Culture

Lavoratori clandestini: uno sfruttamento alla base dell’economia italiana

Report e audio della presentazione al Tpo del libro “Servi” di Marco Rovelli

04 Novembre 2009 - 12:10

Il libro di Marco Rovelli è un reportage narrativo che nasce da una serie di viaggi che egli ha compiuto in giro per l’Italia negli ultimi tre anni e riporta varie esperienze vissute dai lavoratori migranti nel nostro paese, spesso caratterizzate da soprusi e sfruttamento in una condizione che si può senza dubbio definire analoga al servaggio.

Il titolo “Servi” è infatti la risposta che l’autore ha trovato alla domanda “A cosa serve produrre clandestini?”, ovvero a produrre soggetti privi di diritto che possono essere sfruttati per mandare avanti la nostra economia. Rovelli ha volutamente scelto di impiegare il termine “clandestino” piuttosto che espressioni più politically correct come sans papiers o irregolari, perché in questa parola si è creata nell’immaginario comune un’analogia con la criminalità acquisendo quindi un significato più complesso rispetto alla semplice mancanza di documenti. Inoltre auspica un ribaltamento dall’interno di questa espressione tramite un uso da parte degli stessi migranti per rivendicare la propria assenza di diritti. “Clandestino” etimologicamente indica colui che sta nell’ombra, concretamente la configurazione di questo soggetto privo di documenti e in quanto tale privo di diritti, risponde a due esigenze diverse della società italiana: da un lato è una macchina da paura, un capro espiatorio di tutte le tensioni sociali, un nemico interno sfruttato dai politici per far approvare le politiche di sicurezza (un meccanismo già teorizzato nel ‘600 nel Leviatano di Hobbes, in cui la paura porta a delegare i propri diritti al sovrano assoluto); dall’altro è un ingranaggio produttivo fondamentale nel nostro sistema economico.

In questa inchiesta ha raccolto una serie di storie individuali per raccontare cose che non emergerebbero in un’analisi astratta, ma essendo vicende del tutto simili tra loro, in quanto ogni immigrato ha attraversato un momento in cui ha dovuto lavorare sottopagato o non pagato affatto, emerge un affresco complessivo in cui non sono dei singoli imprenditori a non rispettare le regole ma è l’intero sistema legislativo ed economico ad alimentare questo sfruttamento. Alla base troviamo infatti la propaganda politica messa in atto da tutti i partiti in merito alla gestione dell’immigrazione che porta all’approvazione di leggi (a partire dalla Turco-Napolitano per arrivare alla Bossi-Fini) che per contrastare la clandestinità vanno invece a creare situazioni che la favoriscono, rendendo più difficile l’ingresso tramite i canali regolari. Uno straniero infatti può entrare in Italia solo se è chiamato dal datore di lavoro, cosa che presupporrebbe già una conoscenza tra questi e il lavoratore che palesemente non c’è nella maggior parte dei casi. I migranti si vedono così costretti a entrare in clandestinità e una volta arrivati affrontano lunghi periodi lavorativi in cui, nella speranza di un permesso di soggiorno, rinunciano alla propria dignità e si rendono disponibili ad ogni forma di abuso da parte degli imprenditori, ricevendo salari non accettabili dalla maggior parte degli italiani e non vedendo rispettate le norme di sicurezza sul lavoro o i diritti sanciti dalla Costituzione italiana. A fronte di questa situazione Rovelli già in passato, con il suo precedente libro “Lager italiani”, aveva proposto l’istituzione del permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro.

Al centro dell’opera non c’è quindi solo la condizione terribile dei lavoratori clandestini ma c’è soprattutto il nostro sistema economico che egli definisce “sommerso” poiché basato ampiamente sul lavoro in nero e sulla frammentazione dei processi produttivi in particolare nelle grandi opere, come la TAV o il ponte sullo stretto, dove vi è un’esternalizzazione continua tramite una serie di appalti e subappalti in gare al ribasso fino ad arrivare alle microimprese (media di 2,7 lavoratori) in cui gli imprenditori per ricavare un profitto devono tagliare sui costi della manodopera, andando ad assumere i migranti irregolari. Tutto questo è ben noto ai “garanti dell’ordine” che se pubblicamente incitano la lotta contro i clandestini in pratica lasciano correre queste situazioni, ben sapendo che altrimenti molti settori economici, edilizia e agricoltura in primis, collasserebbero. E’ una realtà di fatto testimoniata negli ultimi anni dall’aumento dei profitti delle microimprese a fronte del decremento dell’occupazione. La risposta politica necessaria non risiede quindi nell’approvazione di una legislazione specifica contro l’immigrazione ma nel combattere questi meccanismi, gli stessi alla base del precariato, e combattere contro questa situazione vuol dire lottare per i diritti di tutte le persone.

In questo senso un esempio positivo viene portato dall’associazione “Città migrante” di Reggio Emilia, di cui sono presenti alla presentazione del libro Federica e El Sayed, che raccontano la loro esperienza di lotta. A Reggio Emilia infatti dopo il Piano regolatore del 1999 si stimano da 15000 a 20000 lavoratori clandestini nel settore dell’edilizia ( anche Rovelli ci dedica un capitolo intitolato “Emilia rossa. Lavoratori neri”) e una di queste ditte che aveva assunto quasi 400 migranti, alla fine si è rifiutata di pagarli. Questi lavoratori però non ci stanno, li denunciano e picchettano l’azienda. Ancora ad oggi non hanno ottenuto il proprio salario ma di fronte alle manifestazioni sono state aperte delle indagini nei confronti della ditta per associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento fino alla riduzione in schiavitù e soprattutto questi lavoratori hanno preso coscienza dei propri diritti, mentre in precedenza, come dice El Sayed “sfruttamento è solo una parolaccia di cui non sai il significato”.

Insomma, nel libro di cui Rovelli legge alcuni brani, emerge un’atmosfera di angoscia e tristezza, in cui molti lavoratori clandestini sono rassegnati a dover sottostare a queste condizioni ma l’esempio di Città Migrante può rappresentare un primo passo verso una presa di coscienza che deve scardinare questi meccanismi perversi dell’economia e restituire dignità ad ogni individuo in quanto portatore di diritti che non possono essergli negati.

Ascolta l’ intervento di Marco Rovelli – parte1

Ascolta l’ intervento di Marco Rovelli – parte 2