In vista della manifestazione regionale del 22 febbraio contro il Ddl Sicurezza, una riflessione sui provvedimenti che in città aprono le porte alle misure liberticide del governo Meloni.
Non siamo arrivati ai livelli di Torino, dove i magistrati della Procura della Repubblica stanno facendo a gara col Governo nell’accusare attiviste e militanti del centro sociale Askatasuna e del movimento No Tav di un reato che è “un non senso”: «Associazione a delinquere finalizzata a commettere la resistenza… in Torino e altrove dal 2009 in poi, persone si sarebbero associate allo scopo non già di esprimere le loro proteste, bensì di opporre resistenza ai pubblici ufficiali che quelle espressioni di dissenso avessero ostacolato». Non siamo ancora ai quasi sette milioni di euro di risarcimenti richiesti sempre a Torino dall’Avvocatura dello Stato, costituitasi in giudizio per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del ministero dell’Interno e del ministero della Difesa: 3.595.047 euro a titolo di danno patrimoniale in favore del ministero dell’Interno per il «costo dell’attività investigativa svolta ai fini dell’individuazione dei responsabili degli illeciti, nonché con riferimento alla spesa sostenuta a titolo di straordinari, indennità accessorie ed indennità di ordine pubblico corrisposte al personale impiegato»; altri 3.208.230 euro a titolo di danno non patrimoniale, in favore del Ministero dell’Interno, del ministero della Difesa e della Presidenza del Consiglio per il danno alla loro «immagine» e precisamente al loro «prestigio» e alla loro «credibilità».
A Bologna non è ancora così esplicita questa aggressione e questo accanimento alle libertà fondamentali, ma quello che sta avvenendo nella nostra città, in questi ultimi mesi, è una anticipazione, punto per punto, del Ddl Sicurezza che vorrebbero approvare nelle prossime settimane.
Zone rosse
Poco prima dell’ultimo Capodanno il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, aveva inviato una direttiva ai prefetti per individuare, con apposite ordinanze, aree urbane dove “vietare la presenza di soggetti pericolosi con precedenti penali e poterne quindi disporre l’allontanamento”: le cosiddette “zone rosse”. Si trattava di un provvedimento che dava alle forze dell’ordine ampi margini di “potere” nell’individuazione dei soggetti pericolosi, spesso basato su precedenti penali o, ancora di più, sulla raccolta ed elabrazione di dati riguardanti persone attraverso “categorie razziali”.
La norma a cui i prefetti si potevano appoggiare per le ordinanze era l’articolo 2 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, emanato nel 1931 in pieno regime fascista e mai del tutto abrogato. L’articolo 2, pur se in più di un’occasione è stato dichiarato parzialmente incostituzionale da diverse sentenze, consente di adottare provvedimenti “indispensabili per la sicurezza pubblica nei casi di urgenza o di grave necessità”, come per la Val di Susa dove è stato militarizzato un intero territorio. Ma in molti altri casi lo stesso articolo è stato funzionalmente utilizzato come precetto “anti-degrado”.
Nella direttiva di Piantedosi si potevano rintracciare pure gli stessi propositi che avevano ispirato le cosiddette “Misure a tutela del decoro di particolari luoghi”, previste dal decreto Minniti del 2017, per “infrastrutture fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze”, poste in essere attraverso divieti di stazionamento o di occupazione di spazi e ordini di allontanamento dai luoghi indicati.
A differenza di oggi, nel 2017, il dibattito che si aprì (anche in dottrina) fu ampio, perché si scorgevano in senzatetto, nomadi, prostitute, ambulanti e parcheggiatori abusivi i destinatari della misura, in una riproposizione moderna degli “oziosi e vagabondi”, figure sociali “attenzionate” in leggi dei tempi che furono.
Rispetto alla direttiva Piantedosi, Bologna è stata una delle prime città italiane che ha adottato il provvedimento. Il “divieto di stazionare” ha riguardato la scalinata del Pincio, l’area davanti all’autostazione, piazza XX Settembre, la galleria 2 Agosto, via Boldrini, via Gramsci, via Amendola e piazza Medaglie d’oro. Anche la Bolognina è stata coinvolta con la zona retrostante la stazione, tra via de’ Carracci, via Fioravanti, via Matteotti, via Ferrarese, via Bolognesi, via dell’Arca e le corti degli immobili Acer.
La “zona rossa” ha dato alle forze di polizia gli strumenti per intensificare i controlli nelle aree di maggiore affluenza, soprattutto in occasione di eventi e manifestazioni previsti nel periodo delle festività. Negli ultimi tre mesi, infatti, sono stati 105 i soggetti destinatari di provvedimenti di allontanamento su un totale di 14 mila persone controllate.
Bodycam
Se a livello nazionale si sono sollevate diverse critiche (soprattutto da parte di Amnesty International) a un emendamento annunciato dal governo e dalla maggioranza al Ddl Sicurezza che prevede le “bodycam sulle divise”, «a tutela degli operatori delle forze di polizia che mai si sottraggono e si sono sottratte a verità e trasparenza» (secondo i partiti di destra, i codici identificativi, richiesti negli anni successivi al G8 di Genova, sarebbero «strumenti contro le forze di polizia»), a livello locale, i vigili bolognesi potranno filmare i loro interventi, nello stile degli agenti di polizia negli Stati Uniti. Infatti, l’area Sicurezza Urbana Integrata del Comune di Bologna ha impegnato per il biennio 2025/2026 quasi 150.000 euro per l’acquisto di 60 bodycam, complete di accessori e altrettante licenze d’uso, software e servizi. In questo caso, sia leggieriosteopata.it la Lega che il Pd hanno enfatizzato questo finanziamento voluto dall’amministrazione comunale. Fa abbastanza specie che tra le forze politiche che siedono sui banchi di Palazzo d’Accursio non si sia alzata qualche voce critica su questioni non secondarie come la memorizzazione e l’uso futuro delle registrazioni video, la cui conservazione “illegale” potrebbe trasformarsi in una banca dati di sorveglianza, violando i diritti alla privacy delle persone riprese, specialmente se le telecamere saranno collegate a programmi di riconoscimento facciale e database della polizia.
Daspo fuori contesto
Un altro segnale di anticipazione delle misure previste dal Ddl Sicurezza sono i tre provvedimenti di divieto di accesso a manifestazioni sportive (Daspo) nei confronti di due tifosi del Bologna F.C. e di un tifoso di una squadra del Nord Italia, emessi dal questore di Bologna, Antonio Sbordone. Si tratta di tre “Daspo fuori contesto” (norma introdotta nel 2019 che impedisce l’accesso agli impianti sportivi a soggetti che, nell’ultimo quinquennio, si siano “resi responsabili di alcune tipologie di reati contro l’ordine pubblico e l’incolumità pubblica”, anche se realizzati al di fuori del contesto sportivo). I tre soggetti a cui sono state comminate le misure avrebbero partecipato nello scorso mese di giugno alle proteste al parco Don Bosco, dove i manifestanti, che si opponevano al taglio di diversi alberi per fare posto a un cantiere, ebbero dei fronteggiamenti con agenti del Reparto Mobile e carabinieri. Secondo la Questura, la ratio dei provvedimenti è quella di “impedire che possano essere reiterate le condotte illecite”.
Sempre in materia di “Daspo urbano” c’è stato, qualche giorno fa, lo sbraitare di un consigliere comunale della Lega che chiedeva l’applicazione immediata della misura nei confronti di attivisti di Plat che avevano partecipato a un picchetto anti-sfratto in via Di Vincenzo. Secondo l’esponente salviniano «non sono bastati gli agenti in tenuta antisommossa a fermarli. Così passa il messaggio che, a Bologna, chi ignora le regole della convivenza civile facendo prevalere le proprie ragioni con mezzi al di fuori del perimetro della legalità, può avere la meglio… Senza una presa di distanza politica e una ferma condanna si rischia di vanificare una buona parte del messaggio portato avanti in questi giorni in Bolognina»… Il riferimento è chiaramente indirizzato verso i divieti da “zona rossa” presi a dicembre.
70 fogli di via e 200 denunce per il rave di Capodanno
Ultimo in ordine di tempo, fresco fresco, è il provvedimento “cumulativo” della Questura contro i e le partecipanti al rave di Capodanno che si è tenuto in un capannone abbandonato di via Stalingrado. Ne parliamo attraverso una nota della Polizia di Stato, in cui traspare lo “spirito nuovo” derivante dalla propulsione prodotta dal famoso “decreto anti-rave” del governo Meloni.
«Notevole è l’impegno messo in campo dalla Questura di Bologna per emanare un numero tanto elevato di provvedimenti in così poco tempo», si autoincensano da piazza Roosevelt ed il testo che segue ne è una chiara testimonianza: «Come noto il 30 dicembre 2024, diverse centinaia di persone accedevano abusivamente in uno stabile sito tra via Calzoni e via Stalingrado, prendendo parte all’evento musicale non autorizzato “Sound of Freedom”, poi conclusosi il 1 gennaio scorso. Immediatamente la Polizia di Stato di Bologna ha espletato intensa attività di indagine per identificare i responsabili. In particolare, la Digos ha individuato oltre 200 partecipanti all’evento e ha proceduto ad inoltrare alla Procura della Repubblica informativa per i reati di “invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica” e di “turbativa violenta del possesso di cose immobili”. La Divisione Anticrimine – sezione Misure di Prevenzione Personali e Patrimoniali – ha esaminato la posizione dei soggetti coinvolti, con procedura d’urgenza, e ha predisposto ben 70 Fogli di Via Obbligatori dal Comune di Bologna. I destinatari sono tutti gravati da precedenti specifici per aver preso parte, più volte, a diversi rave illegali in tutto il Nord Italia, il che induce a ritenere altamente probabile la reiterazione del reato, anche in considerazione delle numerose festività dell’anno 2025 che sono previste a ridosso del fine settimana. I fogli di via, provvedimenti amministrativi di competenza del Questore, hanno durata variabile da 1 a 4 anni, in base al grado di pericolosità dei soggetti, e inibiscono a questi ultimi il rientro nel Comune dal quale sono allontanati».
Abbiamo voluto portare questi eventi ravvicinati che si sono succeduti rapidamente nella nostra città per dimostrare come, al di là della discussione che sta avanzando a tappe forzate in parlamento, il Ddl Sicurezza si sta aprendo le porte con misure che servono per “preparare il clima”.
E’ per questo che, oltre a preparare al meglio la riuscita della manifestazione regionale che si terrà a Bologna il 22 febbraio (organizzata da una rete molto ampia di realtà politiche e sociali), occorre contrastare queste misure, ormai quotidiane, che fanno parte di un disegno articolato e complessivo che colpisce tutti i soggetti sociali conflittuali e va a comprimere gli spazi di libertà e di agibilità sui territori, a partire anche dalla nostra città.