Afghanistan, gasdotti e politica globale

Il Grande Gioco

Pubblichiamo da Globalproject un interessante analisi di Augusto Illuminati sugli interessi economici e politici che ruotano intorno alla guerra afghana.
18 agosto 2009

> Da Globalproject.info

Di Augusto Illuminati

Sorvoliamo attenti il Grande Gioco, come i Compari del Caso pynchoniani a bordo dell’Inconvenience, e troviamo in diversa combinazione i medesimi protagonisti: americani, russi, inglesi, tedeschi, turchi, ujguri e banditi delle steppe. Bisogna studiarlo su quattro dimensioni, non perché sia uno spazio riemaniano come in Against the Day con la sua invisibile città sepolta di Shambhala, ma perché sotto il territorio tridimensionale dell’Asia centrale e dei mari contigui dobbiamo immaginarci i due percorsi dei gasdotti South Stream e Nabucco, che convogliano i preziosi flussi energetici verso la Turchia e poi l’Europa: con la sottile differenza che il primo attraversa territori russi e il secondo no. Dunque South Stream –come giacimenti e percorso– è soggetto a Gazprom e Putin (e a suoi docili alleati, Ukraina dunque esclusa), mentre Nabucco (i cui giacimenti peraltro non sono ancora definiti) scavalcherebbe il controllo russo (ma non quello turco) e alimenterebbe direttamente l’Europa, senza possibili ricatti né russi né ukraini. L’Italia, ovverosia l’Eni, è socia ai mezzi di South Stream (come la Germania lo è di Nord Stream, a presidenza Schröder, che parte dalla Russia traversando il mare del Nord); entrambe, con molta calma fruirebbero anche di Nabucco come oggi si alimentano con i gasdotti soggetti ai capricci invernali ukraini. L’operazione Eni-Gazprom ha per complemento gli accordi triangolari con Putin e Gheddafi per il gas e il petrolio libici.
Per questo nelle steppe di Shambhala, fra gli altri avventurieri, intravediamo dalla nostra aeronave un nanerottolo con il riporto, ma è proprio lui, il Papi! Il suo precipitarsi prima a Corfù e poi ad Ankara ha suscitato una certa ilarità, ma in fin dei conti il suo saltellante protagonismo è plausibile, se si pensa che dietro c’è l’Eni di Scaroni e dopo tutto anche il rampante cavallerizzo a torso nudo Putin è un fantoccio di Gazprom. Ma che ne pensa Obama? La geopolitica Usa non è cambiata, logico, con il cambio di Presidenza. Obama dunque continua a presidiare il progetto Nabucco e le sue sorgenti in territori poco governati e corrompibili dell’Asia ex-sovietica. Con la stessa mossa tiene al cappio l’Europa, almeno quella parte che a differenza di Italia e Germania non ha altre alternative. Nel gioco rientra il sostegno alla Georgia e soprattutto la presenza in Afghanistan, costi quel che costi (tanto meglio se una parte del costo in dollari e sangue è addossata agli Europei). Oltre tutto in tal modo si tengono sotto pressione India e Cina, che non possono senza permesso approvvigionarsi del petrolio irakeno e iraniano – dare un’occhiata a Google Earth per capire. Il pagliaccio che si ficca in mezzo fra Erdogan e Putin, scammella con Gheddafi e ancora si vanta di aver mediato l’armistizio fra Russia e Georgia comincia a dar fastidio. Vero che ha buttato qualche Tornado e blindato Lince in più in Afghanistan, ma a che gioco sta giocando? Anche con gli iraniani non si capisce. La stampa internazionale (e i deferenti quotidiani “indipendenti” nazionali) riaprono allora le ostilità, lasciano filtrare vecchie intercettazioni e foto, cercano di rianimare le opposizioni in coma.
Dietro questa farsa mediatico-ricattatoria (non riusciamo neppure a immaginarci quante siano le cimici elettroniche e le escort-spie annesse al regalo putiniano del famoso “lettone”) c’è però una contraddizione oggettiva e drammatica: il nostro impegno in Afghanistan. Tutti sanno benissimo che si tratta di una guerra coloniale e perdente, a sostegno di un alleato (Karzai) impresentabile, infido e colluso con fondamentalisti e mercanti d’oppio, in cui per di più l’unico a guadagnare da una sia pur risicata vittoria sarebbero gli Usa, controllori delle fonti energetiche e dei relativi condotti, mentre l’Europa paga il prezzo della campagna senza trarne vantaggi per il rifornimento petrolifero e le esportazioni nell’area asiatica. Di qui la riluttanza a un impegno reale da parte dei contingenti italiano e tedesco, mentre funziona (con rilevanti proteste interne) quello tradizionale inglese. Karzai, nel frattempo, fa il doppio gioco con Iran e Russia, entrambi interessati soltanto al mantenimento di una fase di stallo, che logora gli americani senza lasciar accedere al potere gli antipatici talebani. In Italia le incertezze di Berlusconi e la spaccatura nella maggioranza fra i tiepidissimi leghisti (contrari a suo tempo anche all’aggressione contro la Serbia) e i filo-americani alla La Russa producono il paradosso per cui gli unici favorevoli senza se e senza ma all’intervento a tutto campo (perfino all’estensione del codice militare per coprire specificamente gli interventi “in vista della pace”) siano Udc e Pd. Tocca ai movimenti rilanciare una campagna politica contro la guerra in Afghanistan, inserendosi in questa contraddizione e non solo agitando la sempre nobile bandiera della pace e del rifiuto del colonialismo. Non è in gioco (solo) una causa umanitaria ma anche un interesse beninteso dell’Europa nella nuova dinamica geopolitica multipolare.

Spostandoci più a Ovest sorvoliamo il tacco dello stivale e, proprio sopra la Puglia, osserviamo con minore curiosità il Piccolo Gioco. Sono le beghe interne del Pd, ovvero di come l’astuto D’Alema stia fottendo l’irascibile Vendola per prendere il potere dentro il Pd dietro lo schermo dell’onesto Bersani. Anche qui si delinea una bella contraddizione, dato che lo sbocco naturale di Sinistra e libertà sarebbe stata la confluenza in un Pd dalemiano, sbarazzato dalle fantasie sulla vocazione egemonica, socialdemocratico aperto a sinistra. Far fuori così brutalmente l’attuale leader di SeL non sembra un buon viatico. Sostituirlo con un esponente dell’Udc, sia la transfuga dal PdL ed efficiente Poli Bortone sia un altro, indica che il prezzo del recupero a sinistra è l’apertura a destra. Non è detto che questo travagliato passaggio (sul presupposto del permanente antagonismo fra Udc e Lega) consenta il mantenimento della presidenza regionale nel 2010. E’ una vecchia storia: lo scorpione D’Alema sa benissimo che pungendo la rana che lo traghetta annegherà lui stesso, ma non può far nulla contro la sua intima natura. Il congresso dilania il Pd e disperde le forze alla sua sinistra (l’enfatico sostegno bertinottiano a Vendola assomiglia a una lapide tombale), lasciando campo libero a Berlusconi almeno per qualche mese. Proprio quelli decisivi per la ripresa delle lotte, che dunque andranno gestite fuori del quadro asfittico della “sinistra”.