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“Regolarizzazione? No, sfruttamento”, i migranti tornano in piazza

Coordinamento Migranti manifesta il 30 maggio: “Con la pandemia siamo ancora più ricattabili: forza lavoro usa e getta, da sfruttare in nero o in regola, non fa differenza. Questo viene sancito dal governo” con la misura introdotta nel ‘decreto rilancio’. Intanto, B-Side Pride diffonde un contributo sulla condizione di migranti e richiedenti asilo lgbit.

20 Maggio 2020 - 10:54
Il corteo dello scorso 15 febbraio

“Ora parliamo noi”. Inizia così il comunicato con cui il Coordinamento Migranti, ha indetto una manifestazione per sabato 30 maggio. L’ultima manifestazione risale al 15 febbraio, pochi giorni prima che venissero scoperti i primi casi di Covid-19 in Italia. “Il lavoro migrante – si legge poi – non può essere messo a tacere! Noi siamo migranti che hanno passato la quarantena a fare i lavori essenziali. Siamo donne e uomini che hanno lavorato nei magazzini e nelle fabbriche, nei campi e nei supermercati, che hanno consegnato a casa le merci più varie, che hanno sanificato le vostre case, le aziende e gli ospedali, che hanno badato ai malati e agli anziani. Alcuni di noi invece hanno perso il lavoro, non hanno potuto usufruire dei sussidi statali e ora senza lavoro e reddito rischiano di perdere il permesso di soggiorno. Siamo donne e uomini migranti che vivono ammassati nei centri di accoglienza come il Cas di via Mattei perché la Prefettura, il Comune e la Regione non hanno voluto trovare soluzioni alternative. Il nostro lavoro è essenziale, ma le nostre esistenze si possono sacrificare, anche per i coraggiosi e silenziosi democratici che guidano questa accogliente Regione. Compresi quelli che sono venuti in piazza ad assicurarci la loro attenzione e poi sono scomparsi. Noi siamo le donne e gli uomini migranti a cui il governo ha sospeso la scadenza dei permessi fino a fine agosto. Migliaia di domande di rinnovo attendono di essere esaminate dagli Uffici immigrazione delle Questure, ma datori di lavoro e proprietari di case non stipulano contratti di lavoro e di affitto con chi ha in mano soltanto il cedolino della richiesta di rinnovo. Così, alla fine dell’estate rischiamo la clandestinità: senza lavoro e con un salario sempre più povero come potremo rinnovare il permesso di soggiorno?”.

“Con la pandemia -continua il coordinamento- il razzismo istituzionale ci rende ancora più ricattabili: forza lavoro usa e getta, da sfruttare in nero o in regola, non fa differenza. Questo viene sancito dal governo con la regolarizzazione. Chi in questi anni non ha lavorato in agricoltura, nell’assistenza alla persona o nel lavoro domestico, ma nei magazzini, nelle cooperative o nelle fabbriche, spesso in nero o con contratti a chiamata e temporanei, rimarrà irregolare o sull’orlo della clandestinità, mentre quello che viene concesso è un permesso temporaneo di sei mesi che non ci libera dal ricatto del contratto di lavoro. La regolarizzazione resuscita inoltre il contratto di soggiorno con cui i governi della destra per anni hanno dato al padrone il diritto di decidere della nostra permanenza. Questa regolarizzazione è un vecchio modo per sfruttare in forme nuove quello che da sempre noi chiamiamo lavoro migrante. Nella fase 2 la nostra libertà rimane così in sospeso fra razzismo e sfruttamento. Per questo abbiamo deciso di rompere il muro di silenzio che è calato sulle nostre vite e su quelle di chi ancora sfida il Mediterraneo”.

Si legge in conclusione: “Siamo quelle lavoratrici e quei lavoratori migranti che sono qui ormai da decenni, ma per i quali la cittadinanza è una promessa mai mantenuta. Un ricatto manifesto per noi e per i nostri figli. Per questo il 30 maggio saremo in piazza Nettuno a Bologna mentre a Parigi diversi collettivi di migranti manifesteranno contro il razzismo e lo sfruttamento che la pandemia ha rafforzato in tutta Europa e non solo: vogliamo un permesso di soggiorno europeo illimitato e incondizionato, svincolato da famiglia, reddito e lavoro”. L’appuntamento è per sabato 30 maggio alle ore 16 in piazza Nettuno”.

Intanto, B-Side Pride ha diffuso in rete un contributo sulla condizione di migranti e richiedenti asilo lgbit in Italia: “Froci, lesbiche, trans, dissidenti sessuali e donne in cerca di libertà si muovono da ogni parte del mondo – che sia dal Marocco o dalla Libia o dalla provincia italiana – alla ricerca di un posto più accogliente dove vivere. Nei luoghi di arrivo ricostruiscono reti di affetto e solidarietà che ci mostrano come la famiglia basata sul matrimonio e i legami di sangue non è l’unica forma di vita possibile. Le migrazioni di massa sono un processo che non si può fermare, e che affonda le radici nell’iniqua distribuzione della ricchezza fra paesi del cosiddetto Nord e Sud del mondo (e in piccolo anche fra Nord e Sud d’Italia). Questa distribuzione non equa non è dovuta a cause naturali ma agli esiti storici del colonialismo perpetrato dai paesi europei. Inoltre molte persone fuggono dalle guerre, nelle quali i paesi occidentali hanno spesso pesanti responsabilità. La legislazione italiana attuale che lega il permesso di soggiorno alla presenza di un contratto di lavoro e a una miriade di altri requisiti serve solo a creare una massa di lavoratori e lavoratrici più facilmente ricattabili e sfruttabili, perlatro abbassando i margini di contrattazione per tutt* in ambito lavorativo. Attualmente la concessione del permesso di soggiorno per asilo politico o della protezione internazionale a chi è fuggit@ da persecuzioni o dalla guerra è subordinata a un iter doloroso, invasivo, dalla durata ingiustificatamente lunga e imprevedibile. Nell’attesa dell’audizione e poi del pronunciamento della Commissione territoriale in merito alla loro richiesta, i/le richiedenti asilo sono alloggiate/i in Centri di accoglienza straordinaria (CAS) che sono già invivibili in condizioni normali, e che diventano pericolossisimi in tempo di epidemia (5/10 persone per stanza, stanze spesso senza finestre, come nel centro di via Mattei a Bologna). Durante le audizioni, ai richiedenti asilo è richiesto di provare di essere stati davvero in pericolo nel proprio paese, ponendo di fatto la vittima sul banco dell’imputato. Questa violenza burocratica e istituzionale è particolarmente grave verso i/le richiedenti asilo gay, lesbiche, trans: fuggiti da paesi in cui la loro vita non era al sicuro, si trovano nuovamente in pericolo dovendo convivere nelle strutture con persone tutt’altro che gay-friendly, perchè i posti in strutture specificamente dedicate a rifugitat* lgbit sono un numero irrisorio. Tutta questa situazione è stata ulteriormente aggravata dallo smantellamento parziale, attualmente in corso, del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRADR) ad opera del Decreto Salvini. Durante le audizioni, ai richiedenti asilo che sono fuggit* a causa di persecuzioni legate all’orientamento sessuale è richiesto di “provare” la propria omosessualità entrando in dettagli sessuali privati, di fronte a funzionari che spesso hanno un’immagine stereotipata e rigidia dell’omosessualità. Durante questo processo sono assistiti da mediatori linguistico-culturali che incontrano lì per la prima volta, appartenenti alle loro comunità nazionali d’origine e del cui atteggiamento positivo verso l’omosessualità non possono essere certi. Le decisioni da parte delle Commissioni territoriali sono spesso discrezionali e sommarie: basti pensare al cd. Decreto ‘Paesi Sicuri’, che prescrive di trattare come paesi sicuri per le persone lgbit Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina e quindi di respingere tendenzialmente tutte le richieste di protezione sulla base dell’orientamento sessuale/identità di genere provenienti da cittadine/i di questi paesi. Contro le decisioni delle Commissioni Territoriali e Tribunali di primo grado, grazie al Decreto Minniti (convertito nella Legge 46/2017), è negato il diritto a ricorrere in appello, impedendo di fatto a una fetta della popolazione l’accesso al normale iter giuridico dei tre gradi di giudizio. Dopo l’eventuale accoglimento della domanda di asilo, i/le nostri/e comapagni/e lgbit sono sottoposti/e a limitazioni nei viaggi, che impediscono, ad esempio, di ricongiungersi partner, amici o familiari che hanno ottenuto l’asilo in altri paesi europei, o anche solo di organizzare un viaggio per incontrare i propri cari in un altro paese, in genere dopo anni di separazione. Se sono out, sono doppiamente discriminati/e sia nel mondo del lavoro (dove tra l’altro i loro titoli di studio non sono riconosciuti) sia nella vita sociale, dove vengono spesso guardati/e con diffidenza dalle comunità nazionali d’origine perché frocie e dai ‘giri’ dei bianchi perché stranieri. La collaborazione dello Stato italiano con la cosiddetta “Guardia costiera” libica di fatto è una consapevole complicità nella tratta degli esseri umani. Le motovedette libiche, infatti, riconsegnano i migranti ai loro aguzzini, che così possono chiedere ulteriri riscatti in denaro per lasciarli ripartire. Membri di spicco di questa famigerata ‘Guardia costiera’ sono noti trafficanti di esseri umani. Lo Stato italiano, tramite gli accordi recentemente rinnovati finanzia e supporta questo sistema”.

Prosegue il testo: “B-Side Pride si batte in primo luogo per la libertà di movimento e perché siano garantite a tutt*, indipendentemente dal colore della pelle e dalla nazionalità, e dallo status o meno di ‘vittima’, non solo le libertà civili e politiche ma anche le condizioni materiali per esercitarle, cioè reddito, sicurezza dalla violenza privata o istituzionale e accesso allo spazio pubblico e alle relazioni sociali. Per questo ci battiamo per un permesso di soggiorno europeo sganciato dal lavoro, per lo ius culturae, per la diffusione di una cultura davvero antirazzista e aperta. La nostra posizione sul sistema attuale non può che essere di rifiuto, ma finchè questo sistema sarà in piedi chiediamo almeno: l’immediato reperimento di strutture abitative adeguate in cui richiedenti asilo e rifugiati possano tutelarsi dal rischio di contagio da Covid come qualsiasi famiglia media italiana; l’abolizione dei Decreti Sicurezza di Salvini e Minniti; l’abolizione del Decreto sui cd. ‘Paesi Sicuri’; l’abolizione degli accordi con la Libia; che ai residenti delle strutture d’accoglienza, sia lgbit che non, siano garantiti, oltre ad alloggio, cibo e cure mediche, anche autonomia e autodeterminazione: questo significa una corretta e completa informazione circa i propri diritti, assistenza legale di qualità, servizi dimediazione linguistica professionali, un’organizzazione dei tempi e degli spazi rispettosa della loro libertà e autonomia e dei bisogni della loro vita relazionale e affettiva; l’apertura di un congruo numero di strutture esclusivamente per rifugiati gay, lesbiche, trans; che i richiedenti asilo gay e lesbiche abbiamo ad assisterli durante l’audizione della Commissione mediatori linguistico-culturali gay e lesbiche, rimuovendo dalla legislazione qualsiasi ridicola obiezione rispetto alla presunta non imparzialità di un mediatore gay che si occupa di un richiedente gay (come se un mediatore potenzialmente omofobo invece la garantisse!); che i mediatori e le mediatrici linguistiche e culturali abbiano contratti di lavoro e retribuzione decenti, in modo da poter svolgere il loro lavoro in maniera davvero professionale sia nelle Commissioni che nelle strutture sanitarie e negli uffici pubblici di tutto il paese: lo stesso per i lavoratori e le lavoratrici delle strutture di accoglienza”.

Conclude B-Side Pride: “La memoria del colonialismo italiano, in gran parte rimossa dagli italiani, è dolorosamente presente nella vita di è nato in Libia, Etiopia, Eritrea. E’ necessario diffondere conoscenza e riflessione su questi temi nella cultura e nel dibattito pubblico di lingua italiana. Gli attivisti/e lgbit nativi/e italiani/e devono fare un grande sforzo per entrare in relazione con i compagni e le compagne che provengono da altri paesi, e con gli italiani e le italiane di prima generazione. Bisogna impegnarsi con umiltà per lasciare da parte atteggiamenti paternalistici, per diventare consapevoli di come le disuguaglianze socio-economiche impattano anche sul desiderio e sulle relazioni sessuali, sentimentali, di amicizia o anche di semplice convivialità, e uscire dall’abitudine di una socialità monoculturale e monolinguistica. Anche nei paesi in cui l’omosessualità è reato, in cui il livello di violenza di genere è ancora più altro che qui, ovviamente esistono comunità froce che si organizzano, che si divertono come possono, che si sostengono a vicenda, che producono immaginario e cultura. Inoltre, in tutte le culture popolari e cosidette tradizionali, in Italia come altrove, esistono potenzialità queer (pensate alla Madonna di Montevergine..!). B-Side Pride crede nella libertà per ciascun@ di coltivare le proprie tradizioni, la propria religione, la propria cultura di origine, o di abbandonarle o di cambiarle senza essere considerat@ per questo più o meno figo, più o meno gay, più o meno credibile o meritevole di protezione. Per questo B-Side Pride ha organizzato assemblee e incontri plurilingue e si propone di organizzare sempre di più eventi politici e di socialità che siano linguisticamente ed economicamente accessibili”.