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Se al Sant’Orsola si esalta l’obiezione di coscienza

Un convegno antiabortista promosso dallo Student Office (Cl) nello stesso policlinico universitario che restringe gli spazi di autorganizzazione e nega diritti a studenti, lavoratori e pazienti. All’esterno volantinaggio di Mujeres Libres e Medicina in movimento.

02 Giugno 2016 - 11:11

Ivg, contro l'obiezione di coscenza (repertorio - © Michele Lapini)Nel pomeriggio di martedì 31 maggio si è svolto in un’aula universitaria del Sant’Orsola un seminario organizzato da Student Office, l’associazione studentesca di Comunione e liberazione, sul tema dell’obiezione di coscienza. Il titolo del seminario era “Dentro l’obiezione di coscienza. Diritti, professionalità ed esperienza umana come strumenti di giudizio per una scelta consapevole”. Scomparso ogni riferimento del “seminario” dalla pagina Facebook di Student Office e dalla rete, va menzionata la presenza come relatori del magistrato Giacomo Rocchi, presidente del comitato Verità e Vita e consigliere della Corte di Cassazione, e della dott.ssa Deborah Nicodema, ostetrica vicina al Popolo della Famiglia, dalle posizioni fortemente antiabortiste e ultracattoliche, e fedelissimi sostenitori dell’obiezione di coscienza.

L’appuntamento non è stato mancato anche da Mujeres Libres e Medicina in Movimento, che hanno organizzato un volantinaggio informativo sui dati reali dell’obiezione in Italia e sull’attacco alla Legge 194 che dovrebbe garantire il diritto all’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG). Alcune studentesse e studenti del coordinamento universitario Link hanno preso parola in aula al termine dell’incontro, che si era concentrato sulla narrazione in chiave paternalistica di donne che sarebbero state salvate dall’azione misericordiosa degli obiettori: un discorso che fra citazioni religiose e richiami ai miracoli del Signore, è stato intervallato più volte da momenti di struggimento della relatrice. Alcuni studenti hanno quindi sollevato cartelli, dopo aver coraggiosamente ascoltato tutto l’intervento dei relatori, dichiarando il diritto di tutte le donne di autodeterminare le proprie scelte e decidere sul proprio corpo, diritto garantito dalla Legge 194 ma costantemente minato dal fenomeno dell’obiezione e dalla massiccia presenza dei movimenti ultracattolici nelle strutture pubbliche; in un intervento sono emersi molti più dati di quanti i precedenti relatori ne avessero detti in due ore.

I dati sull’Ivg – come si legge nel comunicato delle Mujeres Libres – parlano di una media nazionale di obiettori (ginecologi, anestesisti e personale non sanitario) attestata sul 70%, e particolarmente elevata “in Basilicata, Molise e nella provincia autonoma di Bolzano, dove supera il 90 per cento per i ginecologi”. In molti ospedali di fatto non forniscono alcun tipo di servizio per le Ivg: “una situazione che spinge molte donne a ricorrere ad aborti clandestini o a emigrare all’estero per abortire”, rendendo anche parecchio costosa una pratica che in Italia dovrebbe essere garantita per legge.

L’ospedale Sant’Orsola si riconferma così artefice di scelte politiche decisamente schierate a favore dell’associazionismo cattolico, e sordo invece alle richieste di libertà di espressione che vengono dalle realtà autorganizzate: la presenza dei preganti della Giovanni XXIII al pronto soccorso ginecologico è tutt’ora protetta dall’ospedale, nonostante i presidi di lotta che le Mujeres Libres hanno organizzato per mesi contro i rosari del martedì mattina; viva è inoltre la contraddizione che il Sant’Orsola opera nel dare da una parte spazio al catechismo nelle aule universitarie di Medicina, e dall’altra nel chiedere 700 euro all’ora per l’affitto di un’aula , come denuncia Medicina in Movimento.

Il Sant’Orsola, infatti, appare dall‘inchiesta Storie di Ordinaria Corsia come un luogo che assomiglia sempre più ad un’azienda, in cui i diritti dei lavoratori vengono costantemente negati, compreso il diritto all’organizzazione di attività politiche e all’uso degli spazi, e dove per fare profitto i pazienti diventano “il cliente numero…”, e le varie categorie di precari vengono sottoposti a turni massacranti e costretti a ore e ore di straordinari non pagati.

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> Il volantino distribuito dalle Mujeres Libres:

Obiezione di coscienza: un attacco alla libertà di scelta

Nonostante in Italia la legge 194 garantisca formalmente il diritto all’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG), nella realtà risulta sempre più problematico abortire. Infatti, le elevatissime percentuali di obiezioni di coscienza tra ginecologi e personale sanitario, spesso motivate da ragioni opportunistiche di tipo carrieristico, rendono sempre più difficile l’effettiva applicazione della legge. Ma chi e quanti sono gli obiettori di coscienza?

Gli obiettori di coscienza sono coloro che, pur decidendo di intraprendere la carriera medica all’interno del Sistema Sanitario Nazionale, si rifiutano di praticare interruzioni di gravidanza o di prendere parte a qualsiasi pratica che possa favorire l’Interruzione stessa. In Italia possono dichiararsi obiettori di coscienza ginecologi, medici, anestesisti e personale non sanitario.

Già nel 1983 il 59,1% dei ginecologi si dichiarava obiettore di coscienza. Ma la percentuale è aumentata costantemente sino ad arrivare, nel 2014, al 70%. La percentuale di ginecologi e anestesisti obiettori cambia molto da regione a regione, con numeri più alti nella maggior parte delle regioni meridionali. La Valle d’Aosta, con solo 2 ginecologi e 4 anestesisti obiettori, è la regione con le percentuali più basse. L’obiezione è invece molto diffusa in Basilicata, Molise e nella provincia autonoma di Bolzano, dove supera il 90 per cento per i ginecologi.

In 30 anni i ginecologi obiettori sono aumentati del 17,3%. In Emilia Romagna la percentuale di ginecologi obiettori, nel 2013, è del 56%, ciò significa che un ginecologo su 2 si rifiuta di effettuare IVG. Nonostante possa sembrare che in questa regione la situazione sia meno tragica che altrove, non è così; essendo infatti una regione in cui accedere all’IVG è più semplice, molte donne residenti in altre regioni decidono di tentare l’IVG qui (sul totale delle IVG effettuate nell’anno 2013 in Emilia Romagna, il 13% ha riguardato donne residenti in altre regioni o all’estero). Il risultato è che anche qui le liste di attesa diventano lunghissime, con il rischio conseguente di superare il numero di settimane di gravidanza in cui è consentita l’interruzione, e quindi di non riuscire ad abortire nei tempi previsti dalla legge. C’è poi il problema dell’obiezione di struttura. Ovvero del fatto che, in molti ospedali, all’interno dei reparti di ginecologia, i servizi per le interruzioni volontarie di gravidanza semplicemente non esistono!

Su un totale di 632 ospedali con reparti di ostetricia e ginecologia, 253 ospedali non effettuano aborti nei primi 90 giorni. Ancora più difficile la situazione per chi decide di ricorrere all’aborto terapeutico, di abortire cioè dopo i primi 90 giorni nel caso in cui ci sia un grave pericolo per la vita della donna, o siano accertate gravi malformazioni del feto; rispetto ai 632 ospedali di cui sopra, solo 54 praticano questo tipo di IVG. Una situazione che spinge molte donne a ricorrere ad aborti clandestini o a emigrare all’estero per abortire, spendendo anche parecchio. Francia, Svizzera e Inghilterra sono tra i paesi cui ci si rivolge. Nel 2012, secondo i dati del governo britannico, circa il 2% degli aborti legali eseguiti nel Paese sono stati praticati a donne italiane.

Tutto ciò è di fatto un gravissimo attacco alla salute e all’autodeterminazione delle donne. Il medico che opera all’interno di una struttura pubblica deve rispettare la libera decisione della paziente e se il suo credo personale o religioso gli impedisce di effettuare aborti, deve semplicemente scegliere una professione diversa da quella di ginecologo! Lo stesso vale per quei medici che si dichiarano obiettori di coscienza per non rischiare che la propria carriera venga stroncata.

Vogliamo essere libere di scegliere ed autodeterminarci!

Libere di essere ASSISTITE, INFORMATE e SOSTENUTE se scegliamo di ABORTIRE.

Collettivo femminista Mujeres Libres