Su Zic.it la seconda puntata di una serie di interviste a rapper e dj della scena hip hop. Kento ci parla di repressione a carico degli artisti e libertà di parola, della necessità di superare la misoginia dei testi, degli “spazi davvero nostri perchè ce li prendiamo” e del bagno di realtà portato dalla pandemia.
Dopo l’intervista a Inoki, prosegue lo speciale sulla situazione del rap in Italia: questa volta incontriamo Kento.
Vorremmo partire da quanto sta succedendo in Spagna dove la magistratura negli ultimi dieci anni ha portato in giudizio molti rapper per le loro parole contro la monarchia, da Valtonyc costretto all’esilio in Belgio dopo una condanna a tre anni fino a Pablo Hasel recentemente finito in carcere. Che ne pensi?
In Spagna certo, ma in realtà sta succedendo in varie parti del mondo e ci racconta di come paradossalmente il rap sia efficace, di come i rapper siano diventati una voce temuta dal potere. Se non fosse così non ci sarebbe tutta questa repressione, quindi per assurdo è qualcosa che ci deve anche rendere coscienti della forza del nostro mezzo espressivo: questo tipo di repressione ieri sarebbe toccata ai cantautori o ad altri tipi di artisti. Ed è anche vero che non sta succedendo soltanto nella penisola iberica, sta succedendo ovunque, anche in Italia: qui abbiamo il caso di Bakis Beks (a processo per oltraggio a seguito di un concerto antimilitarista a Nuoro) che secondo me è un caso molto emblematico .
Anche in Italia la repressione è molto forte, anche verso diverse forme artistiche, che ne pensi di quanto successo al writer Geco? E come mai la scena rap ha così tante difficoltà a prendere posizione?
Guarda il caso di Bakis Beks, ma anche quello di Geco, penso che la difficoltà della scena italiana sia una difficoltà endemica, atavica, nel prendere posizione, perché non credo che ci siano dei rapper che possano essere a favore della censura o contrari alla libertà di parola, però secondo me prendere posizione per molti è una scelta “rischiosa” perché prendendo posizione ti alieni un determinato tipo di pubblico, un determinato tipo di ascoltatore e questo non è accettato da tutti.
Da cosa pensi derivi tutta questa misoginia e questo maschilismo nei testi di molti rapper degli ultimi anni?
Il maschilismo e la misoginia purtroppo fanno parte da sempre di determinati testi rap, non di tutto il rap, ma di determinati testi rap sì… Però il fatto che un qualcosa ci sia sempre stato non significa che ci deve stare per sempre, no? E sia per chi ascolta ma anche per chi scrive, come noi artisti, penso sia arrivato il momento di superare determinati ridicoli steccati e provare a dire qualcosa di più intelligente, di più innovativo da questo punto di vista.
Qual è il tuo rapporto con gli spazi occupati e i movimenti?
Direi ottimo da sempre, anche se in questo momento è un rapporto epistolare più che altro; però non vedo l’ora di tornare sul palco. A volte mi immagino sul palco del Forte Prenestino, un luogo dove ho vissuto alcuni dei miei concerti più belli, ma mi immagino anche in Val Susa, mi immagino veramente in tanti, tanti posti meravigliosi, dal nord a sud, che poi sono gli spazi veramente nostri, che non sono quelli che ci vengono concessi graziosamente dal mercato e dall’economia capitalista, gli spazi nostri sono solo quelli che ci prendiamo.
In francia i lavoratori dello spettacolo, soprattutto quelli dei teatri, hanno occupato molti teatri… La crisi per i lavoratori dello spettacolo è durissima, secondo te come se ne esce? La soluzione può essere quella di organizzarsi anche qui?
Dalla crisi si esce facendo movimento, facendo sindacato, per quanto può essere possibile nel mondo della musica. Il potere si combatte col contropotere. Non c’è alcun dubbio che questa crisi sia stata anche un bel bagno di realtà, soprattutto per noi rapper che molto spesso ci sentiamo coccolati, ci sentiamo come dire più importanti, forse di più di quello che siamo: perché è bastato grattare la patina della crisi e siamo diventati sacrificabili. Secondo me dobbiamo portarci dietro questa cosa, un senso di comunità che finora forse c’era stato troppo poco e cercare di farlo sopravvivere alla pandemia.
Che progetti hai in cantiere? So che lavori molto coi laboratori hip hop, vuoi parlarcene?
Di progetti in cantiere ce ne sono parecchi: tanti laboratori in programma, tanti eventi, per esempio in collaborazione col Salone del libro di Torino dove sono uno degli autori adottati dal Salone stesso, quindi farò per conto loro una serie di incontri con detenuti. In particolare con la casa circondariale di Locri, un posto vicino alle mie radici visto che sono di là: insomma tutta una serie di eventi per culminare in presenza, se tutto va bene, a Torino.
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