Salute Globale

L’influenza dei maiali e il mostruoso potere dell’industria dell’allevamento

La fallita strategia antipandemica dell’OMS, il progressivo degrado della salute pubblica mondiale, la museruola che le grandi case farmaceutiche hanno messo a farmaci vitali, e la catastrofe planetaria rappresentata da prodotti di allevamenti industrializzati ed ecologicamente disastrati. Queste, secondo Mike Davis, le cause che hanno favorito la circolazione dei virus all'interno dei grandi allevamenti mondiali. E dire che gli scenziati avevano avvertito in merito alla possiblità di "episodi di mutazione o ricombinazione che potrebbero generare virus più efficienti nella trasmissione tra esseri umani”.
Mike Davis

Traduzione in italiano per Senzasoste Andrea Grillo ( 29/04/2009 )

virus

Mike Davis (The Guardian)

L’influenza dei maiali messicana, una chimera genetica probabilmente nata nei residui fecali di una porcilaia industriale, minaccia improvvisamente di far venire la febbre al mondo intero. I focolai in America del Nord rivelano un’infezione che si sta spostando a una velocità già maggiore di quella a cui viaggiava l’ultimo virus di una pandemia ufficiale, l’influenza di Hong Kong del 1968.
Rubando la scena al nostro ultimo assassino ufficiale. il virus H5N1, questo virus porcino rappresenta una minaccia di dimensioni ignote. Sembra meno letale del virus della SARS [sigla in inglese di Síndrome Respiratoria Acuta] del 2003, ma come influenza potrebbe risultare più duratura della SARS. Dato che le influenze stagionali addomesticate di tipo A uccidono nientemeno che un milione di persone l’anno, anche un modesto incremento di virulenza, specialmente se combinato con un’elevata incidenza, potrebbe produrre un massacro equivalente a una guerra importante.

Comunque una delle sue prime vittime è stata la fede consolatoria inveteratamente predicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nella possibilità di contenere le pandemie con risposte immediate delle burocrazie sanitarie e indipendentemente dalla qualità della sanità pubblica locale. Dalle prime morti per H5N1 nel 1997, a Hong Kong, l’OMS, con l’appoggio della maggioranza delle amministrazioni sanitarie nazionali, ha promosso una strategia centrata sull’identificazione e l’isolamento di un ceppo virale nel raggio del suo focolaio locale, seguiti da una massiccia somministrazione di antivirali e –se disponibili- vaccini per la popolazione.
Una legione di scettici ha criticato questo approccio di controffensiva virale, segnalando che oi microbi ora possono volare intorno al mondo –quasi letteralmente nel caso dell’influenza dei polli- molto più rapidamente di quanto possano reagire l’OMS o i funzionari locali possano reagire al focolaio originale. Questi esperti hanno osservato anche il carattere primitivo e spesso inesistente della vigilanza sull’interfaccia tra le malattie umane e gli animali. Ma il mito di un intervento audace, preventivo (ed economico) contro l’influenza dei polli è risultato utilissimo per la causa dei Paesi ricchi, che come gli USA e il Regno Unito preferiscono investire nelle loro proprie linee Maginot biologiche piuttosto che incrementare significativamente l’aiuto ai fronti epidemici avanzati di oltremare. Ed ha avuto un valore inestimabile, questo mito, per le grandi transnazionali farmaceutiche, impegnate in una guerra senza quartiere con le esigenze dei Paesi in via di sviluppo che esigono la produzione pubblica di antivírali generici chiave come il Tamiflu brevettato dalla Roche.

La versione della OMS e dei centri per il controllo delle malattie, secondo cui tutto è pronto per affrontare una pandemia, senza ulteriori necessità di nuovi massicci investimenti nella vigilanza, nelle infrastrutture scientifiche e normative, nella sanità pubblica di base e nell’accesso globale a farmaci vitali, sarà ora messa alla prova in modo decisivo dall’influenza dei maiali, e forse verificheremo che appartiene alla stessa categoria della gestione “ponzificata” del rischio (1) dei titoli e delle obbligazioni di Madoff. Non è così difficile che i sistemi di allarme falliscano, tenuto conto che semplicemente non esistono. Neppure nell’America del Nord e nell’Unione Europea.
Forse non è sorprendente che in Messico vi sia una così forte carenza di capacità e volontà politica per gestire malattie del pollame e del bestiame, ma il fatto è che la situazione è solo leggermente migliore a nord della frontiera, dove la vigilanza si decompone in un disgraziato mosaico di giurisdizioni statali e le grandi imprese dell’allevamento si rapportano alle normative sanitarie con lo stesso disprezzo con cui sono abituati a trattare i lavoratori e gli animali. Analogamente, dopo un intero decennio di avvertimenti degli scienziati non si è riusciti a raggiungere l’obiettivo di garantire il trasferimento di tecnologia sofisticata per gli esperimenti sui virus ai Paesi situati sulle rotte pandemiche più probabili. Il Messico dispone di esperti sanitari di fama mondiale, ma deve inviare i campioni a un laboratorio di Winnipeg per decifrare il genoma del ceppo. Così si è perso una settimana intera.

Ma nessuno era meno pronto delle autorità di controllo delle malattie ad Atlanta. Secondo il Washington Post, il CDC [sigla in inglese del Centro di Controllo delle Malattie con sede ad Atlanta; T.] si è reso conto del focolaio solo sei giorni dopo che il Messico aveva iniziato a imporre misure urgenti. Non c’è scusa che tenga. Il paradosso di questa influenza è che, anche se del tutto inattesa, era già stata pronosticata con grande precisione. Sei anni fa, la rivista Science dedicò un artícolo importante a mettere in evidenza che “dopo anni di stabilità, il virus dell’influenza suina dell’America del Nord ha fatto un salto evolutivo vertiginoso”.
Dalla sua identificazione, durante la Grande Depressione, il virus H1N1 dell’influenza porcina si era modifica solo in misura minima rispetto al suo genoma originale. Poi, nel 1998, un ceppo molto patogeno comincò a decimare scrofe in una fattoria della Carolina del Nord, e di anno in anno cominciarono a venir fuori nuove e più virulente versioni, compresa una variante dell’H1N1 che conteneva i geni interni dell’H3N2 (causa dell’altra influenza di tipo A che si trasmette tra esseri umani).
I ricercatori intervistati da Science si mostravano preoccupati per la possibilità che uno di questi ibridi arrivasse a trasformarsi in un virus dell’influenza umana –si crde che le pandemie del 1957 e del 1968 furono causate da una mescolanza di geni del pollame e umani avvenuta all’interno di organismi suini-, e raccomandavano la creazione di un sistema ufficiale di vigilanza per l’influenza suina: ammonimento, bisogna dire, a cui fece orecchio da mercante una Washington disposto all’epoca a gettare miliardi di dollari nel water delle fantasie bioterroriste.

Che cosa ha provocato una tale accelerazione nell’evoluzione dell’influenza suina? Da molto tempo i virologi sono convinti che il sistema di agricoltura intensiva della Cina meridionale è il principale vettore della mutazione influenzale: tanto della “modifica” stagionale quanto dell’ episodico “interscambio” genomico. Ma l’industrializzazione dei grandi imprenditori della produzione di bestiame ha rotto il monopolio naturale della Cina nell’evoluzione dell’influenza. Il settore dell’allevamento si è trasformato in questi ultimi decenni in qualcosa di più simile all’industria petrolchimica che alla felice fattoria familiare che dipingono i libri di testo delle scuole.
Nel 1965, ad esempio, c’erano negli USA 53 milioni di maiali distribuiti in più di un milione di fattorie; oggi 65 milioni di maiali si concentrano in 65.000 strutture. Questo ha significato passare dagli antiquati porcili a ciclopici inferni di escrementi che contengono decine di migliaia di animali il cui sistema immunitario si indebolisce in mezzo allo sterco e in un calore soffocante e che si scambiandosi germi patogeni con i loro compagni alla velocità della luce.
L’anno passato una commissione convocata dal Pew Research Center ha pubblicato un rapporto sulla “produzione animale in fattorie industriali”, dove si sottolineava l’acuto pericolo che “la continua circolazione di virus (…) caratteristica degli enormi gruppi di maiali, greggi o mandrie incrementi le opportunità per la comparsa di nuovi virus tramite episodi di mutazione o ricombinazione che potrebbero generarevirus più efficienti nella trasmissione tra esseri umani”. La commissione ha avvisato anche che l’uso promiscuo di antibiotici nelle fattorie che allevano maiali -più economico che in ambienti umani- stava propiziando lo sviluppo di infezioni da stafílococcco resistenti, mentre i rifiuti generavano focolai di escherichia coli e di pfiesteria (il protozoo che ha ucciso miliardi di pesci negli estuari della Carolina e ha contagiato decine di pescatori).

Qualsiasi miglioramento nell’ecologia di questo nuovo agente patogeno dovrebbe fare i conti con il mostruoso potere dei grandi conglomerati imprenditoriali del pollame e del bestiame, come la Smithfield Farms (suini e bovini) e Tyson (pollame). La comisione parlava di un ostruzionismo sistematico delle sue ricerche da parte delle grandi imprese, comprese aperte minacce di sopprimere il finanziamento dei ricercatori che cooperassero con la comissione.
Si tratta di un’industria molto globalizzata e in grado di influenzare i politici. Così come il gigante avicolo Charoen Pokphand, con sede a Bangkok, è stato capace di bloccare le ricerche sul suo ruolo nella propagazione dell’influenza dei polli nel sudest asiatico, è probabile che l’epidemiologia forense del focolaio di influenza suina finisca per sbattere la testa contro il muro dell’industria dei maiali.
Questo non significa che non si troverà mai l’arma del delitto: già la stampa messicana riporta la voce che un epicentro dell’influenza è situato vicino a una gigantesca filiale della Smithfield nello Stato di Veracruz. Ma la cosa più importante –soprattutto per la persistente minaccia del virus H5N1- è vedere la foresta. non solo gli alberi: la fallita strategia antipandemica dell’OMS, il progressivo degrado della salute pubblica mondiale, la museruola che le grandi case farmaceutiche hanno messo a farmaci vitali, e la catastrofe planetaria rappresentata da prodotti di allevamenti industrializzati ed ecologicamente disastrati.

(1) L’autore si riferisce a Charles Ponzi, truffatore degli anni ’20 che sarebbe l’inventore di quelle che in Italia chiamiamo le catene di Sant’Antonio finanziarie (riferendoci ad una analogo caso avvenuto a Livorno avremmo potuto tradurre “bagnolificata” N.d.T.
Mike Davis è membro del Comitato di Readazione di SINPERMISO . Tradotti recentemente in spagnolo: il suo libro sulla minaccia dell’influenza dei polli ( El monstruo llama a nuestra puerta, trad. María Julia Bertomeu, Ediciones El Viejo Topo, Barcelona, 2006), il suo libro sulle Ciudades muertas (trad. Dina Khorasane, Marta Malo de Molina, Tatiana de la O e Mónica Cifuentes Zaro, Editrice Traficantes de sueños, Madrid, 2007) e il suo libro Los holocaustos de la era victoriana tardía (trad. Aitana Guia i Conca e Ivano Stocco, Ed. Universitat de València, Valencia, 2007). I suoi libri più recenti sono: In Praise of Barbarians: Essays against Empire (Haymarket Books, 2008) e Buda's Wagon: A Brief History of the Car Bomb (Verso, 2007; traduzione spagnola di Jordi Mundó per la casa editrice El Viejo Topo, Barcelona, 2009)..

Traduzione per www.sinpermiso.info : Marta Domènech y María Julia Bertomeu
http://www.sinpermiso.info/textos/index.php?id=2528

Mike Davis (1946) è teorico dello sviluppo urbano e sociogeografo. Molto conosciuto per le sue prese di posizione politiche, ha al suo attivo numerosi libri. Insegna alla University of California. Tra le sue opere più apprezzate: Città di quarzo (manifestolibri 1991); Cronache dall’Impero (manifestolibri 2004); Geografie della paura (Feltrinelli 1999); I latinos alla conquista degli Usa (Feltrinelli 2001); Olocausti tardovittoriani (Feltrinelli 2002); Città morte. Storie di inferno metropolitano (Feltrinelli 2002).

 

Approfondimenti:

> I virus assassini della povertà (Mike Davis - Il Manifesto)

> Epidemia, crisi e povertà (La Jornada - traduzione a cura di Carta)

> All'ombra del virus Un grande affare per le case farmaceutiche. La strana natura del virus. I piani di emergenza Usa (Peace Reporter)

Vedi Anche: Città del messico, cittadinanza in quarantena