Indagato un maresciallo e altri due militari. Dal processo d’appello l’esortazione dei giudici a mettere sotto la lente l’operato degli uomini dell’Arma.
Di Checchino Antonini da Popoff
Omicidio Cucchi, spuntano i carabinieri tirati fuori, all’epoca dai fatti, dal gioco di squadra tra la Procura, molto legata all’Arma, e l’allora ministro della difesa La Russa. Ora tre carabinieri sono sotto inchiesta a quasi sei anni dalla morte del ragazzo di 26 anni. Tra loro, l’ex vicecomandante della stazione di Tor Sapienza dove Cucchi fu portato la notte dell’arresto (il 15 ottobre 2009), indagato per falsa testimonianza. Si tratta del maresciallo Roberto Mandolini la cui deposizione al processo d’appello contro medici e agenti della polizia penitenziaria è risultata in conflitto con i fatti accertati dai pm. Per altri due militari potrebbe verificarsi presto l’iscrizione al registro degli indagati per lesioni colpose: le percosse inflitte al ragazzo.
Secondo i risultati del controverso processo, Cucchi fu malmenato più volte dal momento dell’arresto fino alla detenzione in carcere. Nella motivazione di 67 pagine i giudici avevano sottolineato che «le lesioni subite da Cucchi sono necessariamente collegate ad un’azione di percosse e comunque da un’azione volontaria che può essere consistita anche in una semplice spinta che abbia provocato la caduta a terra con l’impatto sia del coccige, sia della testa contro una parete o contro il pavimento». Sempre per quanto riguarda le lesioni provocate a Cucchi la Corte sottolineava che «non può essere definita un’astratta congiuntura l’ipotesi emersa in primo grado secondo la quale l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che hanno avuto in custodia Cucchi nella fase successiva alla perquisizione domiciliare» e ciò perchè l’ipotesi si fonda su concrete circostanze testimoniali dalle quali emerge che «già prima di arrivare in Tribunale Cucchi presentava segni e disturbi che facevano pensare ad un fatto traumatico avvenuto nel corso della notte».
L’inchiesta a molti sembrò strabica concentrandosi solo sulla polizia penitenziaria e i medici del “repartino” del Pertini che ebbero in custodia Cucchi durante la detenzione. Più volte anche il Dap rilasciò comunicati che avvertivano della necessità di andare a controllare altre amministrazioni coinvolte nella vicenda. A porre un diktat sulla Benemerita fu La Russa in persona: «il Ministro della Difesa aveva rivendicato la correttezza del comportamento dei Carabinieri – scrive la sentenza di primo grado – inoltre vi erano state dichiarazioni di parlamentari appartenenti a diversi schieramenti politici, il tutto veicolato da Radio Radicale, (emittente nazionale), con la trasmissione “Radio Carcere”, molto popolare tra i detenuti». E poi ci sono i “pasticci” delle carte che accompagnano il detenuto all’udienza di convalida, da cui risultava essere un albanese più anziano e senza fissa dimora così da precludergli i domiciliari. Oppure il “giallo” dell’avvocato: Cucchi ne aveva nominato uno ma l’Arma non l’ha cercato. E le dichiarazioni dei militari cozzano spesso tra loro.
Comincia a dare frutti, così pare, l’inchiesta bis della Procura di Roma disposta dopo l’assoluzione in corte d’appello di medici e secondini. Il vice comandante di Tor Sapienza sarebbe caduto in contraddizione sulla propria partecipazione alle perquisizioni domiciliari eseguite nei confronti di Cucchi. Non sarebbe stato convincente sul mancato fotosegnalamento. Perché non fu fatto? E perché gli altri due carabinieri operarono in borghese e non risulterebbero ufficialmente fra gli esecutori dell’arresto? Mandolini, il maresciallo, disse: «Il signor Cucchi mi disse che non gradiva sporcarsi con l’inchiostro per gli accertamenti dattiloscopici (impronte, ndr) e fotosegnaletici. Dopo questa sua richiesta non ho ritenuto necessario farlo, visto che era una persona tossicodipendente, non l’ho voluto sforzare a fargli questa identificazione e non gli feci fare questi rilievi».