Recensione cinematografica in anteprima

La rabbia di Louis Nero

Il film vuole essere un omaggio alla magia del cinema, all'illusione che la proiezione crea ma tuttavia percorre anche una tematica realista, la difficoltà di portare a termine un processo creativo senza il supporto di un budget.
9 marzo 2008 - Marcello Aguidara e Simona Cristinziano

Cinema int

Regia di Louis Nero, Italia 2008. Con Franco Nero, Nico Rogner, Tinto Brass, Faye Dunaway, Giorgio Albertazzi.

“La Rabbia” è la storia di un giovane regista che si scontra con le difficoltà produttive tipiche del sistema cinematografico italiano. Dopo essersi presentato invano a produttori senza scrupoli, il regista decide di autofinanziarsi con una rapina in banca. Se nel precedente trittico Hans, Piano Sequenza e Golem, Nero rifletteva sul linguaggio cinematografico, adesso sposta il suo baricentro sulla macchina - cinema, mettendo in scena un delirio dall’andamento onirico, costellato da apparizioni, personaggi stravaganti, dialoghi stranianti e luoghi surreali. L’intenzione è di inseguire un’idea di racconto scevra da ogni condizionamento classico, tipica del metodo di straniamento di Brechtiana memoria. E’ forte la critica che Nero, sia regista che scrittore, rivolge al sistema produttivo italiano, mettendo alla berlina la figura del produttore attraverso le più svariate sfaccettature: l’intellettuale, l’erotico (interpretato con malizia da un Tinto Brass sornione), il commerciale.

Allo stesso tempo però l’autore sviluppa una riflessione sui meccanismi che stanno dietro la creatività, necessità irrinunciabile a suo dire, perché “l’umanità esiste per creare opere d’arte”. Tale riflessione si esplicita attraverso il cammino del giovane tra figure che rappresentano tipi, piuttosto che personaggi. C’è un Mentore, interpretato da un insuperabile Franco Nero, che con fare paterno rivela al suo discepolo il segreto alla base di ogni buona produzione artistica: la rabbia. Ci sono due Sceneggiatori intenti a modellare l’Idea in una storia intelligibile. Ci sono figure emblematiche, come lo Spazzino, il Cane, il Nonno, che fungono da materializzazioni dei pensieri inconsci del protagonista ed interagiscono con una personalità ondivaga, che non riesce a trovare la chiave giusta per canalizzare la propria rabbia. Fin troppo chiaro il ritratto di una situazione cinematografica, come quella italiana, in cui lo spazio dato alle giovani opere viene sempre occupato da meccanismi commerciali ormai imperanti. Ma anche se le buone intenzioni sono state percepite, purtroppo, l’insieme è confuso, didascalico e fortemente supponente. Nero richiama colossi del cinema e del teatro, come Fellini e Brecht, rimanda a Magritte e cita se stesso come se fosse un emblema della libertà della narrazione. Il risultato è una pretenziosa ed eccessivamente seriosa decostruzione del cinema, un 8 e ½ da tre soldi narrato come se fosse un canto funebre.

Il film è immerso in un buio fin troppo didascalico che vuole rimandare ad una non specificabile condizione metafisica, ed è ambientato in scenografie al limite del dilettantesco. Le musiche di un grande compositore come Bacalov servono ben poco a risollevare quest’accozzaglia di visioni pseudo-oniriche; i dialoghi da autolesionismo uditivo spacciano per perle di saggezza banalità elementari; le inquadrature ripetitive e fintamente alternative danno alla storia un ritmo eccessivamente tedioso. Nero vuole dimostrare di saper padroneggiare la macchina da presa esagerando in piani sequenza e inquadrature fisse e carrelli, ma costruisce scene che vogliono essere significative e che in realtà non dicono assolutamente nulla, come quelle che ci presentano la ragazza del regista. E il tema principale poi, la rabbia come principio creativo, rimane totalmente inespresso. Più che rabbia, il protagonista ha delle espressioni che trasmettono più un senso di rassegnazione che lo induce alla prova di altre vie solo per potersi dire “le ho provate tutte”; le sue emozioni, la sua rabbia tanto feroce verso questo mondo che non vuole le sue storie, rimane latente. Nonostante il ritmo narcolettico, nel calderone si buttano anche frecciatine indirizzate alla pubblicità e alla televisione, riflessioni sulla natura umana e il suo rapporto con l’arte, disprezzo verso l’intelligenza dello spettatore medio che è visto come omologato nella massa (la scena all’interno della platea del cinema, occupata da personaggi in bombetta provenienti dalla Golconda di Magritte, è una delle poche riuscite), intromissioni fantastiche di una bambina vestita di bianco, che tanto ricorda l’analogo personaggio di Tre passi nel delirio di Fellini (ancora!). Una serie di camei di attori famosi (alcuni anche sul viale del tramonto), come Philippe Leroy, Faye Dunaway, Lou Castel e Giorgio Albertazzi, che sono del resto doppiati in maniera davvero mediocre.

Purtroppo la capacità di Franco Nero di poter rendere al meglio personaggi scritti in maniera così teatrale -nel senso deteriore del termine- non risolleva la media recitativa, inficiata com’è dalla scelta di un attore protagonista franco-tedesco come Nico Rogner, totalmente incapace di usare una dizione corretta.

Voto: 4

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