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Un ricordo di Carlo Moccia

Dalla Puglia a Bologna tra Lotta Continua, Terron Power e Cobas. Riceviamo e pubblichiamo da alcuni amici e compagni: “Una storia lunga mezzo secolo di lotte, a schiena dritta contro il potere, a fianco degli ultimi”.

12 Aprile 2017 - 11:46

A Carlo…

Un ricordo di Carlo Moccia, prima di Lotta Continua, poi, nel ’77, del collettivo “Terron Power”, infine nei Cobas. Un compagno unico… Parlare di Carlo, della sua testimonianza di vita, è ripercorrere una storia lunga mezzo secolo di lotte, a schiena dritta contro il potere, a fianco degli ultimi: cambiavano i luoghi, gli scenari, ma lui era sempre lo stesso: irriducibile. Apparteneva alla categoria degli ulivi secolari che ne vento, ne pioggia, ne terremoti sono riusciti a sdradicare; non era turista del comunismo, che durava per “moda” una stagione come è stato per molti. Appartaneva a quella generazione arrivata a Bologna negli anni 70′ con alle spalle una lunga storia di lotte sociali e politiche vissute come protagonista nella sua Mola di Bari. Arrivò a Bologna già famoso e riverito per essere stato vittima e bersaglio, per fortuna mancato, di una pistolettata per mano fascista che ferì gravemente il fratello Paolo nella sede di Lotta Continua; evento immortalato dalla ormai nota canzone, tante volte cantata nei mille cortei contro i fascisti: “Quelle canaglie, quei mercenari hanno sparato a Mola di Bari”.

Ci siamo sempre chiesti come abbiano fatto i fascisti, sparandogli a mancarlo, vista la mole di cui era dotato e per la quale andava fiero tanto da giustificare il vecchio ritornello: “Lotta continua a Mola, ha il capoccia, pesa 130 kg e si chiama Carlo Moccia”. E grazie alla sua mole ed a un pizzico della sua naturale incoscienza ridiventò famoso anche in quel di Pamplona, quando sui giornali locali uscì la notizia che un turista italiano era stato incornato durante l’encierro da una “vachilla” e rimasto ancora una volta illeso: noi per la verità ci preoccupammo di più per lo stato di salute del torello a cui sicuramente aveva provocato la rottura dell'”osso del collo”. Era l’anno in cui lui e il suo “compare Rampino” arrivarono a Pamplona in sella alla sua moto Guzzi d’epoca, quasi ad emulare il viaggio del Che in motocicletta e tutta Pamplona se desperdea per vederli e lui godeva circondato dalla folla curiosa in quella piazza e quando uno spagnolo lo apostrofò “Es un ombre cojonudo”, lui come al solito, fraintendendo, rispose in molese “E questo come fa a saperlo?”, e ci rideva sopra. Anche questo era Carlo.

Non vi annoieremo a rimasticare le vecchie storie di lotta, occupazione di case, lavori duri e precari, quotidiani in quell’epoca, ne vi parleremo delle continue litigate e riappacificazioni che si ripetevano anche queste quotidianamente in Lotta Continua prima poi nel “Terron Power”, tra i precari della Fiera o a scuola, roba da vecchi nostalgici. Abbiamo raccontato queste cose solo per confessare che era difficile serbare odio o rancore per Carlo, come spesso avveniva per altri e dopo periodi anche duri di incomprensioni, tutto tornava come prima davanti ad un piatto di pesce portato da Mola da Nicola “Paten” o un prosciutto intero offerto dal comandante (Olaf). Era sì la sua casa un “covo” come definito dalla polizia, un “covo” di discussione di incontro-scontro ma soprattutto porto di mare, “casa sempre aperta” ai mille compagni “scrocconi ed affamati”. Erano tanti allora che andavano a qualsiasi ora del giorno e della notte a “sbafare” (quanti piatti da lavare… Tina… e la cosa è continuata anche ad Ostuni…). E’ grazie a queste pericolose frequentazioni che Carlo è diventato, a sua insaputa, “capo della cellula perfughese o il grande vecchio”… E giù latitanze, processi e galera.

A proposito della galera: a domanda del giudice che chiedeva spiegazioni sul perché Carlo non era in casa durante le perquisizioni notturne a Casteldebole, intuito che neanche il giudice fosse convinto della colpevolezza di Carlo e cercava una qualsiasi spiegazione che giustificasse la sua assenza quella notte, un compagno invenò, al momento, un “feroce alibi”: che Carlo, come tutti sapevano, aveva un’altra donna e dormiva da lei, mandando su tutte le furie Tina che divenuta “cornuta immaginaria” non rivolse la parola ad alcuni suoi amici per lungo tempo, intanto però Carlo e gli altri, tra cui un tale Grillo, rividero la luce del sole, all’aperto.  Per la verità in quella situazione gli ex di Lotta Continua eravamo malvisti da tanti altri compagni, spesso più giovani, arrivati dopo e subito diventati protagonisti di tanti fatti, spesso drammatici, che li percepivano come moderati o un freno allo dispiegarsi di pratiche ritenute le uniche “rivoluzionarie”. Si sentivano un po’ frustrati e spiazzati per aver perso, per un po’ di tempo, il primato dei “rivoluzionari di professione”. Erano cresciuti con il sogno della “lotta di popolo armata” e non riuscivano a comprendere le fughe in avanti molto rischiose di cui diventavano protagonisti molti compagni e non solo per ragioni ideologiche e moralistiche ma perché da “fratelli maggiori”, consideravano quelle pratiche ad alto tasso di nocività e spesso pagate da tanti ad un prezzo troppo alto… Risultato. Abbiamo perso tutti: eppure “la lotta continua”.

Infine, vorremmo solo ricordare che Carlo, con la sua testimonianza di vita vissuta da comunista, non solo nelle lotte o nei cortei ma comunista sempre, sopratutto nella vita quotidiana, per la sua umanità, generosità e leggerezza anche nei momenti più difficili o tristi, lascia un vuoto: immenso. Non crediamo alla storiella che qualcun’altro possa prendere il suo posto: siamo diventati tutti un po’ orfani.

Carlo era Carlo: unico.

Alcuni compagni