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Lettera aperta al Sottotetto, ai centri sociali e alla scena reggae italiana

Il cantante reggae Sizzla, autore di testi omofobi e razzisti, tornerà in Italia il 12 novembre al Sottotetto Sound Club di Bologna. Una lettera aperta si schiera contro questa sgradita visita.

29 Ottobre 2009 - 20:13

Da noi è un dibattito teorico, in Giamaica ci si gioca la vita
Maria Carla Gullotta
Amnesty International Giamaica

Il 12 novembre 2009 torna in Italia Sizzla, star del panorama reggae
giamaicano, al Sottotetto di Bologna.

Sono almeno 5 anni che assistiamo e partecipiamo al dibattito sui testi
omofobici e sessisti di alcuni pezzi reggae. Per chi ancora non lo
sapesse, e ci rivolgiamo soprattutto ai reggae boyz italiani,
probabilmente avremo spesso ballato senza saperlo su liriche che urlano
di sparare ai gay o di picchiare chi pratica la sodomia o il sesso
orale. Buju Banton, Capleton, Sizzla, Beenie Man, il movimento dei Bobo
Dread e in generale parte della musica che ruota intorno alle dance-hall
e al ragamuffin, hanno veicolato a partire dagli anni ’90 messaggi di
odio verso gli omosessuali, le lesbiche e in generale verso la libertà
sessuale, che sarebbe, secondo loro, una sorta di corruzione determinata
dalla società occidentale, al pari dell’inquinamento e del capitalismo.

Questa reazione alla libertà sessuale, più che farci venire in mente i
padri del reggae, il rastafarianesimo e le positive vibrations, ci
sembra molto simile a quello che pensa Ratzinger, insieme alla
maggioranza del parlamento italiano e a buona parte dei suoi cittadini,
che vengono ogni giorno imboccati dalla televisione e temono qualsiasi
cosa o persona presenti delle differenze rispetto alla loro presunta
normalità: rumeni, musulmani, burqa, famiglie moderne e allargate,
droghe leggere o pesanti. E ovviamente lesbiche, gay, trans, bi, tri o
polisessuali, e in generale chiunque cerchi di vivere fuori dai modelli
patriarcali di famiglia, mascolinità e femminilità.

Questo assalto volgare e violento alla nostra libertà sessuale non può
che farci  pensare agli immigrati deportati nei centri di detenzione,
alle leggi in difesa di tutti gli orientamenti sessuali che non passano
in parlamento, alle prostitute trans inseguite e picchiate da “normali”
maschi romani e alle telecamere del tg1 alle loro spalle. Alla legge
Fini sulle droghe, alla legge Bossi-Fini sull’immigrazione e a quelle in
difesa esclusivamente del matrimonio cattolico eterosessuale. Ci fa
pensare al razzismo, al fascismo, al sessismo, che sempre di più si
manifestano per quello che sono e cioè come diverse facce di una stessa
medaglia.

Cosa c’entra tutto questo con l’amore universale? Il reggae in passato è
stato principalmente veicolo di messaggi di liberazione dal razzismo e
dal proibizionismo, di rispetto e di amore verso tutto l’esistente, e in
questo è riuscito a fare breccia in tutto il mondo e ha dato voce alla
cultura giamaicana. Forse qualcuno è escluso dalla “sana ed olistica
esistenza nel mondo” che a parole Sizzla afferma? Che strano tipo di
olismo e di amore universale ha in mente!

Noi pensiamo che ogni cultura e ogni società debbano innanzitutto fare i
conti con se stesse. La Giamaica negli ultimi anni è stata attraversata
da molti problemi, non da ultimo le violenze dei ghetti che coinvolgono
polizia, ragazzi di strada, gangster sanguinari e in generale il suo
tessuto sociale. Spesso i bersagli di questa violenza sono state le
donne, i bambini, gli omosessuali.
Una parte del reggae, in particolare gli autori citati ma non solo, si è
prestata a veicolare questa cultura di violenza, facendosi forte del
fatto che la cultura reggae e quella giamaicana non hanno ancora
sviluppato gli anticorpi verso le intolleranze sessuali.
Ma probabilmente questi anticorpi stanno nascendo ora: anche il governo
giamaicano ha preso le distanze dalle liriche omofobiche, e ad esempio
il grande poeta-cantante dub Linton Kwesi Johnson, per citarne uno, ha
descritto questi cantanti come “qualche cretino che accarezza nel senso
del pelo i bassi istinti del pubblico”.

Secondo noi il problema è un altro. Il problema è capire perché un
locale come il Sottotetto e tanti altri e altre in Italia, così come
molti ragazzi e ragazze che frequentano gli spazi sociali, e tante altre
persone che noi riteniamo nostri “vicini”, non abbiano voglia o
interesse a prendere le distanze definitivamente dal sessismo e
dall’omofobia. Forse il Sottotetto e i suoi clienti sotto sotto pensano
davvero che l’omosessualità sia innaturale, oppure che l’uomo sia
superiore alla donna e che risolvere le discussioni con la forza sia un
virile punto d’onore? Anche noi siamo clienti del Sottotetto e più volte
ce lo siamo chiesto.
I locali e gli organizzatori dei concerti si trincerano dietro
dichiarazioni di facciata come il REGGAE COMPASSIONATE ACT, una
velleitaria paginetta scritta nel 2007, in cui Sizzla, Capleton e Beenie
Man si impegnano a “non offendere nessuno” e a non cantare più i testi
contro i gay, come se fosse una specie di confessione che ti libera dai
peccati. E ovviamente i peccati li puoi rifare, e ti puoi confessare di
nuovo, tant’è vero che qualche giorno dopo lo stesso Sizzla si prendeva
gioco di questo documento risuonando quelle canzoni in Germania e in
Italia e lasciando cantare le frasi incriminate ai suoi fan (italiani,
che probabilmente non conoscevano neanche il significato di quello che
cantavano).

Ci chiediamo, preoccupate e preoccupati, se i virus dell’intolleranza
religiosa, del machismo patriarcale, del sessismo misogino e della paura
delle differenze non siano tornati tra di noi, magari inconsapevolmente.
Ci rifiutiamo di credere che i gestori del Sottotetto senza Sizzla o
Capleton non possano andare avanti economicamente: ci viene da pensare
più che altro che non abbiano voglia di fare altri conti. Personali, non
economici.

Noi chiediamo al Sottotetto, alle e agli amanti del reggae, ai centri
sociali italiani, di decidere di fare i conti con la libertà sessuale di
ognuna e ognuno di noi. E per questo chiediamo di rinunciare al concerto
di Sizzla.

Vorremmo evitare di ricorrere ancora una volta al boicottaggio, facendo
finta che il nostro problema sia un cantante del Centro America e non la
cultura intollerante che abbiamo ancora dentro noi italiani, bianchi,
occidentali.

Bologna, 29 ottobre 2009

Laboratorio Smaschieramenti
Collettivo Figliefemmine
Antagonismogay
Collettivo Clitoristrix femministe e lesbiche
Facciamo Breccia
Fuoricampo Lesbian Group
MIT – Movimento identità transessuale – Bologna
Associazione Comunicattive
QueeRing – Frangette Estreme

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infosmaschieramenti@inventati.org