Opinioni

Student Hotel, ma quale “ribellione artistica”!

Un commento del regista teatrale Nicola Borghesi: se coloro che abiteranno allo studentato di lusso che aprirà nel palazzo ex Telecom “vogliono sapere cos’è la lotta, se lo facciano spiegare dalla tredicenne” sgomberata cinque anni fa da quello stabile insieme ad altre 300 persone.

17 Febbraio 2020 - 10:48

di Nicola Borghesi

Lo student hotel invita i suoi clienti a essere “uniti nel nome della ribellione artistica” qualsiasi cosa questa stronzata voglia dire. Le parole nel tardo capitalismo che viviamo non vogliono dire più niente e con esse le cose, che, pian piano, perdono di senso anche loro e alla fine anche noi, come esseri umani. La ribellione artistica.

Vaffanculo. La ribellione artistica è forse, per motivi idiosincratici miei sicuramente, la cosa che più mi fa bollire il sangue nelle vene negli ultimi anni. Sarà che quella storia la conosco bene, ma mi manda ai matti l’idea che prima abbiano sgomberato un luogo in cui dei poveri vivevano in pace e armonia in un contesto realmente multiculturale trascinando fuori per i capelli delle madri (non è una rappresentazione melodrammatica, ci sono dei video in cui questa cosa accade letteralmente), poi ci abbiano fatto uno studentato per ricchi e, infine, suggeriscano a questi stronzi che ci andranno a vivere che loro sono “uniti nel nome della ribellione artistica”. Il capitalismo vuole mangiarsi tutto, nulla escluso. Non ci deve essere più nessuna parola che non gli appartenga, anche la ribellione è roba loro. Roba di chi paga novecento euro al mese per vivere in una stanza in un contesto shabby chic e spararsi il viaggio di essere un artista. Anche la ribellione, anche la rivoluzione deve essere dei ricchi. “Cibo, arte e sentirsi giovani dentro, questa è Bologna […] con una torre pendente che fa concorrenza a Pisa”. Io non so chi sia l’idiota che ha scritto questa cosa, so solo una cosa, che finchè avrò forza in corpo e voce in gola, io ribadirò in ogni forma possibile che Bologna NON è questa cosa qua, o almeno io spero che non sia solo questo. Questa è l’idea che un brand manager ha di Bologna.

E potrei finirlo qua, questo post. E invece no, c’è una cosa più grande, più importante, più sostanziale di questo sfogo stupido, in fondo forse piccino. C’è un incontro che ho fatto qualche anno fa, mentre facevo Comizi d’amore #Galaxy. Era una ragazzina di tredici anni, che abitava ad Ex-Telecom insieme alla sua famiglia e poi era stata sgomberata e poi trasferita al Galaxy, ironia della sorte un ex-studentato.

Lei la sua storia, la raccontava così:

Io, prima di venire a vivere al Galaxy stavo a Ex-Telecom, un posto dove le persone vengono, occupano una casa e ci vivono. È una cosa illegale, ma altrimenti le persone devono stare in strada. Anche se era un’occupazione facevamo la vita di una famiglia normale. Solo che per me, la mia famiglia era composta da 200 persone e c’erano moltissimi altri bambini come me: mi sentivo una principessa nel suo castello. Giocavamo sempre insieme, c’era una scuola per persone che non parlavano italiano, a volte si ballava anche. C’era un giorno in cui si invitavano tutti gli amici e suonavamo insieme, inventavamo anche degli strumenti. Il primo giorno di Ramadan alle 9 si preparava una festa in cui venivano anche delle personcine da fuori. C’erano arabi, italiani, cinesi, indiani, zingari e cubani. Non mi sentivo mai sola.

Il 25 settembre del 2015 alle quattro del mattino vengono a bussare, io stavo ancora dormendo. Sentivo solo i passi delle persone che correvano. I bambini urlavano perché si erano appena svegliati. La mamma mi dice di preparare lo zainetto in fretta e di mettermi qualcosa e uscire fuori con lei. Io mi sono messa il mio cappellino preferito che mi ero presa il giorno prima per andare a scuola. E invece c’era uno sgombero. Uno sgombero? Che cos’è?

Abbiamo chiuso le porte a chiave perché la polizia non entrasse. C’erano persone in piedi e sedute che parlavano per organizzare la resistenza. Le donne e i bambini dovevano andare al primo piano, gli uomini sul tetto. Io e mia madre per sbaglio siamo finite sul tetto. La polizia ha cercato di sfondare la porta, una signora li ha insultati e l’hanno picchiata. Lo so perché una mia amica è sua figlia. Lei gli ha sputato e allora hanno picchiato anche lei. Noi siamo rimasti sul tetto per altre dodici ore. Io era tranquillissima, avevo il mio peluche. Mi dicevo: vinceremo noi è sicuro, abbiamo ragione. Io mi ero messa davanti alla finestra col mio orso. Poi ho visto i pompieri che salivano con le scale. Mi hanno fatta scendere per prima perché ero l’unica bambina. Ho pensato: non può succedere veramente. I fotografi sotto mi fotografavano e mi dicevano di sorridere. E io ho sorriso, ero innocente.

È stato il giorno più bello della mia vita, perché mi sentivo forte, come se stessi combattendo contro qualcosa che dicevano che era illegale, ma secondo me è legale perché quella è casa mia. Le persone che erano venute lì sotto stavano con noi, erano orgogliose di noi. Quello è stato il giorno in cui ho scoperto che cos’è la lotta.

Io ci sono rimasta malissimo, proprio male. Prima di andarmene ho scritto delle parole molto brutte sul muro della mia casa. Ho scritto anche: mi avete tolto casa mia ma non mi toglierete… non ricordo cosa ho scritto. Io quando sono arrivata al Galaxy sono stata zitta per due giorni. Pensavano che non avrei più parlato.

Io non lo so cosa si debba fare, in questi casi. Ma io una cosa la voglio fare. Quando aprirà lo Student Hotel io mi ci metterò sotto, vicino alla porta di ingresso e poi fermerò quelli che ci abitano e gli leggerò questa cosa. Non per altro, solo per fargli sapere che no, non sono “uniti nella ribellione artistica”. Sono solo delle persone che possono pagare novecento euro al mese una stanza. E che, se vogliono sapere che cosa è la ribellione, la lotta, devono andare a farselo spiegare dalla ragazzina di tredici anni che abitava dove loro stanno adesso. Oh io lo faccio sul serio, se qualcuno si vuole unire son contento.