Un anno dopo la strage combattenti yazidi, brigate curde da Turchia e Rojava e peshmerga curdo-iracheni cacciano il califfato dalla città.
(da Infoaut)
Dopo più di 100 morti tra le fila dell’ISIS ed una ventina circa tra curdi e loro alleati, i violentissimi scontri delle ultime ore nella città montana di Sinjar (Shingal o Shengal in curdo) si avviano finalmente al termine – ponendo fine ad una situazione di stallo che durava da inizio anno.
L’offensiva congiunta del Comando Unito Yezida (formato da HPG – braccio armato del PKK -, YJA-Star, YBŞ ed YPJ-Shengal) da una parte e dei peshmerga del Governo Regionale Curdo (KRG) iracheno (appoggiati dall’aviazione e, pare, da truppe d’elite statunitensi) dall’altra ha sortito il controllo completo sull’abitato. Dopo una estrema resistenza dei miliziani dell’Isis che, ritirandosi, hanno fatto saltare in aria una serie di abitazioni e bruciato pneumatici per confondere i jet della coalizione. Alcuni di loro non sono tuttavia sfuggiti alla cattura, come mostrato nella foto.
Un luogo che nell’agosto del 2014 era stato teatro del genocidio della popolazione yezida per mano dell’ISIS, contribuendo per ferocia e crudeltà a portare quest’entità alla ribalta mondiale. Complice l’inettitudine del KRG – i cui peshmerga allora si ritirarono abbandonando la popolazione locale al suo destino – in migliaia dovettero fuggire dalle proprie case per evitare il massacro, lo stupro etnico o la riduzione in schiavitù per mano degli aguzzini di Al-Baghdadi. Altri ancora morirono di sete e stenti sul monte Sinjar.
In quell’occasione le YPG del Rojava, tra enormi difficoltà militari e logistiche (i cantoni di Kobane e Cizire erano ancora separati e sotto assedio) e nonostante l’ostilità del KRG (foraggiato da Turchia, Stati Uniti e Israele e timoroso di perdere la sua egemonia nella regione) che aveva chiuso i valichi di frontiera, aprirono un corridoio umanitario che permise ai fuggiaschi di trovare scampo nei campi profughi di Derik e Serekaniye. Non solo: profughi Yezidi si arruolarono nelle YPG ed YPJ ed organizzarono proprie milizie di autodifesa, evolutesi successivamente nelle YBŞ – Forze di Difesa di Sinjar. Una formazione divenuta partecipe dell’attacco alla città ed in prima linea contro i propri carnefici.
La vittoria curda e yezida spezza (almeno simbolicamente, dato l’ampia rete di vie logistiche allestita a tempo di record dai fedelissimi di Al-Baghdadi) la spina dorsale dell’ISIS, l’autostrada 47 adiacente alle montagne – che fino a ieri collegava le due capitali del Califfato, Mosul in Iraq e Raqqa in Siria. E’ proprio sul versante siriano che, nonostante la minaccia turca a nord e le azioni terroriste e di guerra asimmetrica praticate dall’ISIS i partigiani delle YPG ed i loro alleati hanno ripreso l’iniziativa. Puntando ora alla riconquista dell’intera provincia di Hasaka – con l’obiettivo principale rappresentato al momento dalla città di confine di Hawl, sotto l’ombrello delle QSD (Forze Democratiche Siriane, comprendenti tra le altre la milizia araba del Burkhan-al-Firat e quella siriaca del Syriac Military Council).
Proprio il coordinamento interetnico tra queste milizie, rappresentative dei vari popoli della Siria ed il richiamo ai principi del confederalismo democratico possono, in questa fase, fornire una chiave di volta per proseguire l’espansione del processo autonomo oltre i territori del Rojava, verso quelli del regime siriano e del califfato; oltreché mettere in difficoltà il progetto autoritario della vicina Turchia di Erdogan, focalizzato sulla guerra nazionalista e senza quartiere all’intera etnia kurda.