Attualità

Spagna / Diritti e organizzazione [video]

Da Barcellona e da Granada, Federico e Paolo di Bartleby (Bologna) continuano a raccontare quanto sta accadendo nelle principali città spagnole.

21 Maggio 2011 - 20:33

Dopo un breve scambio abbiamo deciso di produrre articoli diversi, da Granada e Barcellona. Come abbiamo detto nel primo articolo non c’è un coordinamento nazionale che non sia tramite Twitter, Facebook o telefonate ad amici e passaparola. Pertanto ogni città è potenzialmente una situazione unica.

La situazione nazionale

Oggi è sabato 21 maggio. Domani, in tutta Spagna ci saranno le elezioni municipali. Non si sa come quali saranno i risultati (personalmente crediamo che il livello di astensione sarà alto). Dalle accampate nelle città non ci sono indicazioni di voto, viene ripetuto che ciascuno ha il proprio diritto di votare ciò che vuole o di non votare.

In questo momento nessuno dei due principali partiti (PSOE e PP) ha abbastanza credibilità per poter cavalcare, anche solo mediaticamente, la protesta. Non lo può fare il PSOE: Zapatero nelle ultime ore aveva annunciato che la polizia avrebbe utilizzato misure “ragionevoli” per i manifestanti alla Puerta de Sol (Madrid) e nelle altre piazza. La risposta della gente è stata immensa e si è toccato il picco di presenze. Tutte le piazze di Spagna si sono riempite fino a bloccare i dintorni e si presenta il problema di occupare diverse piazze della stessa città. Anche il PP non risulta credibile: le dichiarazioni dei portavoce di appoggiare la protesta, sembrano dettate più dal tentativo di utilizzare le proteste contro Zapatero, che dalla convinzione.

Oggi è giorno “de reflexiòn”, ossia il giorno prima della tornata elettorale, teoricamente, in tutta la Spagna non dovrebbero esserci manifestazioni. La Junta Electoral Central ha proibito le manifestazioni. Di fatto le piazze sono piene e si leggono cartelli che dicono “Non abbiamo bisogno della legittimazione della Junta. Siamo noi a delegittimare la Junta”. In molte piazze si decide e si annuncia che le accampate proseguiranno oltre il 22 maggio. In tutte le piazze si ripete “No nos vamos”.

Ieri tutte le città hanno seguito con apprensione le dichiarazioni di sgombero e possibile sgombero, tuttavia la gente è rimasta a occupare le piazze, fino al mattino. La stampa appoggia la mobilitazione e il consenso è pressoché generale. Questo preserva da qualsiasi forma di repressione. Di fatto questo può rappresentare la certezza di rimanere in piazza fino al 22. Molte piazze si sono dichiarate favorevoli a proseguire le “acampadas” anche dopo le elezioni.

Cosa succederà dopo il 22 non si può sapere. La vicinanza del voto (oltre all’enorme partecipazione popolare) ha bloccato l’iniziativa di repressione politica. Il rischio di fare un passo falso e perdere centinaia di migliaia di voti è reale. Dalla notte del 22 questo blocco scomparirà.

Da sottolineare comunque che il risultato di ieri è che i sindacati di polizia si sono espressi contro lo sgombero delle piazze. Alle Canarie la polizia si è aggiunta alle manifestazioni.

Se è consentito un piccolo azzardo è possibile fare dei raffronti con altre proteste, il pensiero va sicuramente alle proteste del Cairo e a quelle islandesi, ma il carattere urbano delle rivolte ricorda le proteste nelle banlieue parigine. Questo non per le pratiche, che si dichiarano non violente e che sono stabilite in maniera del tutto ufficiale. Nemmeno per la composizione, sebbene i migranti (prima o seconda generazione) siano presenti alle proteste non si può dire che siano una parte maggioritaria. Ma nelle modalità in cui tutto questo è nato: gente indignata che non espone cartelli alla ricerca di diritti specifici, ma semplicemente è stanca della propria situazione e pertanto decide di agire a partire dal proprio tessuto urbano. A essere protagonista, in questo momento, non sono i movimenti universitari (importanti, che sono sì importanti, ma che rappresentano una parzialità in qualcosa di molto più generale), né i movimenti anti-capitalismo (anche questa composizione importante), bensì l’intero tessuto urbano delle città.

Se ancora volessimo giocare con i confronti possiamo guardare all’Italia e ai movimenti degli ultimi anni. Ci sono parecchie similitudini con l’Onda, per le pratiche pacifiche, ma soprattutto per la voglia travolgente di partecipare e costruire e per lo spirito positivo delle proteste. Solidarietà, pace e amore, sono tre parole che in questi giorni riacquistano di significato, al di là di ogni impostazione onirica. Mentre la radicalità delle proteste (che come abbiamo detto sono pacifiche, ma estremamente radicali), nonché le critiche all’intero sistema ricordano alcuni movimenti italiani che da questo autunno si sono susseguiti, come il movimento studentesco, il movimento del Knowledge Liberation Front che ha riempito le piazze il 26 marzo e il movimento 9 aprile che ha portato in piazza i precari.

Tuttavia c’è qualcosa di nuovo, anche rispetto a Piazza Tahir, ossia la dislocazione delle proteste in tutte le città spagnole, persino nei paesi più piccoli.

Dall’estero arrivano notizie di accampate che vengono accolte con entusiasmo. Collegare le proteste di tutte le città spagnole e andare oltre i limiti della nazione può essere sia la posta in palio più grande.

La rivolta della Spagna vista da Barcellona

Dirigendosi verso Plaza de Catalunya attorno le otto di sera, mentre si cammina lungo quei larghi marciapiedi a scacchiera,  capita di incontrare qualcuno che fa’ un po’ di fracasso apparentemente senza motivo,  sbattendo oggetti metallici tra loro;  poi pare di sentire un qualcun’ altro che fa la stessa cosa più avati, poi girato l’angolo un altro ancora.

Non è casuale:  è l’ora della cancerolada e chi non è potuto andare ad urlare e manifestare insieme alle altre migliaia fino alla piazza principale,  aderisce simbolicamente alla protesta dalla bancarella o fuori dall’alimentari dove lavora.

Ormai  da una settimana,  dentro Barcellona come in decine di altre città spagnole,  il movimento continua a crescere di intensità e partecipazione;  le Ramblas sembrano quasi  poco affollate per essere la sera di un week-end, sarà  che ormai per i tutti i turisti quella piazza piena  è diventata una delle attrattive irrinunciabile da visitare, da fotografare.

Il flusso continuo di gente che parte e arriva dalla piazza blocca, a tratti, il flusso abituale degli  autobus; in realtà il traffico di mezzi privati e pubblici attorno a Catalunya è quasi paralizzato, l’uscita principale della metro è chiusa.

Voltare l’angolo è come entrare in uno stadio,  un boato fatto di voci, pentole e tamburi.

Ormai la protesta è proprio un fenomeno urbano,  caratterizza oggettivamente il tessuto metropolitano  nel centro della sua vita.

Forse un migliaio per tutto il giorno, la sera diventiamo  dieci, quindicimila probabilmente anche più; le cifre sono un particolare. Quello  che conta è che inizialmente la giunta elettorale centrale aveva vietato tutte le manifestazioni dal giorno prima delle elezioni e che il governo ha poi rettificato, dicendo che non avrebbe proibito le concentrazioni nel caso queste non avessero alterato l’ordine pubblico;  la ragione è evidente a tutti: una piazza con così tanta gente non è sgomberabile.

Stupisce anche come in pochi minuti si interrompano i canti, i balli, i cori e le urla e miglaia di persone si mettano in silenzio  e sedute per un assemblea plenaria. Una dedizione che caratterizza anche la pulizia della piazza e la distribuzione di informative sull’autodifesa in caso di intervento delle forze dell’ordine.

La gente è talmente tanta che incontri tutti ma non rivedi più nessuno… La grande maggioranza restano giovani: ci sono studenti, molti disoccupati, altrettanti sono lì perché il loro lavoro fa schifo oppure fa schifo la paga, oppure fanno schifo entrambi; oltre ai precari ci sono pensionati e tanta altra gente, semplicemente cittadini indignati.  Per la prima volta si vedono dei lavoratori con una divisa di servizio e anche alcuni migranti che assistono ai lati della piazza.

I metodi decisionali sono quelli di cui abbiamo già parlato e vengono adottati in tutte  le città praticamente allo stesso modo.

Lo sforzo assembleare massimo sta nel compattare in un corpo unico l’ampia eterogeneità,  le differenze che stanno dietro ad una sensibilità comune;  una pluralità che caratterizza questo come molti altri movimenti sociali degli ultimi anni.

Per cui  a  Barcellona non è stato votato un solo manifesto di intenti ma almeno due, e altri se ne propongono quotidianamente alla commissione “contenuti”;  le proposte operative comuni cominciano ad emergere  e  ad essere approvate la sera:  sono una lista di punti precisi e di rivendicazioni più  generiche che, messe assieme,  esigono  un cambiamento radicale della società.

Innanzi tutto si intima al governo e al futuro alcalde di ritirare i tagli agli enti regionali, alla sanità e all’istruzione, di ritirare la riforma delle pensioni e di modificare la legge elettorale a favore di un modello proporzionale; inoltre di cancellare tutte le ordinanze civiche.

Di seguito sarebbe inutile perdersi in un elenco di  tutto ciò che è emerso, (per maggiori dettagli rimando al web) eppure vorrei citare alcune delle pretese che Plaza de Catalunya reclama a gran voce.

Il diritto ad una casa per tutti, esproprio e assegnazione  degli stabili vuoti, riconoscimento e retribuzione del lavoro sommerso, salario minimo e massimo, orario massimo di lavoro per tutti i lavori.

Questo è un movimento che reclama tempo e qualità di vita a fronte di una precarietà non più tollerabile, che pretende di  modificare le regole del gioco secondo un modello di giustizia proprio (questo lo dico con buona pace di chi pensa che qui Grillo c’entri qualcosa).

E’ vero, c’è una forte avversione verso la corruzione della classe politica, evidentemente quella non esisite solo in Italia, ma qua nessuno rappresenta o è rappresentato da nessuno,  indipendentemente dall’essere puliti o sporchi; secondo questa piazza  il mondo della finanza e delle banche, il mondo della rendita devono essere condannati (a prescindere) a restituire i soldi pubblici,  devono esser e tassati, devono essere obbligati a pagare la ricchezza accumulata. C’è chi si lancia fino a proporre la nazionalizzazione delle banche, “si ma poi sarebbero le stesse persone a governarle” risponde qualcun’ altro.

Il susseguirsi  delle proposte approvate arriva fino al diritto di cittadinanza e di voto per i migranti, al rispetto dell’ambiente e,  all’immancabile, immediata soppressione della monarchia.

Sorprende anche  solo il fatto che si pongano rivendicazioni alle isituzioni nazionali così come a quelle locali indifferentemente e a seconda della convenienza per il movimento. Non dimentichiamo che le spinte autonomiste della Catalogna negli ultimi anni, e soprattutto negli ultimi mesi, si erano radicalizzate notevolmente andando ad ingrossare di molto le fila degli indipendentisti. Di chi dice che, per uscire dalla crisi, la Catalogna deve diventare uno stato autonomo e che i soldi che Madrid ruba devono rimanere sul territorio. Assomiglia un po’ a qualcosa di già sentito…anche se, bisogna riconoscerlo, senza rigurgiti razzisti o omofobi e con accenti meno ridicoli di quelli a cui siamo abituati.

Invece questo è un movimento che non crede che l’autonomismo si il problema principale, esige organizzare la sua libertà trasversalmente a tutte le istituzioni di qualsiasi stato, regione e di qualsiasi colore.

Alcune proposte dell’assemblea riguardano proprio come poter continuare la lotta in questa direzione, a partire dal giorno successivo le elezioni:  si parla di pretendere dal nuovo sindaco la possibilità di riunirsi in assemblee di quartiere per  favorire una partecipazione orizzontale,  ed un’autogestione della vita pubblica.

Granada: No nos moveràn, de la Plaza del Carmen, no nos moveràn

La prima decisione importante è stata quella di proseguire le proteste anche dopo il 22. E’ evidente che le “acampadas” sono importanti, ma non bastano, si sente l’esigenza di una nuova manifestazione che coinvolga lavoratori e gente al “paro” (una sorta di sussidio di disoccupazione) pertanto si comincia a parlare di proporre una Huelga Generale gestita dal movimento.

La città vive il suo momento di massima esplosione. Da anni governa il PP che come ultimo colpo alla città ha istituito delle Ordinanze molto forti che di fatto limitano la vita pubblica. La sinistra non è mai stata in grado (o non ha mai voluto) contrastare l’Ordinanza. Solo i movimenti hanno agito in questo senso e in questi giorni si stanno finalmente imponendo. Pertanto quanto che sta accadendo nella Plaza del Carmen a Granada, gli accampamenti, i rumori, anche solo il radunarsi è contro la legge. Nessuno pare preoccuparsi di questo punto. Ci sono minacce di multe, ma vengono regolarmente istituite casse comuni. Quello che possiamo testimoniare è di aver visto un senza tetto donare i suoi ultimi 20 euro alla cassa.

Le assemblee sono complicate, la piazza è sempre più piena e anche qui, come a Madrid, si propone di occupare un’altra piazza. L’occupazione di un’altra piazza sarebbe funzionale anche per favorire due assemblee, una organizzativa e una più politica, dove discutere le rivendicazioni, cercare di capire che direzione possa prendere l’assemblea.

Si propone di scrivere un decalogo che raccolga i contenuti delle proteste. Le proposte raccolte sono numerose, molte di esse sono centrate sul mercato e sulle banche. In particolare ci si schiera contro le multinazionali e le lobby, per questo motivo un cartello che viene presentato (qualsiasi materiale di divulgazione viene prima proposto all’assemblea, anche i volantini, che devono essere comuni, non possono esistere due volantini diversi dello stesso accampamento) e che presenta il cartello di “Stop” con sotto la scritta “Mercados”, viene bocciato, perché si chiede che si possa preservare il piccolo commercio. Anche le politiche per la “naturaleza” vengono reclamate a gran voce, il problema ambientale è molto sentito e investe non solo l’inquinamento, ma soprattutto la questione della “comida”, il cibo.

In diversi interventi chiedono che l’assemblea dichiari le banche “Nemico Pubblico”, con eccezione, dicono alcuni, delle banche sociali.

Un punto particolare riguarda i diritti base: il diritto alla casa, il diritto al cibo, i diritti delle donne in tema di maternità, i diritti alla sanità e all’istruzione. Diritti negati dalla recente gestione della crisi.

Si parla molto di lotta alla disoccupazione e di un salario minimo, la proposta è una cifra di 1200 euro al mese, altri propongono 2200. Da alcuni interventi si chiede un reddito minimo garantito che sia slegato dalla prestazione lavorativa.

Ci sono proposte di Referendum per la legge elettorale e per la costituzione. Diversi interventi propongono invece di abbandonare la vecchia Costituzione e di scriverne una nuova.

In ogni caso quello che si propone è quanto di più simile si possa immaginare ad un “processo costituente”, modo di dire difficile che però implica la chiusura con quanto esiste e l’inizio di un modo di ragionare che ponga le basi ad una nuova società. La cosa che più impressiona è che la gente sembra esserne consapevole.

Per la giornata di oggi verranno organizzati dei “taller”, gruppi di lavoro che ragioneranno su come meglio organizzare la protesta. Uno dei più interessanti è il “taller para los moderadores”, ossia chi gestisce e si prende cura dell’assemblea (distribuzione di acqua e viveri, fluidità degli spostamenti, indicazioni di voto, riassunto delle decisioni). Abbiamo già detto che, a livello di organizzazione, è proprio questa la cosa che più stupisce, se assemblee con migliaia di persone riescono, tra mille difficoltà, a produrre, è grazie a questa forma di organizzazione.

La composizione della protesta sta cambiando, o meglio, si sta evolvendo, se i primi due giorni la composizione era soprattutto giovanile ora la composizione va aumentando. Dal palco si susseguono interventi di gente dai 20 ai 50 anni. Probabilmente la fascia che interviene maggiormente è quella dei 25-35, ossia la generazione che qualche mese fa è stata definita Ni-Ni (Ni estudio, Ni trabajo).

Comincia a sentirsi l’esigenza di un coordinamento fra le città. Le proposte cominciano ad arrivare da tutte le piazze e si comincia a percepire la totalità del movimento. In particolare le notizie arrivano dall’Andalusia (paesi e città) e da Madrid.

A margine di queste note possiamo tradurre il comunicato letto all’inizio dell’assemblea del 20 maggio, riguardo allo sgombero della piazza del primo giorno:

Assemblea “Acampada Plaza del Carmen”

L’assemblea Generale riunita nella Plaza del Carmen, in rispetto allo sgombero della polizia di quanti erano lì riuniti il 18 maggio 2011, ESIGE:

1. Che si proceda a ritirare le accuse contro tutte le persone che sono state detenute, dal momento che in nessun momento hanno opposto resistenza alle autorità, mostrando sempre un comportamento pacifico che non può essere punito.

2. Richiesta ferma che le identificazioni fatte dalla polizia il giorno 15\05 e il 18\05 in diversi punti della città alle persone che partecipano a questo movimento non daranno vita a nessun tipo di denuncia o intervento della polizia.

3. Presa di responsabilità rispetto alla decisione di sgomberare la Plaza del Carmen, unica Piazza sgomberata in tutto lo stato spagnolo in quel giorno. Questo perché la forma in cui è avvenuto lo sgombero ha prodotto diverse lesioni ai manifestanti (polsi fratturati, distorsioni al collo, lussazioni, ematomi…). Si chiede una presa di responsabilità rispetto al l’indadeguato trattamento riservato ai detenuti in Questura.

4. In ogni caso, dimissioni di D.Antonio Cruz, Subdelegado del Governo, per la sua responsabilità diretta e indiretta in fatto così gravi, come per il rifiuto di dialogare con coloro che erano radunati in piazza, nonostante le continue sollecitudini al rispetto di questi.

Allo stesso modo, informiamo al Sr. Subdelegado del Governo di Granada D. Antonio Cuz, che tutti i punti precedenti diventeranno rivendicazioni di primo ordine dell’Assemblea dell’Acampada di Granada, e nello stesso tempo dichiariamo che qualunque azione repressiva che segua questa condotta non farà altro che consolidare la protesta che pretende combattere.

Granada, 20 maggio 2011

> Guarda il video:

Il 20 maggio 2001 la città di Granada (su proposta di altre città spagnole) osserva un minuto di silenzio. L’assemblea dell’acampada de Granada propone, alla fine di questo silenzio, un minuto di urla.