Santificano poche feste, non si conoscono i loro turni e i loro orari, ma nemmeno i loro salari. Quando non lavorano dove abitano a Bologna? Nel manifesto del Comune per il 1° maggio si parla di “lavoro dignitoso per tutti/e”, la vita che fanno gli operai dei cantieri della tranvia ha questa caratteristica?
Nella splendida giornata del 25 aprile, tra le tante iniziative antifasciste che hanno riempito strade, piazze, parchi e giardini c’è stato anche qualcosa di piuttosto stridente. Oltre alle migliaia di giovani che hanno trasformato il corteo in un “fiume in piena”, oltre alle tantissime persone (di tutte le età) che hanno riempito il cuore della città e la prima periferia, che hanno trasformato la normalità di rioni come il Pratello e la Bolognina, che hanno gremito luoghi “sacri” della Resistenza come Monte Sole, tra suoni, canti e slogan, c’è qualcosa che ha stonato.
Nel giorno della festa per eccellenza della Liberazione, diverse centinaia di uomini e di “giovani adulti”, infilati dentro a larghe pettorine arancio-fosforescenti, disseminati nei tanti cantieri per il tram che pullulano in ogni parte di Bologna, hanno scavato, mosso terriccio, tirato armature in ferrro e preparato cemento, come in un qualsiasi altro giorno lavorativo.
Hanno fatto quello che fanno dalla data in cui sono iniziati i lavori, dal primo mattino al tramonto, dal lunedì al venerdì, ma anche di sabato e in diversi giorni festivi: impugnando un badile o guidando una scavatrice, su un cassone a quattroruote o spostando materiali. Sono lì a darci dentro, a prescindere dal clima e dal meteo, dal freddo o dal caldo per far sì che Bologna sia “più bella e più funzionale” di prima. Sono loro la garanzia del rispetto dei tempi per accedere ai finanziamenti del PNRR o per non prolungare la durata dei lavori ed alleviare i disagi ai commercianti allarmati e agli automobilisti incastrati nel sempre più incasinato traffico cittadino.
Qualcuno era rimasto un po’ sconcertato quando, la mattina dello scorso 29 novembre, nel giorno dello sciopero generale indetto da Cgil e Uil contro la manovra del Governo Meloni e, parallelamente, da quasi tutti i sindacati di base, vedere in via Ugo Bassi, a poche decine di metri da una piazza Maggiore piena di manifestanti, tanti operai con le pettorine fosforescenti arancioni, che sgobbavano nel cantiere della “linea rossa”, con il nobile scopo di “salvaguardare” gli impegni per la realizzazione del tram. Un tempo la “linea rossa” faceva venire in mente altre cose: organizzazioni che avevno il compito di salvaguardare le condizioni di lavoro degli operai e delle operaie e le situazioni di vita dei settori più deboli della popolazione. Oggi le priorità sembrano essere, per forza di cose, altre: i fastidi e le scomodità del “cittadino medio”. I diritti di chi lavora sono classificati all’ultimo posto dei problemi.
Anche perché la maggior parte di questi uomini e ragazzi con la pettorina arancio sono migranti, quegli stranieri che tanti autoctoni vorrebbero rispedire a casa loro, perché portano via troppe cose a chi è nato da queste parti. Se però si dovesse fare un reclutamento per coprire le necessità di forza lavoro dei cantieri per la tramvia, con aste lavorative rivolte solo ad operai italiani, non ci vorrebbe un grande scommettitore per pronosticare che andrebbero deserte.
Di loro, di questi “uomini arancio” si sa molto poco, non si conoscono i loro orari di lavoro, in quanti e quali turni sia suddivisa la loro giornata lavorativa. Non si sa niente dei loro salari, pubblicamente non risulta che qualche sindacato si stia dando da fare per tutelare le loro condizioni di lavoro e i loro diritti. Qualche tempo fa è stato sottoscritto un “importante protocollo d’intesa” tra Comune di Bologna, Città Metropolitana e i sindacati di categoria edili e trasporti di Cgil Cisl e Uil, relativo alle opere della mobilità (tra cui quella della tramvia). Se uno degli operai dei cantieri della “linea rossa” o della “linea verde” avesse tra le mani quel pezzo di carta avrebbe una certa difficoltà a capire come quell’intesa sottoscritta da istituzioni e centrali sindacali sia utile alla tutela dei propri diritti: fuffa, verrebbe da dire ad essere buoni.
Per quanto riguarda il cosiddetto “mondo politico” c’è da registrare un’unica presa di posizione dei Verdi, nell’estate scorsa, che fecero “un passo in più” rispetto all’assessora ai Trasporti di allora che ringraziava gli addetti ai lavori del tram “per l’impegno che stanno dimostrando anche in condizioni climatiche molto dure”. I Verdi (noti estremisti della “scarsa responsabilità”) proposero: “Quando le temperature superano i 35 gradi ci aspettiamo il rispetto delle norme nazionali e l’adozione di misure di prevenzione e protezione per sospendere l’attività lavorativa durante le ore di maggior caldo”. Un vero e proprio programma destabilizzante…
Un’altra domanda che è lecito farsi è: dove abitano e in quali condizioni questi lavoratori?
Un tempo, per i lavoratori impegnati in cantieri di opere pubbliche, molti dei quali provenienti da altre regioni, venivano predisposti villaggetti dove ospitarli. Non erano certamente un granché, ma un tetto sotto il quale dormire veniva loro garantito. Nel scorso mese di febbraio dei volontari della Comunità di Sant’Egidio, annunciando che alcuni operai della tramvia erano ospitati in appartamenti gestiti dall’associazione, denunciarono la difficoltà di tanti altri lavoratori dei cantieri a trovare un alloggio. E, inoltre, si domandavano come, con i loro stipendi, avrebbero potuto rapportarsi ai costi dell’affitto bolognesi.
Che ci sia stato qualche impegno da parte dell’amministrazione comunale sul tema?… Se sì, non pervenuto.
Bertolt Brecht, in una sua poesia, si domandava: “Tèbe delle Sette Porte, chi la costruì? / Ci sono i nomi dei re, dentro i libri. / Sono stati tutti i re a strascicarli, quei blocchi di petra?… / Dove andarono, la sera che fu terminata la Grande Muraglia, i muratori?”.
In una versione moderna, quei versi si potrebbero declinarsi pure verso gli operai dalle pettorine arancio dei cantieri del tram.
Studs Tèrkel nel suo Working scrive: “Qualcuno ha costruito le Piramidi. Qualcuno ha costruito qualcos’altro. Piramidi o cose di questo tipo non accadono e basta. C’è un duro lavoro dietro…” E lo scrittore americano auspicava metaforicamente che, almeno, su ogni nuovo edificio fosse messa una “striscia di trenta centimetri, da cima a fondo, con il nome di ogni muratore, di ogni elettricista, di ognuno che avesse messo le travi di ferro”.
Forse gli operai della tramvia non si aspettano o non ci pensano a qualcosa di questo tipo, ma la domanda che ci facciamo noi è: ci sarà qualche scatto che documenta il loro sforzo lavorativo nella mostra fotografica che viene inaugurata il 1° maggio al Dumbo (in via Casarini), che ha come titolo “Al lavoro – Tutto cambia cambia tutto”, e che ha “la fatica sul lavoro” come collante delle tante immagini di fotografi famosi?
E a proposito di 1° maggio, nel giorno della festa delle/i lavoratrici/ori i cantieri del tram rimarranno aperti?
Mentre scriviamo questo articolo non sappiamo ancora quale sarà la scelta, si dice che rimarranno chiusi i cantieri del centro perché non sarebbe una bella immagine in una giornata così, mentre può darsi che in periferia, al di fuori dei riflettori, qualcuno possa lavorare.
Quello che è certo che tanti degli operai impegnati nell’opera della tramvia non sono di Bologna e, se facessero il ponte di quattro giorni di cui tanti altri lavoratori usufruiranno, non potrebbero rispettare le tappe forzate richieste dai fondi del PNRR.
In conclusione, vorremmo porre un’altra domanda (l’ennesima): questa storia come si concilia con il contenuto del manifesto per il primo maggio del Comune di Bologna e della Città metropolitana dove si parla di “lavoro dignitoso per tutti/e”?