Attualità

Scuola, bonus agli insegnanti distribuiti a capriccio dei presidi

I premi, introdotti dalla legge sulla “buona scuola” voluta dal governo Renzi, in assenza di criteri chiari diventano strumento economico di governo dei docenti.

26 Gennaio 2017 - 14:14

di Gianluca Gabrielli da Quando suona la campanella

Cos’è, in soldoni, il bonus premiale introdotto con la legge scuola di Renzi? Un gruzzolo agilmente accumulato negli ultimi anni dai governi attraverso il blocco contrattuale che ora viene affidato ai dirigenti, da elargire a chi sta simpatico, ai ligi, agli obbedienti, allo “staff”, ai “bravi”. Insomma: uno strumento economico di governo dei docenti la cui gestione viene decentrata ai dirigenti scolastici. Questa, a grandi linee, la sostanza. Ma nell’applicazione pratica, questa “svolta meritocratica” (come pomposamente viene definita) come si realizza? La scorsa settimana sono cominciati ad uscire dal ministero dati (in verità molto dubbi) sulle percentuali di docenti che avrebbero ricevuto il bonus e i giornali riprendono a pubblicare articoli sul tema (ad esempio il “Corriere della sera” del 5 e 6 gennaio); si tratta sicuramente di utili arricchimenti del dibattito, ma forse questi ragionamenti – che rimangono forzatamente ancorati ai dati statistici (sempre espressi in percentuali mentre i numeri reali da cui deriverebbero rimangono irreperibili) aiutano poco a capire la concreta dinamica che questi bonus premiali stanno innestando nelle scuole italiane. Forse conviene scendere un po’ nel dettaglio.

Bologna ad esempio. Entro agosto i premi dovevano venire attribuiti dai dirigenti seguendo i criteri espressi dai comitati di valutazione. Così, come insegnanti impegnati nei cobas scuola, a novembre abbiamo provato a fare una piccola inchiesta chiedendo ai colleghi e alle colleghe cosa ne sapevano della questione. Certo il nostro campione non era scientifico né enorme, ma i risultati sono stati interessanti. Intanto, quasi tutti gli interpellati non ne sapevano nulla, non erano stati informati sulle cifre totali, sulle scelte operate, sui criteri, sul pagamento o non pagamento, sui prescelti e sugli scartati. Disinformazione del docente medio? Forse no, poiché questi colleghi avevano chiesto a scuola, ma nessuno sapeva, nessuno voleva dire nulla, nessuno rispondeva. Insomma: la grande novità del merito era vissuta – a partire dai dirigenti – come una faccenda imbarazzante di cui era meglio tacere. Niente male come inizio.

Se la maggior parte non ne sapeva nulla, una piccola parte, in quanto rsu, oppure attraverso informazioni di corridoio, o ancora tramite mezze comunicazioni uscite in Collegio, aveva dei dati da fornire. Così, su questi dati, abbiamo provato a ricostruire le casistiche. In sintesi: in alcune scuole i bonus erano finiti a 7 docenti, in altre al 90% di essi; alcuni dirigenti avevano rispettato i criteri del Comitato di valutazione, altri non li avevano rispettati, altri ancora non avevano nemmeno resi pubblici i criteri. In alcune scuole la cifra massima superava i seimila euro, in altre non superava i mille. Il dato statisticamente più rilevante era l’assenza di informazione su chi era stato prescelto, la cui identità rimaneva coperta dal segreto e dall’imbarazzo di segreterie e dirigenze, manco si fosse trattato di un colpo di Stato. Possiamo ritenere interessanti anche questi dati come rappresentativi della prima ricaduta di uno dei grandi pilastri innovativi della riforma Renzi: sembra che l’imbarazzo sovrano scenda a cascata dal Ministero (che ancora oggi si guarda bene dal fornire dati numerici un po’ corposi) ai dirigenti, ai dsga, alle rsu (in alcuni casi invitate a firmare impegni solenni al segreto nel momento in cui ricevono la lista dei premiati), ai docenti premiati, a quelli premiabili, speranzosi o timorosi del premio. Viene da dire: “ma non volevano creare emulazione?”.

Le statistiche del ministero ci dicono che in media è stato premiato in Emilia Romagna il 35% dei docenti aventi diritto. Ma al di là delle statistiche (del pollo a testa) ci sono le casistiche. Vediamole.

1) In una scuola due docenti si mettono intasca insieme 10.560 euro. Notevole! Saranno almeno dei premi nobel della didattica, o lavoreranno di notte e di domenica. Come si sentiranno in quella scuola il 90 % degli insegnanti non premiati? Stimolati ad emulare queste entità meravigliose ma top secret nella loro identità?

2) In un’altra scuola, magari distante meno di un chilometro dalla prima, la scelta va a coprire l’80% circa dei docenti. Qui le cifre vanno dal migliaio di euro alle poche decine. Anche qui segrete le identità, in ossequio alla glasnost e all’orgoglio ministeriale per questa grande innovazione. Cosa penseranno la dozzina di insegnanti che sono rimasti fuori dalla distribuzione, foss’anche di 10 euro? Saranno spronati ad emulare i colleghi, ad aggiornarsi? Quale percezione avranno di se stessi, come entreranno in classe, come si gestiranno questa stigmatizzazione in quanto minoranza fannullona o incapace che viene riversata su di loro dall’accorta amministrazione della scuola pubblica in cui insegnano ogni giorno?

3) Terza scuola. Qui la distribuzione arriva a coprire un terzo degli aventi diritto, ma avviene attraverso la formulazione di una domanda. Capita che fanno domanda in una trentina, ma che la Dirigente decida di escludere alcuni (2 o 3) dei richiedenti per fare posto ad alcuni (2 o 3) dei non richiedenti. Qui la stigmatizzazione degli esclusi è forse più straziante che nel caso precedente. Per loro il messaggio è: “vi pensavate bravi, ma non lo siete, al vostro posto cerco io dei bravi insegnanti, che sono anche modesti”. Degno di un dirigente degli anni del libro Cuore. Sicuramente un grande servigio allo spirito di contitolarità che dovrebbe regnare nella scuola pubblica.

Quindi, riassumendo, la casistica si muove tra queste due polarità: la creazione degli “dei” e la creazione dei “pària”; tra di esse mille varianti che possano adattarsi alle esigenze flessibili e contingenti e alle multiformi personalità dei dirigenti.

E come viene vissuta dai docenti questa grande rivoluzione meritocratica? L’impressione che abbiamo tratto nella nost ra piccola ricerca è a dirpoco critica. Diamo la parola ai colleghi e alle colleghe: “ha dato i soldi a sentimento”; “i criteri? ma se sono un labirinto di cinque pagine”; “scelgono chi vogliono loro, i loro galoppini”; “il nostro collegio ha deciso di non eleggere i rappresentanti nel Comitato, ma poi il dirigente ha fatto quello che voleva”; “non si può sapere niente per la privacy”; “hanno premiato le funzioni strumentali e lo staff”; “ non sa neppure il nome di alcuni di noi… immaginiamo se può conoscere chi è da premiare”; “una vera porcheria che metterà gli insegnati uno contro l’altro […] porterà i non premiati a fare il minimo indispensabile per la scuola e a non dare più nessuna disponibilità per fare qualcosa in più”; “mi hanno detto che per sapere chi ha ricevuto il bonus bisogna fare richiesta di accesso agli atti”; “hanno dato tutti i soldi alle solite figure dello staff, sempre i soliti”; “per accedere dovevi per forza fare domanda, poi non si è saputo più nulla”; “spiegazioni sono state date solo a chi ha scritto una lettera privata al dirigente”; “le rsu sanno i nomi ma hanno promesso al dirigente di non dirli”; “sento del malumore che cresce tra i docenti perché alcuni si ritengono ingiustamente esclusi. Mi dispiace molto del clima che ha creato questo bonus!” “Io ho rifiutato il bonus ma mi hanno detto che me lo danno ugualmente: lo donerò ad una associazione”; “sono in imbarazzo a rapportarmi con le colleghe, da quando senza ragione hanno attribuito il bonus a me e non a loro”; “il criterio, formulato a fine anno, era di dividere tra tutti, ma la dirigente se ne è fregata e ha fatto quello che le pareva”…

Insomma, chi vuole capire in quale direzione questi bonus stanno portando la scuola pubblica non dovrebbe accontentarsi delle percentuali, ma provare a leggere più a fondo e provare ad ascoltare. Davvero il nuovo corso della scuola italiana sta producendo qualità?