente assume un altro ritmo ed un altro colore. A meno che si tratti di un ospedale, di una radio, dell’università, di una televisione o di un attività commerciale, dove invece l’inadeguatezza delle infrastrutture, all’interno di una società così avanzata, si avverte con disagio enorme. Dal rubinetto l’acqua scende salata. Non sono i tubi troppo vecchi, anzi, è l’acquedotto della Striscia che attinge direttamente dal mare. La distribuzione dell’acqua dolce, ma non da bere, avviene privatamente attraverso autopompe che riempiono enormi serbatoi casa per casa. Le fogne scaricano direttamente in mare, lo stesso mare da cui l’acqua viene portata nelle case. Penso che se tornassi qui mille volte troverei ogni volta una Striscia diversa, perché le guerre avvengono e le ricostruzioni seguono. Tutto muta ma la vita rimane sempre uguale a se stessa. Se sei giovane o se sei vecchio e hai dei sogni devi sperare che siano realizzabili qui dentro, perché da Gaza non si scappa, non si esce, non si cresce. “Why do the war happen? I was supposed to be in Tel Aviv drinking beer now”. Cosi le parole di Jimmy ci sorprendono mentre beviamo un tè sulla spiaggia mentre osserviamo il mare.

Il gruppo di acrobatica ha lavorato molto sodo oggi. Prima lezione al Gaza Circus Team di Shajayye cominciando dal fabbro e tutti i ferri del mestiere per montare i ganci alle travi e apprendere trapezio e tessuti. A terra materassi da casa, e mezzi di fortuna per raggiungere ogni obiettivo. Tanta voglia di fare, di partecipare, provare sempre qualcosa di nuovo ed energia inesauribile. La risposta alla prima classe è stata entusiasmante e persino amici e passanti si sono avvicinati alla scuola per vedere le insegnanti e imparare qualcosa di nuovo. Un pranzo al volo in macchina e una nuova classe alla School of Gaza Circus a Bethlaja un altra città della Striscia. Come nell’altra scuola ognuno indossa la maglietta uniforme del team ma a differenza dell’ altra classe gli allievi erano insegnanti che poi formeranno i prossimi giovani. Accoglienza disarmante e selfie per ogni diversa espressione del volto.Il gruppo yoga ha praticato all’università Al Aqsa, l’ università islamica, al dipartimento dello sport, già partner dei progetti legati al festival dello sport fra l’Italia e Gaza. Una lezione morbida Hata Yoga, Parinama e Pranayama.
We love heart Gaza! We stand with Gaza!

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> Day 2:Gerusalemme, primo giorno di primavera 

Lunedì 21 marzo 2016 – Con disappunto e delusione generale, anche oggi la giornata è partita con un “la procedura di coordinamento è ancora in corso” e mentre ci dirigevamo a Betlemme in una delle associazioni partner del progetto per cominciare a praticare le nostre attività in West bank, con la carica di chi questo posto lo vuole vivere e capire non leggendo analisi e informazione stampata, ma vedendo e vivendo la contraddizione, in quel momento, con un piede sullo scalino del bus sbagliato, è arrivata la chiamata che ci veniva permesso di entrare nella Striscia.

Siamo a Erez. Eppure queste armi sembrano giocattoli. Vengono tenute in mano come quando si giocherella con la penna. Sono leggere ed un po’ graffiate. Davanti a me un militare la impugna appoggiato ad un banchetto con la canna orientata su un giovane palestinese in sedia a rotelle. A momenti la sposta e la punta contro di me mentre il suo sguardo è altrove. Potrebbe farci fuori tutti, magari anche per errore o magari con intenzione, so che non succederà, ma questa scena mi fa pensare all’estrema sottigliezza del filo che divide fra la vita e la morte. So di non essere un bersaglio, ma quel fucile non è come quello che usavamo io e mio fratello quando giocavamo a softair.

L’abitudine alle armi si fa in fretta, come si fa in fretta l’abitudine a non avere nessun atteggiamento di sospetto. Se lui pensasse male basterebbe un click, e via sei morto. Poi non so che puoi fare quando sei morto e allora ti attacchi alla vita e ti comporti come te la puoi tenere addosso il più a lungo possibile.
Questo check point, è luogo della diffidenza, pare che ogni oggetto che trasporti potrebbe causare chissà quale disastro. Anche un obiettivo fotografico si trasforma nella ragione per cui perdere mezz’oretta a rispondere a domande. Finalmente entriamo, con il timbro su un post-it giallo. Una lunga camminata all’interno di un corridoio di gabbia che ci rivela il muro e la vita palestinese, popolo che sulla buffer zone ci vive, ci coltiva e ci porta le pecore al pascolo.

Un’ora per incontrare i giovani del centro culturale italo palestinese Vik, nostro partner, sostenitore e facilitatore e subito via per i sopralluoghi nelle prime strutture in cui montare trapezio e tessuti. La prima tappa è a Baitlahia dove ci attendono un gruppo di ragazzini dagli occhi furbi e curiosi. Il tempo di un selfie e si rimonta in macchina per sfrecciare alla seconda palestra. Mentre scendiamo dall’auto il sole sta già calando dietro i palazzi mezzi distrutti di Gaza e la luce si fa fioca, ma ancora si intravedono uomini in giacca e cravatta nel bel mezzo di una veglia funebre. Ci scambiamo i saluti in tutte le lingue che conosciamo, ciao, hallo, hola, salam alekum. Dopo pochi minuti sono tutti incuriositi dalla nostra presenza ed entrano sfacciatamente nella palestra per rendersi attraenti ed indispensabili. Ultima tappa della nostra prima giornata è Shajha Sgujaeya, il quartiere più massacrato della Striscia a causa della sua vicinanza con la buffer zone. Qui la guerra ha lavorato dal basso verso l’alto ed anche in orizzontale, attraverso l’aviazione, la marina e le forze di terra dell’esercito occupante.

I Gaza Circus ci aspettano da ieri sera con succhi, biscotti e tanta voglia di mostrarci quello che sanno fare.

Domattina saremo all’università Al Aqsa per preparare le prestazioni per lo yoga parinama del maestro Bruno Baleotti. L’ emozione è alle stelle. Essere qui e aver rotto l’assedio per un minuscolo momento superando quel confine quasi insuperabile è un’onore ed un’opportunità inspiegabile.
Solidarietà e rispetto al popolo palestinese che vive sotto occupazione dell’ esercito israeliano dal 1948.

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Foto da YoGaza

>Day 1: Yogaza e Acrobatic4Gaza

Domenica 20 marzo 2016 – 24 ore a Gerusalemme e ancora non abbiamo ottenuto i documenti per entrare a Gaza. Le procedure sono in atto e oggi le autorità di occupazione israeliane hanno effettuato diverse chiamate per verificare l’attendibilità del nostro progetto. Una parte del materiale che ci eravamo portate per montare le postazioni yoga è andato smarrito nel viaggio. Tutto materiale edile che speriamo di poter recuperare all’interno della striscia. Gli attrezzi da acrobatica per fortuna invece sono intatti. La città di Gerusalemme appare altamente militarizzata, vi sono gruppi di militari e posti di controllo ovunque, così come check point in prossimità dei luoghi più a rischio. Mitra appesi al collo se ne vedono tanti, anche a coloni in atteggiamento non altamente militare, come guidare il motorino o a passeggio in borghese. Ultimamente la presenza di militari in città è cresciuta esponenzialmente a seguito di quella che viene chiamata l’ intifada dei coltelli. Apparentemente Gerusalemme è una città bella da vivere, sicura e accogliente, internazionale e ricca culturalmente.In realtà è storicamente città simbolo del conflitto israelo – paleatinese e il fatto che sia riconosciuta come capitale da entrambe gli stati ha fatto si che nel tempo si susseguissero continue dispute e conflitti relativi a quartieri, isolati e confini territoriale. Ogni abitazione dei coloni ha una stanza bunker e questo racconta bene come il quotidiano qui abbia il sapore dell’attesa della guerra.

L’ intifada dei coltelli ebbe inizio a luglio 2015, dopo che degli ultra ortodossi misero fuoco ad una casa palestinese in Cisgiordania e un neonato fu bruciato vivo. Oggi i coloni e l’esercito d’occupazione israeliano hanno l’obbligo di sparare a vista a qualunque palestinese sospetto. Sono già centinaia i palestinesi rimasti uccisi in questo conflitto e decine i militari israeliani.

Fra poche ore sapremo se potremo entrare la Striscia. La trepidazione é forte!

Yo-Gaza e Acrobati-Gaza per Moving to Gaza