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Titan, quando la lotta paga

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato dei lavoratori della Titan di Crespellano sulla lotta che ha portato alla salvaguardia dei diritti e al ritiro dei licenziamenti.

29 Gennaio 2010 - 15:38

Picchetto rosso in Titan

Giovedì 21 gennaio, sciopero ad oltranza in Titan Italia S.p.a.

Nonostante la crisi mondiale metta il capitale in condizione di poter negare al proletariato anche le briciole, la lotta — se fatta bene — può ancora strappare dei risultati…

I risultati che si ottengono però, finora, non sono dei passi avanti, ma una buona resistenza per tenerci stretto quel poco che ci è rimasto: un misero salario con basso potere di acquisto e un posto di lavoro per la nostra sopravvivenza da sfruttati.

In Titan divisione Sirmac di Crespellano è successo esattamente questo: nessun risultato migliorativo su “diritti” e salario, ma una forte resistenza per salvaguardarli.

Dopo un anno di cassa integrazione ordinaria in scadenza al 15 febbraio 2010, i padroni con la RSU s’incontrano l’11 gennaio per decidere cosa ne sarà di noi, con 99 esuberi.

La RSU, sempre sotto mandato dell’ assemblea dei lavoratori (230 operai circa e 70 impiegati), arriva al tavolo delle trattative con delle richieste ben precise su cose che l’anno scorso non avevamo, come una rotazione un po’ più equa della possibile cassa integrazione straordinaria e — tenuto conto dell’impoverimento dell’anno passato — una integrazione economica alla cassa per tutelare un salario minimo garantito ed ovviamente la difesa intransigente dei posti di lavoro.

I padroni non hanno preso minimamente in considerazione le richieste dei lavoratori, ma al contrario le richieste le hanno fatto loro, attaccando il salario e minacciando i licenziamenti.

Ci hanno attaccato su tutti i fronti, volevano chiudere i rubinetti completamente!

L’11 gennaio non si è riusciti a decidere niente, si è rimandato a un prossimo incontro, il 19 gennaio; i delegati sono stati al tavolo dalle 9.00 di mattina fino alle 19.00 di sera, i padroni non hanno ceduto su niente, lottavano sulle proprie richieste.

La legge, sempre a favore dei padroni, permetterebbe alle aziende in crisi di non anticipare la cassa integrazione e di non fare maturare i ratei a tutti i lavoratori che non lavorano almeno 11 giorni in un mese; questo vuol dire che un cassaintegrato non solo si vede abbassare il salario da 1.200 euro a 750, ma deve aspettare i tempi dell’INPS, per cui possono passare anche tre mesi. In più, non maturare i ratei significa non accumulare ferie, che in soldi sono in media 150 euro in meno al mese, non avere la tredicesima e il premio feriale, una cifra forfettaria che abbassa il reddito annuale tra i 4.000 e i 5.000 euro. Infatti la legge permette non solo che ci taglino il salario, mettendoci a casa forzatamente, minacciandoci di licenziamento, ma permette pure questo ulteriore taglio, che porterebbe il nostro salario al livello di un affitto.

I padroni della Titan volevano attenersi alla legge, ma siccome sono “buoni” l’anticipo della cassa integrazione sulla busta paga ce lo davano, tutto il resto (cioè i ratei, tredicesima, ferie e premio feriale) NO. Inoltre volevano piena libertà sulle priorità nei licenziamenti, puntando su anziani e operai con certificati medici, con limitazioni lavorative, penalizzando così i malati.

Il giorno dopo, mercoledì 20 gennaio, i nostri rappresentanti ci hanno conferito il tutto in assemblea. Noi lavoratori, già disperati per l’anno passato, ci siamo trovati di fronte ad un vero attacco padronale che ci ha spinti a riflettere concretamente sul da farsi; ci siamo organizzati confrontandoci in assemblea, ma decidendo all’esterno perché solo così si possono mettere in atto azioni di lotta improvvise per i padroni, perché nell’assemblea di fabbrica ci sono i ruffiani che riferiscono tutto ai padroni, ogni singolo intervento.

L’assemblea, al di là delle decisioni pratiche affidate al passa parola, ha dato un mandato preciso: la prossima azione di lotta sarà dura, poche ore di sciopero non servono in una azienda in crisi; l’azienda va colpita pesantemente bloccando tutto ad oltranza con picchetto.

Così è stato fatto la mattina alle 5.30 del 21 gennaio. Abbiamo picchettato la fabbrica, non abbiamo fatto entrare nessuno, inizialmente neanche i dirigenti, poi sono entrati solo loro con la scusa di discutere il nostro — e da oggi anche il loro — problema.

Eravamo tutti uniti per scioperare ad oltranza con picchetto fino a risposte concrete su licenziamenti e salario; se non arrivavano, eravamo pronti ad occupare con assemblea permanente.

Come prima risposta ci è arrivata una data, in cui si sarebbe discusso il tutto: martedì 26 gennaio. Un sindacalista aveva provato con questa misera notizia a chiederci di abbassare gli umori fino a tale data, ma noi abbiamo risposto che fino a tale data potevamo stare fuori con picchetto ed aspettare! Così, capendo che questa volta le nostre intenzioni erano serie e convinte, i padroni hanno cominciato ad anticipare l’incontro a lunedì; ma per noi non cambiava niente, si restava fuori fino ad ottenere fatti; l’incontro è passato a venerdì e poi al giorno stesso.

I delegati sono stati chiamati su verso le 13.00, ma sono riscesi subito dopo perché i padroni continuavano a chiedere quali fossero le rivendicazioni; era una domanda stupida, perché le nostre richieste le conoscevano già da tempo e poi, per essere chiari, la nostra lotta non rivendicava maggiori “diritti” o più salario — anche se la legge ci costringeva a farlo — noi chiedevamo di mantenere quello che avevamo già: il nostro salario e il posto di lavoro.

I delegati vengono richiamati su dopo un’oretta, questa volta si spera che si parli concretamente e non di chiacchiere ed elemosina. Scendono giù dopo circa 3 ore e ci portano risposte certe, garantite. La lotta paga.

Siamo entrati in azienda continuando lo sciopero per tutto il secondo turno, fino alle 21.00, per fare una assemblea di approvazione sulle cose che i padroni hanno promesso di darci.

Abbiamo ottenuto dei buoni risultati: blocco dei licenziamenti per tutto il 2010 con cassa integrazione straordinaria per crisi con deroga, garanzia che alla fine di quest’anno l’azienda userà tutti i mezzi necessari (ammortizzatori e contratti di solidarietà) per non licenziare; mantenuti tutti i ratei con obbligo per l’azienda di garantire 11 giorni di lavoro al mese a tutti i lavoratori. In parallelo si aprirà la mobilità per i volontari che per motivi personali potranno scegliere di farsi licenziare prendendo un compenso che andrà in base all’anzianità di servizio, cifre che non valgono un posto di lavoro. L’assemblea ha approvato.

Venerdì pomeriggio i delegati s’incontrano con i padroni; questi in tutti i modi — dopo aver dato la parola a tutti noi sulle varie garanzie e averci fatto interrompere il picchetto con sciopero, portandoci a lavorare per tutta la giornata di venerdì — tentano in tutti i modi di fare i furbi, scrivendo per ogni garanzia la mitica frase che su ogni contratto nazionale permette ai padroni di fare “un po’ quel cazzo che gli pare” e cioè “in base ad esigenze tecniche e produttive aziendali”. Per opporsi a questa frase i delegati sono stati al tavolo dalle 16.00 alle 02.00 di notte.

Vale la pena fare qui una piccola riflessione. Scioperare improvvisamente con picchetto ad oltranza e far capire ai padroni che questo è solo l’inizio, per poi arrivare ad occupare la fabbrica, può imporre ai padroni l’urgenza immediata di trovare un rimedio, darci quello che vogliamo e subito perché capiscono che questa volta facciamo sul serio, per noi sono solo dei giorni senza paga, per loro invece dei giorni senza profitti. È diverso il caso in cui una azienda sta chiudendo veramente per crisi o per delocalizzazione; ma intanto lo sciopero ad oltranza è sempre importante, perché ci fa capire subito se il padrone ha ancora interesse di profitto per questo stabilimento o no.

L’esperienza della lotta porta a tutti noi operai ed impiegati più coscienza di classe. Resta il problema dell’organizzazione e dell’unità di tutte le lotte, senza le divisioni in categoria secondo cui padroni e sindacati amano distinguerci; solo così potremo contrastare il sistema capitalistico assurdo e sfruttatore dell’uomo e dell’ambiente, generatore di guerre, il cui unico obbiettivo è il profitto.

Questo mondo non ha una logica se non quella del denaro. Se dei padroni non riescono a stare sul mercato mondiale, con una concorrenza spietata, allora tutte le famiglie che loro sfruttavano non devono più mangiare… Se dei grossi capitalisti mirano a mega speculazioni grazie al controllo sul petrolio o grazie al monopolio, allora possono uccidere bambini, uomini e donne innocenti per farsi la loro guerra.

Tutto questo non è giusto e va denunciato e combattuto tutti i giorni mettendo in risalto le contraddizioni di questo sistema, partendo dal nostro piccolo come abbiamo fatto noi e tanti altri lavoratori in tutto il mondo; solo la lotta di classe con i proletari uniti può cambiare il mondo, facendo di ogni lotta un passo in avanti per l’organizzazione rivoluzionaria, per costruire una società basata sui veri bisogni umani e sul rispetto del pianeta.

Gruppo di fabbrica internazionalista Titan Italia di Crespellano

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