Su Zic.it la prima di una serie di interviste ad alcuni tra i rapper e i dj più legati all’immaginario hip hop. Con Inoki discutiamo di libertà d’espressione e spazi autogestiti, della crisi subita in questi mesi dalle/i lavoratrici/ori dello spettacolo e del problema del maschilismo, dell’impoverimento culturale di Bologna e dello strapotere del marketing.
“L’originario rap fa il fuoco in pista / si fa largo in una società razzista” (Assalti Frontali)
Un tempo l’hip hop era questo, Pace, Amore, Unità e Divertimento, un messaggio da portare avanti, una risposta comunitaria ad una società del consumo opprimente ed elitaria: alcuni la definirono la CNN dei poveri, un mezzo di espressione potente per chi non ha mai avuto mezzi, una maniera per dare in mano una penna e un quaderno ai ragazzi nei blocchi americani, una valvola di sfogo, un megafono per la protesta, una maniera nuova e diversa per raccontare e raccontarsi. Ma cos’è cambiato in questi anni? Com’ha fatto una cultura di strada fieramente anti pop a trasformarsi in pochi anni nella nuova musica pop? In questo speciale, in questa rubrica, intervisteremo alcuni tra i rapper e i dj più legati a quell’immaginario hip hop che affonda le sue radici nella strada e nella protesta provando con loro a capire cosa stia succedendo al rap in Italia. Quella che segue è la prima intervista, realizzata con Inoki.
Vorremmo partire da quanto sta succedendo in Spagna, dove la magistratura negli ultimi dieci anni ha portato in giudizio molti rapper per le loro parole contro la monarchia, da Valtonyc costretto all’esilio in Belgio dopo una condanna a tre anni fino a Pablo Hasel recentemente finito in carcere. Che ne pensi? e come vedi la libertà di espressione in Italia?
Credo che un rapper esprima le sue opinioni con la sua arte, che ogni uomo debba essere libero di esprimere le sue opinioni, poi si può essere o meno d’accordo con le opinioni del rapper o di qualsiasi individuo, ma trovo veramente medievale che venga citato in giudizio, e assurdo si possa arrivare al punto di carcerare una persona per questo motivo. Credo che in Europa nel 2021 una cosa del genere sia veramente vergognosa, c’è qualcosa che non va, è una cosa gravissima. In Italia c’è la libertà di espressione basata sui due pesi e le due misure: dipende sempre da chi si esprime, come la legge, dipende sempre da chi la interpreta. L’Italia funziona così, certe persone possono dire quello che vogliono, altre non possono dire niente. Il problema è che il rap lo vedo male, perché i rapper, o meglio i rapper di spicco, quelli più in vista, si esprimono sempre e solamente per fare del marketing, mai per fare della comunicazione, figuriamoci per fare della politica, quello ormai è diventata utopia purtroppo, anche se in realtà in Italia rap nasce proprio così. In Italia la libertà di espressione la vedo finta, poi però vedo anche questi nuovi ragazzi, stranieri particolarmente, che magari non hanno nessuna coscienza politica non hanno grandi ideali ma hanno tanta tanta rabbia da descrivere, e la esprimono. Spero che non vengano repressi perché comunque vedo che prendono posizioni importanti contro lo Stato, anche se magari lo fanno in modo spontaneo, lo fanno in modo ingenuo forse, però già che lo facciano è una grande cosa.
Anche in Italia la repressione è molto forte verso diverse forme artistiche, che ne pensi di quanto successo al writer Geco? E come mai la scena rap ha così tante difficoltà a prendere posizione?
In Italia, paese di poeti e artisti, c’è questo grande problema che se sei poeta o se sei artista sei un vandalo. Il writing purtroppo non è rispettato in Italia come arte, ma è ancora per tutti puro vandalismo, a volte può essere vero, a volte non è così, ma credo che l’unica soluzione per questo problema sia dare spazi e dare colori a chi ha voglia e bisogno di esprimersi attraverso l’arte del disegno della street art, dei murales o del writing. Credo sia la cosa più sbagliata mettere in carcere un writer, una grande offesa a tutta la storia dell’arte italiana, la repressione non è mai la soluzione, se gli dai colori e gli da gli spazi e gli dai il modo di esprimersi gli dai una soluzione.
Tu militi anche nella crew degli Assalti Frontali, i primi a far rap in italiano e con una visione molto militante, qual è il tuo rapporto con gli spazi occupati?
Assoluto rispetto… il mio rapporto con gli spazi occupati nasce quando avevo 13 anni a Imperia, li frequentavo…ho iniziato a frequentarli da molto giovane, poi quando mi sono trasferito a Bologna ho sempre frequentato gli spazi sociali, li ho sempre preferiti alle discoteche, li ho sempre preferiti agli altri spazi di socialità, ai bar, ai pub, ai ristoranti, perché mi sono sempre sentito a casa. Un po’ perché miei genitori vengono da quel mondo e un po’ perché respiro quell’aria di libertà che non respiro da altre parti. Ora vivo in Salento, qua non esistono, mi mancano, mi mancano tanto in questo momento di Covid. Mi manca tantissimo lo spazio sociale… devo dire che sono anche cambiati negli anni, hanno preso varie correnti… io le amo tutte, a me piacciono sia quelli super compagni, dove non puoi fare “niente”, sia quelli super anarchici dove magari lo spirito è diverso… e anche quelli che poi si sono trasformati in veri e propri Sert… Mi piacciono anche quelli, amo tutti i centri sociali, amo tutta la cultura antagonista e sono fiero di far parte di Assalti Frontali perché è il primo gruppo rap che ho ascoltato e la consapevolezza di far parte di un gruppo del genere mi rende fiero ogni giorno di quello che sono, a prescindere dai numeri e dai risultati che si ottengono con la musica. Grazie al rapporto che ho con il mondo dei centri sociali, con la cultura antagonista, non mi è mai interessato arrivare per primo, ma arrivare bene e arrivare tutti.
E’ uscito da poco il tuo nuovo disco ed ora con Rap Pirata dovrebbe uscire un nuovo Ep, ci potresti parlare un po’ del collettivo Rap Pirata e dei tuoi progetti futuri? Tra l’altro in un periodo in cui son tutte “gang” è molto interessante che abbiate usato il termine collettivo…
E’ uscito da poco Medioego, disco che ho fatto sotto etichetta Asian Fake, distribuita da Sony Music, e quindi in modo parecchio istituzionale, e sono contento, perché ne avevo bisogno, era tanto tempo che non mi confrontavo con il mondo dell’industria della musica mainstream. Per fortuna avendo creato già da tempo il collettivo Rap Pirata, che quest’anno compie 10 anni, ho sempre non uno ma due piedi nel mondo della strada legato alla cultura antagonista, perché Rap Pirata nasce così, per togliere i ragazzi dalla strada, ragioniamo da volontari dell’hip hop, cosa che ormai si è un po’ persa in questa giungla di ragazzini e non che usano il rap e l’hip hop solo per il loro riscatto economico personale. Con Rap Pirata ho appena pubblicato un Ep che è un omaggio per i solo i tesserati, perché Rap Pirata da collettivo è divenuta associazione culturale. Noi non vogliamo che il nostro nome venga associato al discorso delle gang, perché tentiamo di uscire da quel mondo con la musica, mentre invece in molti hanno travisato lo spirito dell’hip hop e si fanno chiamare gang. Al momento stiamo tentando di diventare Onlus, per questo con i fondi raccolti dal nostro tesseramento c’è in ascolto gratis l’Ep, degli sconti sul merchandising, e una serie di eventi dedicati. Stiamo cercando di diventare una Onlus, anche per poter partecipare ai bandi per i progetti legati ai ragazzi.
In Francia i lavoratori dello spettacolo, soprattutto quelli dei teatri, hanno occupato molti teatri… la crisi per i lavoratori dello spettacolo è durissima, secondo te come se ne esce? La soluzione può essere quella di organizzarsi anche qui?
La crisi per i lavoratori dello spettacolo è durissima, come è durissima per tutti, ma forse per noi di più, perché noi siamo stati proprio uccisi, ci sono state tagliate completamente le gambe. Gente che magari riusciva ad arrivare a 800 euro al mese con i suoi concertini, con le sue cose autoprodotte, si è trovata completamente a zero, quindi sì, siamo nella merda. Siamo nella merda noi ma anche i grandi iniziano a sentire la crisi. Poi lo sappiamo benissimo che i francesi sono sempre meglio di noi su tutto quello che è “rivoluzione”, loro quando si incazzano si incazzano, noi non siamo come loro. Come se ne esce? Se esce lavorando, ma devono permetterci di lavorare, l’unico modo per uscirne è rincominciare a poter fare quello che abbiamo sempre fatto e io sono d’accordo con le occupazioni francesi.
Perchè molti testi rap italiani si caratterizzano per maschilismo e misoginia?
Dopo il ventennio Berlusconi, di cultura del bunga bunga, di tratta delle veline. Anni in cui la comunicazione è stata avvelenata dal concetto che le donne sono troie e gli uomini sono machi. Cosa ci possiamo aspettare da artisti che aspirano ad entrare in quel mondo? Per fortuna non siamo tutti così.
Sei cresciuto a Bologna, una Bologna che probabilmente non c’è più, ma che per la scena rap italiana è stata fondamentale, dall’Isola del Kantiere con la sua Posse e le serate Ghetto Blaster passando per Zona Dopa e le sue serate al Livello fino al 2theBeat al Link, cosa ne pensi dell’attuale mancanza di spazi?
Penso che ci vorrebbero più spazi, io sono contento quando aprono uno spazio e soffro quando chiudono. Bologna prima era una città molto libera, quando l’ho vissuta io negli anni 90 ma fino a un certo periodo, direi fino al 2007, e dopo c’è stata una repressione senza precedenti che ha portato a una povertà culturale impressionante, in cui poi gli artisti non hanno più avuto voglia di stare a Bologna. Io che sono un artista che sono cresciuto a Bologna addirittura me ne sono andato. Una volta in la gente veniva a Bologna per fare arte adesso uno di Bologna scappa da Bologna per fare arte, questa cosa è agghiacciante se ci pensi. Io do la colpa alle istituzioni principalmente, magari è anche colpa un po’ nostra, ma la grande colpa è loro, perché non sono riusciti a dare… Hanno sempre solo messo delle sbarre e delle barriere invece di distruggerle e il risultato è questo, quello che abbiamo oggi a Bologna. Che poi non è male, voglio dire Bologna è meglio, molto meglio, di tanti altri posti, però purtroppo non è più quella di prima, come un po’ dappertutto…
Sembra che si sia creata una spaccatura insanabile fra un certo tipo di rap votato all’apparenza ed uno più di sostanza che sa interpretare i bisogni sociali e di chi è emarginato ma che è relegato all’underground, che ne pensi?
Quando mi chiedete di questa spaccatura tra rap fatto di sostanza e rap fatto di apparenza vi dico è vero, avete ragione, il problema è che le multinazionali si sono comprati tutti i rapper. Il problema è che la maggior parte dei rapper quando hanno visto i soldi hanno smesso di combattere, e forse perché non avevano dei veri ideali per cui combattere. Eppure vedo nell’ultimissima generazione degli adolescenti di oggi che fanno rap una grande rabbia, una grande voglia di esprimerla. Come ti ho detto prima purtroppo non hanno coscienza politica e questo mi dispiace, perché non conoscono le radici della nostra musica, purtroppo quando arrivano i soldi lo sai com’è, no? E’ dura, specialmente crescendo, specialmente diventando grandi, anche per me oggi come oggi che sono padre e devo mantenere una famiglia e sono di estrazione proletaria faccio fatica a rifiutare delle offerte da sponsor e brand quando arrivano. Secondo me l’importante è avere consapevolezza, scegliere come muoversi, non per forza andare con i paraocchi e dire voglio fare i soldi e basta, ma dirsi ok, è giusto fare dei soldi per sopravvivere ma è anche giusto mantenere la propria identità, mantenere degli ideali e continuare a trasmettere dei principi ai ragazzi. Perché fondamentalmente il rap nasce per questo, per tramandare degli insegnamenti positivi, fare politica di strada.
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