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Referendum scuola: “E’ ora di cambiare rotta”

I Cobas contro l’atteggiamento della Giunta comunale: “Sarebbe forse giunto il tempo di pensare a una democrazia che non inizi e finisca il giorno delle elezioni”

15 Aprile 2013 - 10:03

E’ vero, noi siamo i  marziani,
siamo i cittadini bolognesi che vogliono cambiare rotta.

Delle ultime esternazioni sul referendum del sindaco di Bologna Virginio Merola colpisce non poco il fatto che ancora una volta non venga presa in considerazione la sua  responsabilità, in quanto  sindaco, di garante della corretta consultazione della cittadinanza bolognese. La sua discesa in campo militante per l’opzione B  si affianca al palese e crescente fastidio per una consultazione che pretende addirittura di coinvolgere la cittadinanza in una discussione collettiva sul senso e sull’efficacia  del modello del sistema integrato di gestione della scuola materna.

Nessuno può disturbare il manovratore insomma, e i politici, anziché fare un passo indietro e porsi in ascolto di ciò che si muove nella società, scelgono prima di portare discredito sul referendum stesso, poi  di anticipare l’intenzione di non dare comunque alcun seguito alle richieste di rivedere le convenzioni con le scuole private. Le reazioni sembrano sempre più scomposte per un primo cittadino: “Chi vuole votare lo faccia ma il programma di mandato non si tocca; “il sistema integrato è la cosa giusta per Bologna”, “se un giorno in città ci sarà una scuola musulmana, sarà interesse del Comune  che firmi la convenzione se vuole farlo, proprio per garantire la qualità educativa”. “Nel referendum consultivo si parla genericamente di scuola pubblica mentre qui stiamo parlando di scuola dell’infanzia, che è  un’altra cosa”.

Il Comune ha il compito di finanziare e “controllare la qualità” delle scuole private mentre non ha quello di garantire il massimo sforzo per offrire una scuola pubblica. E la scuola dell’infanzia per il sindaco non è  una scuola come le altre, ma chi ssà perché, verrebbe da dire, essa è la prima ad essere nominata nella normativa nazionale sugli ordinamenti scolastici che ne definisce  – a differenza dei nidi – finalità, modalità di accesso e attività educative. Se c’è un effetto positivo della discesa in campo del sindaco è la progressiva chiarezza con cui emerge pubblicamente sia la sua idea di scuola che la sua idea di politica.
Ovviamente il referendum, come la scuola, è letto solo e unicamente come spesa, perché non cancellarlo dunque dallo statuto comunale?

In realtà il problema dell’appuntamento del prossimo 26 maggio dovrebbe essere quello di fornire il massimo di opportunità di partecipazione, ma la richiesta presentata al Comune dal Comitato promotore referendario di ampliare il numero del le sedi di voto concesse (64) e dei seggi (199), inadeguato ad accogliere un voto potenziale di 300.000 persone, non è stata al momento accolta. Il sindaco rende bene l’idea di quella classe politica che non riesce a proporre altro che se stessa e la propria impermeabile e immutabile gestione delle scelte politiche in città. Sarebbe forse giunto il tempo di pensare a una democrazia che non inizi e finisca il giorno delle elezioni, sarebbe ora di pensare che chi ha ricevuto il mandato di sindaco di una città dovrebbe avere  come primo obiettivo l’ascolto dei bisogni della popolazione e la partecipazione collettiva al dibattito sulla cosa pubblica. La domanda del referendum è alta, come si conviene a questo strumento di consultazione, essa invita alla discussione  sulla questi one del bene pubblico, in questo caso la Scuola.

In futuro il finanziamento ai privati potrà purtroppo solo aumentare, è il sistema di disinvestimento dalla gestione diretta che produce questo effetto insieme al continuo immiserimento delle risorse destinate alla scuola pubblica. Arriveremo al punto di ridurre la qualità delle scuole pubbliche in modo tale da  far emergere quella delle private, come avviene nei paesi in cui la scuola di qualità c’è solo per chi se la può comprare. Vorremmo essere liberi di fare un  bilancio del sistema integrato dopo quasi due decenni di attuazione, di affermare che la qualità della scuola in questo periodo è costantemente diminuita così come le risorse in essa investite, che la realpolitik del finanziamento “perché si spende meno” è la politica di ogni logica di subappalto che ha attraversato le scuole così come gli altri servizi pubblici con effetti nefasti sul piano della qualità.

Vorremmo essere liberi di dire che i bambini non possono essere costretti ad iscriversi in una scuola privata per mancanza di posti pubblici così come è successo e succederà sempre più. Vorremmo portare avanti tutti insieme la richiesta di aumentare il numero di scuole dell’infanzia statali a Bologna;  il referendum, così come il respiro nazionale che esso sta assumendo, sono la strada per porre il problema nella sua giusta dimensione. Vorremmo essere liberi di dire che siamo stanchi delle chiacchiere sul controllo di qualità che il Comune continuerebbe ad esercitare dall’esterno.

Vorremmo poter dire che c’è stata anche una storia diversa di Bologna, cancellata in questi anni dal pensiero unico privatizzante, quando la gestione diretta delle farmacie, delle mense, delle pulizie non era considerata un fardello e una spesa. Vorremmo riaffermare l’idea che la scuola di tutti si fa con i soldi di tutti, messi insieme per costruire qualcosa di comune e solidale, aperto e fruibile da tutti, in cui sia rispettata la libertà di insegnamento e con essa il pluralismo e che nessuna scuola priva di queste caratteristiche può usufruire dei soldi delle tasse, anche se un alunno che la frequenta costituisce una spesa in meno per
le finanze pubbliche.

Vorremmo poter essere liberi di affermare che una scuola pubblica plurale e solidale è oggi più che mai un obiettivo cruciale della nostra società, che pone Bologna al centro di un dibattito molto ampio di cui i cittadini bolognesi possono sentirsi fieri; lasciamo ai politici le litanie sulle strumentalizzazioni e le ideologie (è davvero un disco rotto, ogni volta qualche movimento fuori dal palazzo mette in discussione lo status quo).

E’ vero, noi siamo i  marziani, siamo i cittadini bolognesi che vogliono cambiare rotta.

Cobas Bologna