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Virus, “diritto alla salute e alla vita” per chi lavora nell’accoglienza e per le e gli utenti

Adl Cobas chiede un tavolo di confronto con Comune, Asp e Prefettura. Il Circolo anarchico Berneri sospende le iniziative: “Non è stata una decisione presa a cuor leggero”. Noi Restiamo: “Esonero terza rata delle tasse universitarie, poi abolizione”. Trentacinque nuovi contagi nel bolognese, due i pazienti deceduti.

15 Marzo 2020 - 20:30

Arrivano a 230 i casi di positività da Covid-19 nella Città metropolitana, 35 in più di ieri, di cui 72 nel circondario imolese (+9), e ci sono stati due nuovi decessi.

Complessivamente, i contagi in Emilia-Romagna sono 3093 (+449), a fronte di 12.054 tamponi. In isolamento a casa ci sono 1200 persone (+145), in terapia intensiva 169 (+17), 68 le guarigioni (+14), di cui tre di pazienti risultati negativi in due test consecutivi. Si contano 284 decessi (+43). La Regione comunica di aver attivato nelle ultime 24 ore 526 nuovi posti letto per i colpiti dal coronavirus, per un totale di 2097.

Nelle altre province,  si registrano 1012 casi a Piacenza (+159), 662 a Parma (+92), 425 a Rimini (+92), 367 a Modena (+60), 185 a Reggio Emilia (+32), 100 a Ravenna (+22), 78 a Forlì-Cesena (+16), 34 a Ferrara (+5)

Ieri sera una nuova ordinanza del presidente della Regione ha posto prescrizioni capillari per diverse attività ricettive, commerciali e di servizi, confermando però le attività di consegna a domicilio.

“Solo due giorni fa sono uscite, per le lavoratrici e i lavoratori dell’accoglienza, le indicazioni del Servizio centrale. Alla palese tardività si aggiungono la totale inadeguatezza e contraddittorietà”. Lo scrive Adl Cobas Emilia Romagna. Si legge poi: “Non vengono garantite tutele sanitarie, non si riconosce che il lavoro in queste condizioni è pericoloso ed usurante anche da un punto di vista di rischio biologico, né vengono previste garanzie economiche, nulla viene messo in campo. Nemmeno l’adeguato rifornimento dei dispositivi di protezione. Generando un contesto di totale arbitrarietà che scarica ancora una volta su utenti e lavoratrici/tori il comune destino di doversi sobbarcare il costo principale dell’ennesima emergenza. Tra la paura del contagio, la paura di essere licenziati (o nella minaccia del mancato rinnovo del contratto) e il ricatto del senso del dovere verso le/gli ospiti non c’è spazio per il diritto alla propria salute e della propria vita. L’insufficienza delle misure a livello centrale si riflette anche nell’atteggiamento della stessa Asp di Bologna (Azienda comunale per i servizi alla persona) che sta fortemente disincentivando il lavoro da casa, esigendo dalle cooperative il normale svolgimento, pur nella palesata assenza degli adeguati DPI (come guanti e mascherine). Così ogni cooperativa improvvisa una gestione in ordine sparso: se alcune favoriscono in ogni caso il lavoro da casa e tentano di mettere a disposizione i dpi (dispositivi di protezione individuale, ndr), molte altre inseriscono l’obbligo formale delle dotazioni di protezione ma pretendono la continuità nel lavoro di prossimità, lasciando addirittura agli operatori stessi l’onere di reperimento di tali dispositivi. Non sono previsti neanche specifici controlli medico-sanitari, che invece andrebbero attivati urgentemente attraverso adeguati protocolli della Autorità sanitarie. Tutto questo ci espone al rischio della nostra vita. E costringe ad esporre allo stesso rischio anche gli ospiti delle strutture (in alcuni casi anche immunodepressi) che subiscono la stessa nostra arbitrarietà e incertezza. Alcuni enti gestori del territorio pretendono dalle operatrici una funzione di controllo al fine di impedire completamente, anche per tutte le casistiche consentite dalle norme vigenti, l’uscita delle/degli ospiti dalle case. Parallelamente non viene considerata minimamente l’adeguatezza delle strutture in cui le/gli ospiti vivono, sia in termini di spazi che in merito all’esigenza di garantire una attenzione straordinaria all’igiene che il momento richiede, a parte le scontate quanto banali indicazioni del “tenere pulito”. Per le persone accolte non una parola volta rispetto ai tanti tirocini perduti, ai percorsi di autonomia spezzati”.

“I grandi centri di accoglienza”, prosegue Adl Cobas, “grazie alle ultime ‘leggi sicurezza’, sono stati rilanciati come strutture cardine del sistema d’accoglienza, in completa antitesi con il lavoro di chi con fatica in questi anni, ha costruito un tentativo d’accoglienza diffusa. Quali norme di prevenzione possono essere rispettate in strutture dove decine, spesso centinaia di persone, vengono ammassate per anni? Solo il centro di via Mattei oggi conta già più di 200 persone, in letti a castello e stanze senza finestre. A loro, proprio come ai detenuti che hanno duramente protestato nei giorni scorsi, non viene data alcuna reale tutela e dignità. Ancora una volta, siamo costretti ad assistere ad una situazione che divide in vite di serie A e vite di serie B. Pretendiamo diritto alla salute e alla vita per noi e per gli utenti, sostegno economico in caso di riduzione temporanea del lavoro, assunzione di responsabilità da parte dell’amministrazione locale la tutela per le persone per cui lavoriamo e per noi lavoratrici/ori. Per questo chiediamo, in questa situazione di emergenza, di non essere ignorati e per tanto di aprire urgentemente un tavolo di confronto immediato con l’amministrazione comunale, con Asp e con la Prefettura”.

Come altre realtà autogestite, anche il circolo anarchico Berneri ha sospeso le aperture. “Care compagne e compagni, solidali – si legge nel comunicato diffuso oggi – dopo lunghe discussioni, che sicuramente vogliamo proseguire, abbiamo deciso di sospendere le iniziative pubbliche del circolo. Ma le attività del circolo continueranno e si arricchiranno di nuove iniziative di controinformazione e di contropropaganda. Non è stata una decisione presa a cuor leggero: sono 48 anni che il circolo anarchico C. Berneri non interrompe le sue attività. Crediamo, però, che in questo momento ci siano delle ragioni sanitarie (non contribuire alla diffusione del contagio del virus Covid19) che rendono questa sospensione necessaria, almeno nella forma a cui tutte e tutti siamo abituati. Pensiamo che la salute sia un diritto e che, da persone che credono nell’autogestione e autorganizzazione, occorra una presa di coscienza e responsabilità per tutelare chi può venire attaccato più duramente dalla malattia. Crediamo anche che il diritto alla salute vada disgiunto dalla militarizzazione della società, dalla diffusione della paura, dall’attacco ai legami di fiducia tra persone, dall’emarginazione che colpisce di più chi non ha sufficiente capitale economico e sociale”.

Secondo il Berneri, “la gravità di questa nuova nuova SARS (definita SARS-2 o Covid-19) è accresciuta da altri fattori sostanziali: la situazione ecologica del pianeta; la circolazione determinata dall’organizzazione capitalista; la mancanza di cure ufficiali; la mancanza di strutture ospedaliere adeguate, dovuta alle politiche di taglio delle spese sociali; la mancanza di personale ospedaliero, dovuta ai tagli e che dimostra la dannosità dell’accesso a numero chiuso alle facoltà di medicina e infermieristica. La nostra decisione si basa anche sulla necessità di tutelare lo spazio, la sua autonomia e la sua fruibilità contro le misure repressive che sono poste in atto o che si potrebbero determinare. Vogliamo evitare che le necessarie precauzioni sanitarie diventino il pretesto per legittimare uno stato di polizia. Non abbiamo nessuna fiducia nello stato, nelle sue organizzazioni, nei suoi dispositivi e quindi diffidiamo dalle ‘garanzie’ che possono essere dichiarate. Ben conosciamo la discrezionalità con la quale la ‘legge’ viene applicata. Elemento paradigmatico della situazione nella quale viviamo ci sembra quello delle carceri. Come ‘discarica sociale’ la realtà carceraria si è ancora di più, se mai fosse stato possibile, inasprita, dando vita a radicali proteste che, come necessario, rivendicavano misure di indulto e amnistia. Se emergenza sanitaria c’è allora l’unica soluzione logica è sfollare gli stabilimenti penali. Ma evidentemente la questione sanitaria è usata come paravento per inasprire la condizione penitenziaria. Adesso ci troviamo in una situazione di semi-clandestinità ma non molliamo. Dobbiamo da un lato mantenere un piano di critica lucida su quanto ci accade, dall’altro immaginare nuove forme per stare assieme che, nel rispetto della salute di ciascuno, ci permettano di coltivare quella rete di relazioni solidali che è il fondamento del nostro agire. Stiamo pensando di organizzare dei gruppi di lavoro per affrontare la situazione: dalla consegna di derrate alimentari a quelli di libri o altra stampa, dalla produzione di contenuti attraverso il sito e altri mezzi telematici alla collaborazione con altre e altri compagni che già stanno mettendo in atto streaming di comunità, riattivazione di ponti radio e produzione di contenuti radiofonici”.

“Navigheremo a vista – si legge in conclusione – e vi faremo sapere cosa stiamo facendo. Voi fateci sapere cosa vorreste fare per contribuire alle attività scrivendo a berneri [at] indivia.net Abbiamo una forza: le pratiche autogestite di solidarietà costruite negli anni. Reti di fiducia che hanno prodotto, qui e ora, forme diverse di intendere i rapporti tra persone. Abbiamo un compito: non lasciare indietro nessuno. Coma recitava uno striscione che attraversava strade e piazze vent’anni fa: ‘padroni di niente, servi di nessuno, all’arrembaggio del futuro'”.

Intanto, le università, come le scuole, sono sospese da tre settimane e Noi Restiamo chiede l’esonero della terza rata delle tasse universitarie: “È ovviamente inaccettabile che gli studenti siano costretti a pagare ancora le tasse in un momento in cui i principali servizi dell’università sono inaccessibili, ma non solo: è inaccettabile che agli studenti sia imposta una tassazione (ormai molto alta) per accedere ad un diritto come quello all’istruzione.Infatti, l’emergenza sanitaria nella quale ci troviamo ci dimostra che alzare esponenzialmente le tasse universitarie (negli ultimi dieci anni sono aumentate del 50%), rendendo l’accesso all’università un privilegio di pochi, è stata una decisione politica antiegalitaria, classista e soprattutto incapace di tutelare gli interessi di tutti in una situazione di enorme emergenza come quella che stiamo vivendo. Per esempio, gli studenti lavoratori non potendo uscire di casa e dal momento che molte attività sono state sospese non avranno lo stipendio sufficiente per pagare la terza rata. Come dicevamo, l’aumento delle tasse di questi ultimi anni si colloca all’interno di una tendenza generale a rendere l’università accessibile ad una ristretta élite: questo si può notare anche nell’introduzione del numero chiuso per accedere alla laurea triennale e soprattutto specialistica in medicina tramite test dai contenuti assolutamente arbitrari. Nella situazione emergenziale che stiamo vivendo adesso la decisione del numero chiuso diventa un boomerang: non ci sono abbastanza medici per curare tutti i contagiati in constante aumento.L’emergenza che stiamo vivendo a causa della diffusione del covid 19 ci dimostra come tutte le decisioni politiche fondate sull’individualismo e sul privilegio di pochi a discapito dei diritti di molti hanno ostacolato una gestione coerente e coordinata della diffusione del virus, mostrando tutti i loro limiti.L’unico modo per uscire da questa vera e propria crisi inedita è una risposta collettiva fondata sulla solidarietà reciproca e sulla lotta contro le politiche fallimentari imposte negli ultimi anni incapaci di far fronte a questa situazione.Occorre mettere in discussione l’esistente partendo dai nostri interessi: pretendiamo l’esonero dal pagamento della terza rata e l’abolizione delle tasse universitarie per rendere il diritto all’istruzione davvero accessibile a tutti!”.