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Scuola, “laicità sotto attacco” [comunicati]

Il Consiglio di istituto dell’Ic20 fissa l’organizzazione delle benedizioni anticipando il pronunciamento del Tar. Cobas e Cesp: “Vicenda paradossale”. I ricorrenti: “Ancora una prevaricazione”.

13 Marzo 2015 - 12:15

Si torna alle benedizioni nelle scuole? A Bologna un attacco alla laicità della scuola statale

In un Istituto comprensivo di Bologna sta accadendo una vicenda paradossale. Tutto inizia un paio di mesi fa, quando tre parroci delle parrocchie locali inviano una lettera al Dirigente per chiedere di poter dare la benedizione pasquale agli alunni delle tre scuole dell’Istituto. Il Consiglio di Istituto, senza nemmeno perdere tempo per mettere all’ordine del giorno la richiesta, dibatte nelle “varie” e vota a maggioranza la benedizione a scuola. Salvo accorgersi poi che la faccenda non rappresentava un assolvimento burocratico scontato, ma costituiva una decisione pesante, che non aveva chiari appigli normativi, che capovolgeva le consuetudini delle scuole in questione, che non partiva da esigenze o richieste di alcuna componente diffusa (genitori o docenti), che tra l’altro era stata presa in modo irrituale perché con votazione di un tema non incluso nell’ordine del giorno.

A questo punto uno potrebbe pensare che un tale sbilanciamento, effettuato solamente per accontentare tre parroci, poteva rientrare almeno parzialmente e divenire occasione di verifica della normativa e di ascolto delle componenti scolastiche, insomma: poteva essere occasione di un’apertura ad una dialettica “democratica”. Invece di lì a meno di un mese il Consiglio viene riconvocato con l’inclusione della “benedizione” quale oggetto dell’ordine del giorno e, sotto gli occhi esterrefatti di alcuni docenti presenti come pubblico, la celebrazione del rito viene approvata, con le sole limitazioni di non essere obbligatoria (ci mancherebbe anche questo) e di venir svolta non nell’orario curricolare. A nulla valgono le proposte di mediazione di chi propone una strada più rispettosa della fisionomia pluralista e costituzionale della scuola pubblica, quella di affiggere nelle bacheche della scuola un cartello delle parrocchie con l’appuntamento alle rispettive chiese: la determinazione della maggioranza è di ferro e non viene scalfita.

Per comprendere bene su quale terreno si innesta tale determinazione però occorre conoscere qualche dato aggiuntivo. Bisogna sapere cioè che nel 1993, oltre vent’anni prima, quello stesso Istituto scolastico aveva approvato addirittura la celebrazione di riti cattolici all’interno dell’orario curricolare e che già allora un ricorso al Tar aveva cassato come illegittima questa pratica e nella motivazione aveva aggiunto che anche come attività in orario extrascolastico la pratica non era giustificata, sostanzialmente perché la benedizione o la messa è la celebrazione di un rito e la scuola non è luogo deputato a ciò. Almeno la scuola statale, perché nelle scuole confessionali il problema non si pone. Quindi sembra di capire che, passati vent’anni, pur non essendo intervenuti cambiamenti legislativi sul tema, un nuovo tentativo nella stessa scuola esprime la volontà di riprovare a far entrare nella scuola un rito cattolico creando un precedente significativo. La speranza degli ostinati sostenitori del prete a scuola (e – immaginiamo – di quei preti che hanno avanzato la richiesta) è evidentemente quella di provare a incrinare il carattere laico che caratterizza in parte la scuola italiana (teniamo presente che comunque a scuola sono previste due ore di insegnamento della religione cattolica) facendo marcare il territorio al sacerdote attraverso la benedizione, una benedizione che le anime credenti potrebbero benissimo recarsi a ricevere nella chiesa viciniore.

A questo punto un gruppo non piccolo di insegnanti e genitori di quell’Istituto si ritrova a ragionare su tale scelta e – non condividendone le ragioni e avendo dubbi sulla legittimità – decide di rivolgersi ad un avvocato e – a proprie spese – di fare ricorso al Tar. Sono evidentemente insegnanti che considerano la scuola statale come uno spazio in cui non si svolgono riti religiosi, ma semmai si parla di religioni studiandone gli aspetti culturali. Pensano che la presenza nella società italiana di scolaresche sempre più composite per credo religioso o non religioso suggerisca comportamenti che non creino divisioni tra alunni credenti e alunni non credenti in quella religione specifica o non credenti affatto; reputano quindi scontata la tutela dello spazio scolastico – curricolare ed extracurricolare – dalle celebrazioni religiose di qualsiasi confessione. Questi insegnanti e genitori quindi ricorrono e attendono di sapere dalla magistratura amministrativa chi ha ragione sulla legittimità – poiché il diritto a confrontarsi sulla base di diverse opinioni lo garantisce la Costituzione. Il pronunciamento sulla richiesta di sospensiva è previsto per il 26 marzo e quindi rimarrebbe tutto il tempo, qualora la sospensiva non venisse accordata, per dare corso successivamente alla delibera del Consiglio di Istituto.

Su questa situazione però si innesta un incredibile capovolgimento mediatico delle posizioni. Attorno a questi docenti e genitori che hanno un’opinione diversa si scatena una canea mediatica vergognosa, a tratti intimidatoria, francamente imbarazzante. Dapprima Don Raffaele Buono afferma in un testo inviato alla stampa che “l’effetto della benedizione sarà di incoraggiamento e consolazione per chi crede in un Dio d’amore e misericordia; per chi non crede sarà certo meno preoccupante dello sventolare di una bandiera nera”. Poi l’allusione all’Isis fa scuola e riappare più volte. Vediamo alcune citazioni: per Camillo Langone sul “Giornale” (prima pagina, titolo principale) ricorrere al Tar diventa “una mossa degna del califfato”, i professori sono “indiavolati”, “la sinistra che tifa per l’Isis” e le ragioni dei ricorrenti sono bollate come “delirio laicista”. Il “Carlino” titola “sì alle benedizioni, basta con i prepotenti”, il direttore descrive gli insegnanti ricorrenti come “pervasi da spirito ideologico che mal si concilia con la funzione che svolgono”, il vicedirettore decreta: “gente come gli 11 di cui sopra andrebbero a loro volta portati davanti ai giudici perché impediscono ad altri di coltivare i propri valori”… Fermiamoci qui. Appellarsi ad uno strumento costituzionale della giustizia amministrativa diviene un atto bollato come vergognoso e violento: il fango mediatico ha realizzato il suo scopo: oscurare il dibattito e demonizzare i soggetti che la pensano diversamente (molti – tra l’altro – cattolici praticanti).

Ma ciò non è bastato a suggerire riflessioni e a rallentare la determinazione di chi ritiene che si debba procedere con forza verso queste benedizioni. Oggi, 12 marzo 2014 (ieri, ndr), un nuovo Consiglio di Istituto, convocato in tutta fretta, ha fissato l’organizzazione delle benedizioni per i giorni precedenti la data del pronunciamento del Tar, in modo da vanificare il ricorso dei docenti e dei genitori e per mettere tutti – giudici del Tar compresi – di fronte al fatto compiuto (oltretutto con voto favorevole della rsu Flc-Cgil). Tutto ciò nonostante nel frattempo il Consiglio di interclasse di una delle tre scuole si sia riunito e, tra le altre materie all’ordine del giorno, abbia discusso sul tema esprimendo praticamente all’unanimità (un solo astenuto) l’imbarazzo per una scelta che risulta divisiva per i bambini e le famiglie, fuori dalle tradizionali scelte educative della scuola, non in linea con la precedente sentenza del Tar. In definitiva quindi si conferma la determinazione della maggior parte dei consiglieri d’istituto di andare avanti nonostante tutto e a tutti i costi mentre l’unica voce proveniente dal basso (i docenti di una scuola riuniti in un organo collegiale) esprime un parere diametralmente opposto che non viene preso in considerazione.

I Cobas – Comitati di base della scuola sostengono insegnanti e genitori in questa lotta per la laicità della scuola, per il rispetto delle diverse scelte religiose o non religiose di ognuno. Deplorano i toni e i contenuti fortemente diffamatori e intimidatori di molti interventi giornalistici sul tema, si stupiscono che dalla dirigenza dell’istituto non emerga una parola di difesa della professionalità dei docenti che sono ricorsi al Tar in virtù dei loro pieni diritti di cittadinanza. La scuola statale italiana è laica e la Costituzione garantisce tale laicità. Queste forzature in direzione clericale rivelano solamente la pochezza delle argomentazioni di questi
paladini della benedizione a tutti i costi.

Cobas scuola Bologna
Cesp – Centro studi per la scuola pubblica

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n risposta alla richiesta fatta per iscritto dai legali dei ricorrenti (11 insegnanti e 8 genitori) di attendere il parere del TAR all’udienza del 26 marzo il Consiglio di Istituto dell’IC 20 ha voluto forzare i tempi deliberando ieri 12 marzo con 11 voti favorevoli e 4 contrari che le benedizioni pasquali richieste dai tre parroci interessati si tengano il 20 marzo alle scuole Fortuzzi e il 21 marzo sia alle scuole Rolandino che alle scuole Carducci.

A fronte di una presunta maggioranza pro benedizioni nelle scuole interessate è stato fatto notare che il Consiglio di Interclasse (che riunisce tutti i docenti del plesso) della scuola Fortuzzi ha approvato pochi giorni fa praticamente all’unanimità (solo un astenuto) una mozione che esprimeva la propria contrarietà alla celebrazione scolastica del rito ritenendo che “che la benedizione dei parroci sia fortemente divisiva nei confronti degli alunni, alla luce del fatto che vi sono più religioni ed atteggiamenti religiosi all’interno di ciascuna classe”.

In ogni caso in uno stato di diritto ove sorgano controversie si ricorre ad un giudice terzo.
Evidentemente questo non è il parere degli 11 componenti del CDI che hanno compiuto una nuova prevaricazione verso chi non ritiene legittimo lo svolgimento di atti di culto nella scuola di tutti.

I ricorrenti