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Solidali in piazza: “I can’t breathe!”

Ieri presidio in piazza dell’Unità, per dare “risonananza alle proteste e le rivolte in atto negli Usa”. Perchè “essere neutrale nei tempi, nei luoghi e nelle funzioni che preservano l’ingiustizia vuol dire stare dalla parte dell’oppressore”.

11 Giugno 2020 - 19:05

Presidio “I can’t breathe”, ieri sera, in piazza dell’Unità. Si è trattato di una “iniziativa solidale” di “cassa di risonananza per le proteste e le rivolte in atto negli Usa”, hanno scritto i promotori con un post sulla pagina Bologna NoBorders e un manifesto che riporta la frase: “If you are neutral in situations of injustice, you have chosen the side of the oppressor”. Al presidio ha aderito la Rete bolognese di iniziativa anticarceraria, con il seguente comunicato: “Essere neutrale nei tempi, nei luoghi e nelle funzioni che preservano l’ingiustizia vuol dire stare dalla parte dell’oppressore. Per riprendere la Davis, fervente abolizionista del sistema carceraio, più che porre l’accento su chi perpetra la violenza, bisognerebbe interrogarsi sulla violenza come istituzione, sull’istituzionalizzazione dei meccanismi di violenza e sulle discriminazioni di genere che le istituzioni incarnano tramite l’intervento paternalista e patriarcale. Come rete anticarceraria siamo qui a ribadire come il sistema penitenziario sia l’asse portante di un controllo demografico attraverso cui si perpetra la riduzione strumentale e svilente delle persone a funzioni di profitto. Una macchina sempre più specializzata in ogni luogo che zittisce e neutralizza le contraddizioni sociali prodotte dal capitalismo, rinchiudendo e castigando i soggetti sociali che queste contraddizioni le soffrono sotto forma di molteplici oppressioni. Un quarto di tutti i detenuti del mondo è nelle galere a stelle e strisce (nonostante il Paese abbia appena il 5% della popolazione mondiale). Un numero impressionante se paragonato con altri Stati. 655 detenuti ogni 100mila abitanti. Il doppio del secondo in classifica (la Turchia) e del terzo (Israele). Sei volte più della Francia. Quasi 7 volte in più dell’Italia. Le risposte al problema del sovraffollamento causato dalle politiche attuate e del conseguente aumento dei costi di gestione hanno portato da subito a far crescere la privatizzazione carceraria: il carcere è diventato un business redditizio, i detenuti manodopera gratuita da sfruttare. L’ideologia del terrorismo, mostro mediatico, ha alimentato islamofobia e razzismo criminalizzando le comunità già oppresse”.

Scrive ancora la Rete: “La maggior parte della popolazione carceraria statunitense è composta da minoranze etniche. Un afroamericano su 9 fra i 20 e i 34 anni è attualmente in prigione. Uno su tre, nel corso della propria vita, finirà prima o poi in carcere. Gli ispanici hanno una probabilità di finire in carcere 4 volte maggiore rispetto ai bianchi. Una volta che le leggi repressive entrano in vigore, il pregiudizio razziale influenza ogni passaggio del sistema giudiziario, aumentando la probabilità che una «persona di colore» sia fermata dalla polizia, perquisita, arrestata, accusata, condannata, e che sconti un periodo di carcere. Statisticamente è principalmente alle persone bianche che viene concessa una seconda possibilità, o il beneficio del dubbio. La Guerra alla ‘droga’, altro mostro mediatico ed elettorale, è stata un fallimento totale a costi umani e finanziari enormi. Non solo non ha ottenuto nessun risultato, come ci raccontano i laboratori antiproibizionisti, ma rimane il fattore determinante che alimenta il sistema carceri. L’applicazione della legge come al solito è mirata alle comunità e alle soggettività che sono meno in grado di difendere se stesse riproducendo in tal modo la disparità razziale nella popolazione carceraria. Disparità razziale e non solo. Le donne, oltre alla repressione, soffrono continui abusi sessuali e maltrattamenti. Idem chi non è conforme, chi vive una fragilità psichica, chi non regge il peso dell‘isolamento forzato. Le transessuali sono tra le comunità più criminalizzate e vulnerabili: «Le persone transgender non entrano nella classificazione binaria uomo/donna che il carcere stesso produce e consolida socialmente» sottolinea Angela Davis. E’ necessaria una critica integrale e radicale alle fondamenta della violenza e dell’oppressione razziale, di classe e di genere su cui si appoggiano le nostre società, e con queste le carceri. Ed è proprio il rifuto di ogni binarismo che oggi ci invita alla ricerca di formule nuove per esprimere i rapporti di forza e oppressione e destituire poteri e privilegi. Le istituzioni totali, durante questa pandemia stanno mostrando tutte le loro contraddizioni e rivelandosi per quello che sono: un deposito dove accumulare persone che non hanno il diritto di essere considerate tali. Luoghi in cui vengono rinchiusx tuttx quellx la cui vita conta di meno: perché criminali, perché ‘anziani‘, perché ‘migranti’, perchè ‘psichiatrici’, ‘disabili’ o ‘malati’, perchè ‘non conformi‘, perchè ‘improduttivi‘. Nelle carceri, nei reparti, nelle strutture psichiatriche, si muore oggi come ieri. Di Tso, contenzione, abbandono, esclusione. In nome delle frontiere ogni giorno i migranti e le migranti in fuga da guerra e povertà subiscono controlli razziali, rastrellamenti, violenze e deportazioni. Tutto questo avviene nelle stazioni dei treni, negli areoporti, nelle questure e nei campi di accoglienza delle nostre città, come ci ricorda bolognanoborders. Abbiamo già accettato questo destino nel momento in cui accettiamo l’esistenza di queste istituzioni, di queste frontiere, di questi muri, di queste gabbie. Spazi dove la libertà sparisce e dove il controllo regna tra repressione, oggettivazione, alienazione, medicalizzazione e psichiatrizzazione. Quelli che ci parlano di sovraffollamento nelle prigioni sono gli stessi che le hanno riempite fino a farle scoppiare! Per noi non si tratta di costruire altre prigioni, ma di svuotare quelle già esistenti. E’ necessaria oggi un’insurrezione contro il dominio, contro qualsiasi forma il dominio possa assumere, partendo dalla destituzione di quelle istituzioni che continuano a ripordurlo, altrimenti nessun cambiamento sarà possibile. L’unica sicurezza è la libertà!”.