La crisi del Po parte di un trend “irreversibile”, afferma lo storico dell’ambiente Giacomo Parrinello: “C’è molto da imparare dai Paesi che fanno i conti con la scarsità d’acqua da prima di noi. L’Africa del nord, l’India, i cosiddetti Paesi del sud del mondo a cui abbiamo sempre guardato con supponenza e senso di superiorità”.
I grandi fiumi come il Po drammaticamente a secco, poi nel giro di poche settimane nubifragi devastanti come quelli che nelle scorse ore hanno colpito l’Emilia-Romagna e altre regioni. Com’è possibile? “E’ il paradosso del cambiamento climatico. Come dicono gli scienziati, aumentano gli eventi estremi di tutti i tipi: estreme precipitazioni ed estreme siccità”. A parlarne è Giacomo Parrinello, storico dell’ambiente e assistant professor al Centro di storia di Sciences Po, l’istituto di studi politici di Parigi. La coesistenza di siccità e grandi precipitazioni “va al cuore del paradosso che si fatica a comunicare sul cambiamento climatico e il suo impatto sul ciclo delle acque. Quello che i climatologi ci dicono sta succedendo è una modificazione del regime delle piogge e delle nevi, che a due facce”, spiega Parrinello in un’intervista recentemente rilasciata all’agenzia Dire: “Una è quella dell’assenza. Stagioni che si era abituati da millenni, cioè da quando gli uomini hanno inventato l’agricoltura, a considerare come piovose, ad esempio la primavera, lo diventano sempre meno. Le precipitazioni nevose cominciano più tardi e finiscono prima per l’aumento delle temperature anche in montagna, quindi cade meno neve perchè cade sotto forma di pioggia. E ci sono lunghi periodi, molto più lunghi di prima, in cui non piove”. Però, contemporaneamente, a volte le precipitazioni che mancano per mesi “si concentrano in una settimana e ci si trova di fronte a veri e propri diluvi, in cui nel giro di poche ore o pochi giorni cade l’equivalente di una stagione intera- continua il docente- e improvvisamente fiumi in secca diventano torrenti”. Questo regime, tipico del sud Italia, “si generalizza e amplifica anche in zone che non l’avevano ed è il paradosso del cambiamento climatico”.
La siccità? Un trend irreversibile, è necessario un ripensamento degli usi delle acque
“Quello che stiamo vivendo nella valle del Po non è un episodio isolato, è parte di una tendenza irreversibile alla modificazione dei sistemi idrici, legata al cambiamento climatico, rispetto alla quale dobbiamo urgentemente adattarci in una maniera strutturale e questo non può che passare da un ripensamento degli usi delle acque”, avverte Parrinello. Questo ripensamento “implica un confronto sui modelli economici ma anche su chi e come prenderà le decisioni per la riorganizzazione degli usi delle acque, necessaria per via della crescente scarsità, così da assicurarsi che sia una riorganizzazione giusta e non ingiusta. Che tenga cioè conto nella maniera migliore possibile degli interessi dei più e non dei pochi”.
La crisi del 2022 simile a quella del 2003: ma da allora nessun intervento strutturale
Ma intanto che effetto fa, per uno storico, vedere le immagini del Po talmente a secco da far affiorare i mezzi militari della seconda Guerra mondiale o un ponte medievale? “Questa siccità non potrebbe arrivare per me in un momento migliore, o peggiore- risponde il docente- perchè sto scrivendo, ormai da molti anni, una storia del bacino del Po nella quale mi interesso al modo in cui lo sviluppo economico nella regione padana, che come sappiamo è quelle più ricche d’Italia, è dipeso storicamente dall’abbondanza di acqua e il punto di arrivo della mia storia, che abbraccia circa due secoli, è per l’appunto una siccità e cioè quella del 2003′: fu un evento ‘di portata epocale”. La prima, cioè, delle siccità “che hanno messo e stanno mettendo a durissima prova il settore agricolo, la fornitura di acqua potabile e la produzione energetica. Proprio in queste settimane sto scrivendo la conclusione” del volume e “fa molto strano scrivere del 2003 e contemporaneamente leggere degli eventi del 2022, perchè la dinamica è molto, molto simile”. Infatti “siamo di fronte ad un accumulo di fattori legati al cambiamento climatico, come nel 2003: riduzione della precipitazione di neve nell’inverno, assenza di precipitazioni di pioggia in primavera e ancora di più in estate, temperature altissime che quindi aumentano i bisogni irrigui dell’agricoltura, l’evaporazione dell’acqua e il bisogno di energia”. Eppure, dal 2003 al 2022 va rilevata “una quasi completa assenza di interventi strutturali e per me è davvero vertiginoso- afferma Parrinello- pensare a questi 20 anni passati senza che si sia mosso nulla, pur sapendo che andiamo incontro ad un futuro in cui questi eventi non faranno che ripetersi e in forme sempre più gravi”.
Si parla dell’Emilia-Romagna come ‘Food valley’, ‘Motor valley’ e ‘Data valley’, però forse non si è parlato abbastanza di ‘Water valley’, allora: c’è stata sottovalutazione? “E’ stata sottovalutata l’idea che esistono dei limiti. Leggendo, come mi è capitato di fare per il mio lavoro, documenti programmatici, rapporti ministeriali e studi economici- risponde Parrinello- negli ultimi due secoli l’idea del bisogno di acqua è sempre stata presente”: un esempio è la centralità dell’irrigazione nell’agricoltura regionale e il ruolo giocato in questo dall’acqua del Po tramite il grande Canale emiliano-romagnolo. Il Canale, infatti, “fu costruito a partire dagli anni ’50 ma in realtà- spiega il docente- fu progettato già nell’800′ e poi è rimasto al centro del dibattito anche negli agli anni ’70 e ’80, ‘in cui si parlava del Mercato comune europeo e del ruolo che l’acqua del Po, attraverso il Canale, avrebbe avuto per favorire la specializzazione ortofrutticola nel comparto emiliano”. Quello che però “è sempre mancato e che in parte manca ancora adess è l’idea che nella valle padana si possa far fronte in maniera strutturale alla penuria d’acqua. Si è sempre operato con l’idea di una risorsa abbondante, si trattava semplicemente di trovare le forme e i modi per poterla distribuire, ma pensando che fosse disponibile ed abbondante. In parte questa non è un’idea falsa, perchè nel clima dell’Olocene, cioè degli ultimi 6.000-10.000 anni, nella valle del Po l’acqua è stata effettivamente abbondante. Il problema è che adesso una delle conseguenze maggiori del cambiamento climatico è che la quantità di acqua disponibile nel bacino del Po non è più la stessa di un secolo fa e questo è il vero impensato. E’ l’elemento su cui ancora non ci si confronta in maniera adeguata”, perchè significherebbe “ripensare completamente il modello economico e non mi sembra di vedere ancora segnali che vadano in questa direzione”.
C’è molto da imparare da quel sud del mondo a cui abbiamo sempre guardato con supponenza
Parlare di emergenza, quindi, non è il modo migliore per affrontare la questione? “Non se per emergenza si considera un episodio singolo e concluso. Se questa è l’idea di emergenza, si sbaglia. Il problema è strutturale”, ribadisce lo storico: “Pensare di poter continuare con gli usi delle acque che esistono oggi è impossibile, si va dritti contro un muro”. Ma ci sono altre parti del mondo dalle quali si possono mutuare buone pratiche? “C’è molto da imparare dai Paesi che fanno i conti con la scarsità d’acqua da prima di noi. Penso all’Africa del nord, all’India, ai cosiddetti Paesi del sud del mondo che abbiamo sempre guardato con una certa supponenza e senso di superiorità- sottolinea Parrinello- ma che, invece, hanno sviluppato tecniche, tecnologie, sistemi e colture pensate proprio per fare i conti con la scarsità e tirare fuori il massimo profitto possibile da condizioni ambientali molto dure”.
Il docente cita ad esempio il Sahel, “una banda semidesertica a sud del Sahara, in cui tradizionalmente le popolazioni locali hanno sviluppato forme di policoltura e cioè coltivazione di tipi diversi di prodotto nella stessa parcella, capaci di adattarsi a condizioni climatiche diverse. E’ una forma di assicurazione: nel caso in cui un tipo di pianta dovesse fallire a causa di condizioni avverse, ce n’è sempre un’altra che invece prospera in quelle condizioni assicurando il raccolto. Queste forme di policoltura sono state praticate anche in California dalle popolazioni degli indigeni americani che, prima dell’arrivo dell’agricoltura capitalista, avevano sviluppato forme di policoltura adatte per l’appunto alla siccità”. Conclude Parrinello: “Non mi permetto di dire che questa è la soluzione per l’agricoltura industriale e l’economia della valle padana, ma se vogliamo cercare delle idee e soluzioni è in quella direzione lì che bisogna cercarle. La mia impressione è che europei ed americani, complessivamente, non siano meglio preparati di noi a far fronte al tempo presente”.
Far fronte alla siccità realizzando nuovi invasi? Illusorio o, ancora peggio, dannoso
Fronteggiare l’aumento della siccità con la realizzazione di nuovi invasi, come si sta pensando per il bacino padano? “Illusorio” o, ancora peggio, “più dannoso che utile”, sostiene Parrinello: intanto, rispetto agli scenari prodotti dal cambiamento climatico, “sulla reversibilità bisogna essere molto chiari: non siamo più nella condizione di poter revertire alcunchè. Non è una questione di opinione ma di scienza”, avverte il docente, richiamando i rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu. “Siamo già in una situazione in cui le temperature medie sul pianeta sono aumentate di almeno un grado, in alcune zone tra cui la valle padana anche di più. Questo aumento- continua il docente- è responsabile di questi primi segnali che stiamo osservando, cioè riduzione delle precipitazioni, scioglimento dei ghiacciai, eccetera. Questo aumento è il risultato delle emissioni di Co2 già fatte e purtroppo non si può cancellare il passato”. Peraltro, “gli effetti di questo grado di aumento medio globale non li stiamo ancora vedendo tutti”, mette in chiaro Parrinello, anzi “stiamo vedendo solo l’inizio di queste trasformazioni e tornare indietro non è possibile. Quello che è possibile, anzi necessario e urgente, è impedire un ulteriore aggravamento della situazione”. Insomma, “la reversibilità ce la possiamo dimenticare, quello che possiamo sperare e a cui dobbiamo ambire tutti è fermare le emissioni di Co2 in modo da stabilizzare la situazione tale e quale la vediamo più o meno oggi o comunque nei prossimi decenni”.
Le ondate di calore che stiamo vivendo “ormai ce le terremo per il resto delle nostre vite e nel migliore dei casi non peggioreranno, questa è la battaglia. E’ per questo- continua Parrinello- che sono importanti le due facce del cambiamento climatico: una è quella dell’adattamento, ovvero dobbiamo adattarci alle condizioni nuove che abbiamo creato e che non possiamo più disfare, l’altra è quella della mitigazione e cioè dobbiamo fare in modo di evitare, attraverso la riduzione delle emissioni di Co2, che la situazioni peggiori”. A proposito del primo aspetto, “ci sono modi di adattamento molto diversi, alcuni dei quali purtroppo possono rivelarsi più dannosi che utili e l’aumento degli invasi è uno di questi esempi. Gli scienziati parlano di ‘maladattamento’, cioè di soluzioni che in realtà non fanno altro che aumentare la dipendenza, nel nostro caso dalla disponibilità d’acqua, senza andare a toccarne le radici e rischiando paradossalmente di riproporre il problema in una forma ancora più grave a distanza magari di qualche anno”. L’idea che ulteriori bacini possano risolvere il problema “nasce dall’illusione che si possa continuare a far funzionare l’agricoltura e il settore energetico padano con le stesse quantità d’acqua che si usano nel 2022 e quindi, in fondo, non facciamo altro che cercare altra acqua, anche dove non ce n’è, senza mettere in discussione quanta ne utilizziamo. E’ illusorio perchè, per quanti bacini si possano costruire, l’acqua disponibile si riduce e questa scarsità non farà altro che generare ulteriori conflitti, se non si mettono in discussione alla radice gli usi”. Certo, ci sono interventi sugli sprechi e sugli acquedotti che “vanno fatti e sono importanti- aggiunge Parrinello- ma se non si fa una vera discussione sugli usi dell’acqua”, allora “non si va da nessuna parte”.
La crisi del Po e la tragedia della Marmolada? Temi strettamente collegati: ecco perchè
Quanto la siccità del Po racconta della situazione globale? In altri termini: quanto dista, in termini di analisi, il delta del Po dalla tragedia della Marmolada? “Sono due problemi strettamente legati, se non c’è più acqua che arriva al delta del Po e ce ne sarà ancora meno è proprio perchè sulle cime delle nostre montagne il ghiaccio si sta sciogliendo, di neve ne cade poca e dura poco. Tutto questo è il sintomo locale di un problema di natura planetaria”, sottolinea Parrinello. “Lo stesso tipo di fenomeni si verifica in tutte le grandi catene montuose, con conseguenze altrettanto disastrose se non di più. La riduazione dei ghiacciai di cui si parla tanto- continua Parrinello- è un processo che sta avvenendo in maniera spettacolare e molto dibattituta, giustamente, nei due poli: al polo nord e al polo sud sappiamo che la calotta glaciale, soprattutto al nord, si sta riducendo in maniera significativa al punto che ormai in alcune stagioni dell’anno è possibile l’attraversamento senza rompighiaccio, cosa mai stata possibile nella storia”. Ma in realtà lo scioglimento dei ghiacciai ‘interessa le montagne allo stesso modo: la catena andina, le Montagne rocciose americane, la catena dell’Himalaya e così via. E dovunque con le stesse conseguenze- aggiunge il docente- perchè il regime dei fiumi del pianeta terra dipende da queste accumulazioni di ghiaccio e neve, in particolare nella stagione in cui c’è più bisogno di acqua e cioè l’estate’. Una delle grandi caratteristiche del Po “è che in parte la sua portata estiva è alimentata dallo scioglimento stagionale delle nevi e dei ghiacci”, spiega Parrinello.
Cioè ci sono fiumi “che anche se non piove- spiega Parrinello- sono pieni d’acqua grazie al fatto che, d’estate, il ghiaccio e la neve in parte si sciolgono e alimentano grandi flussi d’acqua”: vale per il Po o per i grandi fiumi himalayani e latinoamericani. Lo scioglimento dei ghiacciai, paradossalmente, nel breve termine può aumentare la portata del fiume, ma se il ghiacciaio non si riforma stagionalmente significa che a un certo punto i fiumi che adesso ogni estate hanno tanta acqua saranno secchi.
Situazioni simili in tutto il mondo: dal Rodano al Colorado
“Questo si sta verificando dappertutto”. Si stanno sciogliendo i ghiacciai sulle Montagne rocciose e ora “in California la situazione è drammatica”, riferisce Parrinello: “La famossisma diga Hoover del Colorado ha raggiunto un livello di magra mai visto dalla sua costruzione negli anni ’30. Ci si comincia a domandare se sia sostenibile mantenerla, ma togliere la Hoover Dam significa mettere in discussione tutto il settore agricolo di un pezzo della California e la produzione di energia”. E la California “è una delle regioni più ricche del mondo, da sola conta come uno degli Stati del G7”. Altri casi? Quello del Rodano “comincia a diventare particolarmente serio- spiega Parrinello- perchè anche qui si soffre della stessa mancanza di precipitazioni nevose sulle Alpi”, mentre nella Francia del sud “ci sono state pochissime precipitazioni in primavera e le temperature stanno salendo a dismisura”. Si potrebbe continuare, “perchè la situazione dei grandi fiumi indiani in questo momento non è comparabile ma siamo nello stesso trend e il Gange e il Brahmaputra alimentano territori agricoli da cui dipende la vita di milioni, se non miliardi, di persone. Idem in cina”.
Guerre per l’acqua? Difficile dirlo, ma si rischiano effetti devastanti anche senza armi
C’è una guerra in corso alle porte dell’Europa e alcune materie prime, come il gas, divantano uno strumento di relazione tra gli Stati e una leva che muove interi pezzi di economia mettendo in gioco il destino di milioni di persone. Come un’altra risorsa preziosa qual è l’acqua si inserisce in questo contesto? “Non so se davvero si possano o si debbano immaginare guerre per l’acqua”, ma su scala internazionale “è chiaro che la prospettiva non è rosea”, afferma Parrinello. “Nel caso del Po di conflitti ne stiamo già vedendo ma sono su scala locale, sono conflitti tra comunità, consorzi e settori- sottolinea Parrinello- con il rifiuto di alcuni pezzi del grande sistema Po di cedere più acqua ad altri pezzi più a valle e tensioni notevoli anche per l’assenza di un effettivo organo di governo di questi usi, perchè quello che esiste può solo dare delle indicazioni”. Ebbene, “se trasponiamo queste questioni sulla scala dei bacini internazionali, che sono governati o condivisi da più Paesi- afferma il docente- la prospettiva non è rosea. Non so se davvero si possano o si debbano immaginare guerre per l’acqua, sono sempre prudente su scenari troppo deterministici e catastrofisti rispetto a questo, ma è chiaro che ci saranno delle tensioni notevoli e che bisognerà trovare delle forme di risoluzione per evitare non solo e non tanto confitti armati ma conseguenze potenzialemente disastrose per interi settori dell’agricoltura, con effetti sulla vita di milioni di persone”.
Per fare un esempio, “se un Paese che gestisce un pezzo di un bacino a monte si rifiuta di cedere acqua per alimentare l’irrigazione a valle in un altro Paese, rischia di far fallire l’intero raccolto annuale di cerali con conseguenze devastanti. Non serve una guerra per immaginare scenari di questo tipo”, rimarca Parrinello. Intanto, una situazione di forte connessione tra acqua e guerra risale esattamente ad un secolo fa. Parlando delle siccità che nel tempo hanno coinvolto il Po, infatti, “un caso molto interessante- racconta Parrinello- si verificò all’indomani della prima Guerra mondiale, nel 1921-1922, quando la scarsità di precipitazioni portò a un quasi completo blocco del settore idroelettrico in un momento di già grave crisi perchè si usciva dalla guerra e addirittura alla creazione di un commissariato nazionale all’emergenza energetica”. Altre siccità del Po sono seguite, ma il problema dell’oggi è che “delle magre così importanti e prolungate, a mia conoscenza- spiega Parrinello- sono senza precedenti” e questo vale ancora di più per la loro frequenza: “Non è più un episodio occasionale, dal 2003 a oggi si sono verificati una serie di episodi che hanno le stesse caratteristiche, in cui regolarmente si oltrepassavano i record della siccità precedente, che vanno interpretati alla luce di cambiamenti strutturali nel clima della valle padana”. Anche alla luce di ciò, la questione dell’acqua “è uno degli elementi che più mi fanno paura del cambiamento climatico e rispetto al quale- conclude Parrinello- ho l’impressione si sia meno preparati. Si dà talmente per scontata la disponibilità d’acqua che si fa fatica ad entrare nell’ottica di doversi confrontare con un mondo in cui non sarà disponibile nella stessa maniera”.