Opinioni

Scuola e didattica al tempo del coronavirus

“Il diritto all’istruzione è sospeso. Proprio per questo stiamo praticando la didattica a distanza”, scrivono i Cobas Scuola di Bologna: “La tecnologia è oggi uno strumento prezioso per affrontare la situazione attuale ma al tempo stesso, paradossalmente, determina nuovi ostacoli di ordine economico e sociale, proprio ciò che la Repubblica avrebbe il compito di rimuovere.

27 Marzo 2020 - 12:50

di Cobas Scuola Bologna

Sospensione delle lezioni e didattica a distanza. In questo scenario ci muoviamo da settimane, ciascun* adottando le modalità che ritiene più opportune, accomunat* dal riconoscimento di un primordiale bisogno di relazione e di contatto che accomuna docenti e studenti. Un modo per reagire allo stato di eccezione che interrompe il fluire delle relazioni, della vita, sottomettendoci al principio esclusivo della sopravvivenza biologica individuale, un modo per affermare l’importanza delle relazioni sociali in un tempo in cui le persone diventano individui, bloccati nella paura, distanti, diffidenti, passivi, annoiati e soli.

La scuola è luogo di incontro, mai come ora capiamo quanto sia importante e imprescindibile la fisicità, la presenza di corpi, sguardi e voci che si intrecciano, abbiamo sperimentato le nuove modalità della cosiddetta didattica a distanza, anche la possibilità di vedersi e ascoltarsi, come resiliente tentativo di tenere in vita almeno una traccia di contatto reale.

L’obiettivo, nitido quanto difficile, è preservare la funzione di presidio civile che la scuola rappresenta di fronte al vuoto della paura e dell’emergenza.

Questa consapevolezza non può e non deve in alcun modo diventare uno schermo per nascondere la realtà: il diritto all’istruzione è stato sospeso, così come molti diritti civili fondamentali garantiti dalla Costituzione, per tutelare un diritto alla salute minacciato dall’inadeguatezza del nostro sistema sanitario a fronteggiare l’epidemia, nonostante l’abnegazione e i ritmi massacranti con cui stanno lavorando gli operatori sanitari, esponendosi a pesanti rischi personali. La scuola oggi sopravvive come presidio di civiltà, come sforzo collettivo inderogabile di affermare il bisogno di sopravvivenza civile, sociale, affettiva, e non solo biologica.

Guai a pensare che questa possa essere la normalità, l’occasione offerta alla scuola per scoprire alternative migliori, guai a pensare che stiamo garantendo davvero il diritto all’istruzione in altra forma o addirittura come opportunità per fare un salto di qualità.

Ogni sospensione dei diritti civili è sempre una minaccia. L’emergenza è il terreno ideale per le sperimentazioni sociali, l’occasione per imporre cambiamenti difficilmente realizzabili in tempi normali. Per questo sentiamo la necessità di focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti della situazione attuale per capire cosa stia accadendo e dove stiamo andando, quali sviluppi della gestione dell’emergenza siano da contrastare e scongiurare, quali invece siano occasioni per rafforzare la scuola pubblica e il diritto all’istruzione.

Il diritto all’istruzione è sospeso. Proprio per questo stiamo praticando la “didattica a distanza”.

Giova allora rammentare sempre che uno degli aspetti più importanti in questa delicata fase d’emergenza è mantenere la socializzazione. Potrebbe sembrare un paradosso, ma le richieste che le famiglie rivolgono alle scuole vanno oltre ai compiti e alle lezioni a distanza, cercano infatti un rapporto più intenso e ravvicinato, seppur nella virtualità dettata dal momento. Chiedono di poter ascoltare le vostre voci e le vostre rassicurazioni, di poter incrociare anche gli sguardi rassicuranti di ognuno di voi, per poter confidare paure e preoccupazioni senza vergognarsi di chiedere aiuto.

Parole del capo dipartimento del Miur Giovanna Boda redattrice della nota del 13 marzo 2020: viene delimitato chiaramente l’orizzonte entro cui si può trovare il senso delle diverse pratiche ascrivibili alla cosiddetta “didattica a distanza” attivata nelle scuole a seguito dei diversi Decreti ministeriali sull’emergenza coronavirus.

Parole pienamente condivisibili, che ben descrivono le mille modalità messe in atto dai docenti in queste settimane, innanzitutto per ritrovare un contatto con bambine e bambini, ragazze e ragazzi, provando a riempire quel vuoto improvvisamente creatosi con la sospensione delle attività didattiche. È in questa attivazione autonoma, realizzatasi anche grazie ad una condivisione di suggerimenti e competenze tecniche da parte di colleghe e di colleghi più preparat*, che si trova l’autentico nucleo vitale dell’esperienza che stiamo vivendo. Una risposta compatta e generosa da parte del mondo della scuola che ha cercato di superare le barriere di quarantene e zone rosse.

Pratiche plurali, originali e nuove oppure anche ispirate alla quotidianità della normalità: video lezioni, compiti e letture assegnate sul registro elettronico di classe, testi da scrivere o esercizi da svolgere online… Insomma una ricchezza che rispecchia la varietà e la pluralità degli stili di insegnamento dei docenti che sono state trasportate, per quanto possibile, in dimensione virtuale.

L’ultima nota, la 388 del 17 marzo, del capo di dipartimento Marco Bruschi, ribadendo quanto già espresso in altre note precedenti, nonché nel videomessaggio della ministra Azzolina, aggiunge elementi che ci lasciano perplessi, tanto per il modo perentorio quanto per il carattere ingiustificato.

La declinazione in modalità telematica degli aspetti che caratterizzano il profilo professionale docente, fa sì che si possa continuare a dare corpo e vita al principio costituzionale del diritto all’istruzione.

Qui c’è proprio qualcosa che non va. Sarebbe dunque garantito oggi il diritto allo studio? Decisamente no: come altri diritti costituzionali – primo fra tutti la libera circolazione – in nome della necessità di salvaguardare il diritto alla salute, anche il diritto allo studio, inteso come diritto universale, oggi è stato di fatto sospeso.

Entriamo più nel dettaglio.

Tornando alla nota 388 del 17 marzo, in prima istanza bisognerebbe chiedersi se il diritto all’istruzione, declinato in quella maniera, sia veramente garantito a tutte e tutti. Nella situazione attuale è evidente che ciò non avviene perché presuppone la disponibilità di strumenti e connessione che non tutti possiedono, al contrario di quanto avviene per la didattica in presenza, che è invece aperta a tutti. Indistintamente.

Pieno appoggio a tutti i tentativi in atto di colmare il digital divide per cause economiche e agli investimenti fatti in quest’ottica: esiste un diritto di cittadinanza digitale che è imprescindibile e va perseguito e per questo basterebbe verificare l’efficacia reale dei provvedimenti adottati. Proprio questi però sono la prova evidente che il problema al momento esiste (e presumibilmente continuerà ad esistere fino al termine dell’emergenza): per questo si cerca di monitorarlo e contenerlo. Di certo ad oggi possiamo dire – anche attraverso il riscontro quotidiano con studenti e studentesse – che non c’è effettivamente un diritto all’istruzione per tutt* e che ciò è dovuto a motivi economici.

Questo digital divide può avere anche origini diverse, inerenti alla sfera delle autonomie. Gli strumenti tecnologici non sempre hanno valenze compensative, anzi: possono anche risultare discriminatori nei riguardi di alunn* con specifiche disabilità, che necessitano di un ausilio anche solo per fare un accesso. Tale problema si presenta anche per i bambini e le bambine della scuola primaria, che hanno bisogno della presenza dell’adulto per accedere ad attività di lezione a distanza o anche solo per connettersi. Non tutti i genitori riescono ad assicurare direttamente o indirettamente questa presenza, magari perché lavorano o semplicemente perché non sono in grado.

Sullo sfondo si muovono i problemi di sempre: già nella scuola “normale” incontriamo un problema di dispersione scolastica, dovuta a cause sociali o a problematiche specifiche di integrazione, oggi lo vediamo crescere ancora di più. Sono le alunne e gli alunni a “rischio” che in questi giorni stiamo perdendo, che non hanno la motivazione autonoma né l’aiuto familiare che consentirebbe loro di partecipare alle attività a distanza. Non si tratta di una problematica necessariamente economica, spesso non sono dispositivi e connessione che mancano, semplicemente stanno fuori (qualcuno chiamerebbe oggi i servizi o i carabinieri per segnalare l’evasione dell’obbligo scolastico? E quando anche fossero coattivamente connessi, riusciremmo a coinvolgerli a distanza? A fare ciò che spesso facciamo fatica a fare in presenza?).

Dobbiamo poi ricordare anche la situazione di tutt* gli/le student* che non riescono a seguire le lezioni online perché devono prendersi cura dei fratelli piccoli o che condividono una stessa stanza con fratelli e sorelle e devono fare i turni per utilizzare l’unico pc disponibile… ( perché le case in cui tutti siamo rinchiusi non sono tutte uguali, non tutt* possono avere “una stanza tutta per sé”, lo sappiamo proprio perché lavoriamo a scuola, immersi nel mondo reale, e non ce lo possiamo dimenticare ora solo perché siamo “a distanza”).

E’ dunque chiaro che il problema dell’accesso alla didattica a distanza non può neppure essere ridotto alla dotazione di pc, tablet e connessione. Il vulnus del diritto all’istruzione rimarrebbe comunque aperto.

All’esclusione di chi per ragioni diverse non può avere accesso alla didattica a distanza bisogna ancora aggiungere lo sgretolarsi delle strategie didattiche di inclusione che esistevano nella scuola in presenza. Riuscire a garantire l’approccio personalizzato durante le lezioni on line è davvero difficile. Gli studenti e le studentesse stranier*, così come tutt* coloro a cui durante le lezioni si cercava di garantire attenzione, calibrando le richieste e le spiegazioni sulle effettive potenzialità e mantenendo uno sguardo volto al coinvolgimento e all’integrazione nel gruppo-classe, risultano oggi inevitabilmente più emarginat* per le caratteristiche stesse del lavoro on line, molto più adatto alla standardizzazione che alla diversificazione dell’approccio didattico.

La questione è dunque complessa e non ci sembra onesto né opportuno procedere a semplificazioni di facciata.

Dovrebbe essere evidente che in questo quadro parlare di continuità della garanzia del diritto all’istruzione diventa davvero mistificatorio. A meno che non venga specificato contraddittoriamente che tale diritto è garantito solo per una parte degli studenti, i salvati, rinunciando alla sua universalità. Riteniamo più serio assumere fino in fondo la contraddizione che si è aperta: la tecnologia è oggi uno strumento prezioso per affrontare la situazione attuale ma al tempo stesso, paradossalmente, esso determina nuovi ostacoli di ordine economico e sociale, proprio ciò che la Repubblica avrebbe il compito di rimuovere.

Stiamo praticando la didattica a distanza come misura eccezionale perché il diritto all’istruzione è stato sospeso. Nell’emergenza vogliamo cogliere le poche opportunità che ci sono offerte, ma al tempo stesso riconoscerne i limiti, dobbiamo avere la consapevolezza che la scuola della didattica a distanza non è veramente aperta a tutti. Non è scuola.

Detto altrimenti: si fa quello che si può, ma niente trionfalismi. La situazione nella scuola rimane grave, così come nella società, e vogliamo lasciarcela alle spalle il prima possibile.