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Via Zamboni, ancora murales cancellati

Vernice sui disegni per ‘Bologna meticcia’ e per la rivoluzione del Rojava. Cua: “Non sarà una pennelata dal colore insipido, di chi gestisce queste strade e questa università con la freddezza della burocrazia, a cancellare la storia collettiva che in questa zona si è scritta e tutt’ora continua”.

31 Agosto 2019 - 17:41

“Ci risiamo! L’università cancella i murales in via Zamboni”. Lo scrive in rete il Collettivo Universitaria Autonomo. “C’è chi dedica il suo tempo a costruire luoghi accoglienti – prosegue il Cua –  in cui si ha il piacere di stare; luoghi carichi di significato, in grado di raccontare la propria storia agli ultimi che arrivano e di confermarla a chi, vivendoli già da tempo, quella storia ha contribuito a scriverla. Poi c’è chi di nascosto per paura essere visto e contestato, con una mano di tinta, crede di poter prevalere su qualcosa di ben più grande, crede di poterci imporre in che modo dobbiamo vivere quei luoghi. Quei murales che davano voce ai muri di Via Zamboni non erano solo degli accostamenti di colore o dei segni su un muro. Quei murales, nati durante momenti di riappropriazione dell’università, rappresentavano ciò che di bello c’è ancora nello stare insieme e nel lottare ogni giorno contro ingiustizie e soprusi”.

Si legge poi: “Il primo – più datato , riportava la scritta ‘Bologna è meticcia’. Era stato fatto nel 2015 dopo la battaglia di Ponte Stalingrado, per ricordare quella giornata di scontro in cui la Bologna degna e solidale aveva inondato le strade intorno a porta Mascarella per dare il ‘benvenuto’ a Matteo Salvini, venuto in città a racimolare qualche voto con i suoi messaggi di odio e intolleranza; la seconda parete è ormai da tempo conosciuta per essere dedicata alla Rivoluzione confederale democratica femminista ed ecologista in Rojava. Quest’ultimo fatto di recente in seguito alla cancellazione di un altro murales precedente, era stato fatto in memoria di Anna Campbell, compagna internazionalista britannica caduta sotto il fuoco turco ad Afrin. Recitava la scritta ‘Jin, Jîan, Azadî’, ‘donna, vita, libertà’. Ci sembra scontato dire che non sarà una pennelata dal colore insipido, di chi gestisce queste strade e questa università con la freddezza della burocrazia, a cancellare la storia collettiva che in questa zona si è scritta e tutt’ora continua. Non saranno i loro modelli di università calati dall’alto a cancellare la nostra storia che ha invece il sapore delle lotte, della solidarietà e del conflitto. L’autunno è alle porte, rivediamoci in quei luoghi che tanto ci rappresentano, per renderli nuovamente carichi di significato, contro l’infamia di chi vorrebbe cancellare questa storia collettiva fatta di esperienze reali e condivise! Stay tuned”.