Dal dipartimento di Italianistica dell'Università di Bologna.

NoGelmini / Baroni rampanti, ricercatori dimezzati e diritti inesistenti

Riceviamo e pubblichiamo il documento uscito dall'assemblea, finita poche ore fa, dei dottorandi di Italianistica. Anche in questo caso si esprime il rifiuto della legge 133 e la necessità di continuare la mobilitazione.
29 ottobre 2008

BARONI RAMPANTI, RICERCATORI DIMEZZATI E DIRITTI INESISTENTI

I dottorandi del Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna, riunitisi in assemblea il 28 ottobre 2008, hanno discusso e approvato il documento seguente:

Condividiamo le ragioni della mobilitazione in corso in tutta Italia contro la legge 133 che vede unito in un fronte comune l’intero universo della scuola, dagli studenti al corpo docente. Siamo consapevoli della necessità di una riforma organica del sistema universitario italiano, descritto in modo semplicistico e strumentale come un covo di “baroni” da chi sostiene le ragioni della legge 133, ma riteniamo che i tagli indiscriminati previsti dalla manovra economica, che tolgono risorse all’università da investire in altri settori considerati prioritari come Alitalia o il sistema bancario collassato sulle proprie logiche finanziarie, non apportino alcun miglioramento della situazione attuale, e siano rivolti, invece, al progressivo smantellamento della scuola pubblica, secondo una logica aziendalistica fortemente lesiva dei princìpi posti a fondamento di un’istruzione egualitaria, peraltro in aperta contraddizione con l’articolo 33 della Costituzione che riconosce «il diritto allo studio anche a coloro che sono privi di mezzi, purché capaci e meritevoli».

Di fronte allo stravolgimento e all’uso imprevisto delle formalità democratiche che questo governo sta applicando, vengono alla mente le riflessioni di Carlo Ginzburg sulle categorie di «vero, falso e finto» e quelle di Cesare De Michelis sulle «rassomiglianze strutturali» tra il «modello machiavellico-bonapartista» nato centoquaranta anni fa e il “regime” dell’attuale premier Berlusconi. Rassomiglianze quali il controllo dei media utilizzati per mostrare che la maggioranza garantisce la libertà di parola, nonostante gli attacchi ingiustificati siano tali da legittimare azioni repressive da parte del governo; e una “deriva plebiscitaria” per cui il premier può dichiarare che «Il mio scopo è di rappresentare il popolo. Depositario di tutti i poteri che esso mi ha delegato, solo io, in definitiva, ne sono il vero rappresentante».

In quale misura la forma di democrazia nella quale ci troviamo a vivere corrisponde oggi alle libertà dell’individuo e alle sue scelte?

Le parole profetiche di Piero Calamandrei sul «totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime» rispondono da quel lontano 1950 in modo sconcertante alla nostra attualità: «Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari […] si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. […] Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico».

Crediamo che l’università pubblica sia un diritto di tutti e intendiamo difenderlo dagli attacchi di chi vorrebbe trasformarla in cosa privata, facendone campo d’intervento per fini estranei alla progresso civile e culturale di una nazione. A tale scopo chiediamo:

- il ritiro della legge 133, e in particolare l’abrogazione dell’articolo 16 che prevede la possibilità di trasformare le Università pubbliche in fondazioni di diritto privato, tramite semplice delibera del Senato accademico;
- la proclamazione per il 30 ottobre e il 14 novembre della sospensione di tutte le attività didattiche (lezioni frontali, seminari, esami, conferenze, ricevimento studenti, ecc.), per consentire la più ampia partecipazione possibile agli scioperi nazionali previsti nel corso della giornata;
- l’avvio di un dialogo con gli organi di rappresentanza del mondo universitario finalizzato a una vera politica di razionalizzazione delle spese e di riqualificazione dei singoli atenei, non discriminatoria dei poli decentrati, pena la creazione stessa di università di serie A e università di serie B;
- l’attivazione di controlli volti ad accertare e correggere eventuali malfunzionamenti del sistema nonché a valorizzare le professionalità e le competenze del personale universitario;
- garanzie concrete per la difesa del diritto allo studio, del valore legale del titolo di laurea e di Dottore di ricerca;
- interventi a tutela del personale precario dell’università, con sblocco dei turn over e dei pensionamenti, al fine di garantire il necessario ricambio della docenza.

Si richiede, infine, che il Consiglio di Dipartimento si impegni a coinvolgere la Facoltà di questo Ateneo in una discussione sul presente documento nelle sedi giudicate più opportune.

 
I Dottorandi del Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna

 

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