Turbamenti del nostro tempo

Pastori e pasticci

Frate Benito Fusco dell’Eremo di Ronzano ha scritto una riposta alla “paura dell'Islam” espressa dal vescovo ausiliario Monsigor Vecchi in un’intervista al Resto del Carlino, dopo la manifestazione dello scorso 3 gennaio, in solidarietà con il popolo palestinese e contro il massacro di Gaza da parte dell’esercito israeliano, che si è conclusa con una preghiera dei musulmani in Piazza Maggiore.



6 gennaio 2009 - fra Benito Fusco (Eremo di Ronzano)

Fra Benito Fusco Quanto accade a Gaza, quanto è accaduto a Bologna a difesa del popolo palestinese, e quanto pavidi Pastori ci comunicano, ci fa dolorosamente constatare che il tempo che viviamo genera un grande turbamento per la religione cristiana, ne provoca forti disagi e la sua teologia e la sua morale risultano continuamente sfuocate, quasi estranee agli stessi fedeli e lontane dal modo ordinario di pensare gli eventi e di relazionarsi all’esistenza.
Certe figure magisteriali appaiono così staccate dai vissuti e dai contesti di riferimento da far apparire il cristianesimo veramente spaesato, senza dimora, appunto estraneo agli uomini e alle donne del nostro tempo: esse gridano allo straniero ma sono come forestieri che cercano casa.
Anche le parole, i gesti, le ritualità suonano come una lingua straniera, e credere diviene ogni giorno più difficile in un mondo che, tra l’altro, vuole cavarsela senza Dio. Anzi verrebbe da dire, dalle reazioni istintive a questa estraneità, che in verità non siamo mai stati cristiani.
E allora tutto lo si fa diventare sfida di identità e lotta di sopravvivenza, rendendo perciò difficile uscire da ogni forma di irrigidimento dogmatico o morale della propria verità, da ogni difesa autoreferenziale dell’istituzione ecclesiale o religiosa e nessuno si sente pronto ad accogliere la sfida, vera, di un confronto aperto con le culture del nostro tempo e con i nuovi popoli raccolti.
Si travisa lo sguardo di Gesù, quello sguardo che invita a riconoscere la presenza dell’amore di Dio con inedito coraggio e a mettersi di nuovo in ascolto del Vangelo, come se fosse la prima volta o come fosse stato appena partorito proprio per i cercatori di Dio del terzo millennio; quello sguardo che vuole indicarci una via altra, che potrebbe trasfigurare la sfida alle presunte regie occulte o alle menzogne palesate e tracciare una via che sappia inventare nuovi spazi di ospitalità e di dialogo alimentando un cristianesimo che sappia alzare la voce contro i potenti e prepotenti di questo mondo, e ponendosi nel cammino di chi soffre, di chi è povero: senza ritenere Dio un accessorio della propria autorità, né un dovere, bensì un desiderio profetico d’amore il cui volto ci è stato consegnato dall’esperienza umana del Cristo, colui che ci ha insegnato ad essere uomini e donne senza frontiere.
È lo sguardo dolce e intenso del Dio di chi crede e di chi non ce la fa a credere, dei cristiani e degli islamici, di chi è regolarmente sposato e di chi ha subito la lacerazione dell’amore, di chi è solo e di chi vive insieme ad un amato, di noi e di chi non è della nostra parte politica.
È il Dio di tutti e a chiunque lo cerchi con cuore sincero palpiterà e si dilaterà il cuore, l’unica garanzia di pace.
Può, allora, una preghiera al Dio di Abramo e all’antico Dio degli eserciti, su una piazza che ha raccolto tante malattie dell’anima, allarmare o creare pasticci? Il primo servizio del cristiano non è forse il saper ascoltare, e conoscere che la Persona viene prima della verità?
Qualcuno non si accorge che nel recinto delle identità è rimasta una sola pecorella e che le altre novantanove sono state aiutate dal Dio di tutti ad uscire per trovare i luoghi del cuore?
Monsignore … mio Signore!