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Quanti affari con Israele: dalle azioni Hera ai vagoni del tram

Nel rapporto sulla “economia del genocidio” curato da Francesca Albanese, che sarà premiata dal Comune, alcune realtà collegate al territorio bolognese ed emiliano-romagnolo: Vanguard e BlackRock nella pancia della multiutility, insieme a State Street; mentre CAF fornirà i mezzi della tranvia, nei cui lavori era già coinvolta Alstom.

17 Ottobre 2025 - 11:42

Dalla gestione dei rifiuti domestici allo scenario globale il passo può essere più breve di quanto sia facile pensare. E’ proprio dalle discussioni nei quartieri sulle regole per la raccolta del pattume, infatti, che è nata la segnalazione inviata a Zic.it da un lettore del nostro giornale, Egidio Rimoli, residente a San Lazzaro. Sulla scorta di alcune interlocuzioni avute con Hera, ci ha scritto Rimoli, “è partita una mia personale ricerca su quante azioni della multiutility avesse il mio Comune. Guardando nei bilanci, però, ho subito notato qualcosa di più interessante: che molte delle azioni Hera non sono più dei Comuni, ma di fondi di investimento o speculativi”. Poi la curiosità di saperne di più su questi fondi e il passaggio successivo: la constatazione della presenza, tra questi, di alcuni grandi nomi finanziari “che sono stati anche segnalati nel rapporto di Francesca Albanese relativo alle aziende coinvolte nel genocidio a Gaza e in Palestina in generale”, è il tema sollevato dal nostro lettore. Come noto, Francesca Albanese è la Relatrice speciale dell’Onu sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati da Israele dal 1967. Il rapporto citato, divulgato lo scorso 30 giugno, è l’ultimo firmato da Albanese: “Dall’economia di occupazione all’economia del genocidio”.

NELLA PANCIA DI HERA

Andiamo con ordine. “La compagine azionaria del Gruppo Hera annovera 110 Comuni del territorio di riferimento che, assieme agli altri soci pubblici, detengono una quota complessiva pari a circa il 45,8% del capitale sociale. L’azionariato si connota per la presenza di numerosi Comuni, con una relativamente bassa concentrazione di azioni e un azionariato privato diffuso che detiene il 54,8% (flottante)”, si legge nella pagina “Azionariato” presente sul portale web della multiutility, aggiornata all’11 settembre 2025: “L’azionariato diversificato deriva dal modello di business che negli anni ha consentito l’ingresso come azioniste alle numerose aziende fuse progressivamente nel Gruppo Hera, fino a raddoppiarne il numero di azioni che da 787 milioni sono ora 1.490 milioni di azioni ordinarie. Oggi, il 45,8% delle azioni sono divise tra oltre 100 Comuni di cui il maggiore Azionista ha una partecipazione inferiore al 10%: il restante 54,2% rappresenta il flottante, detenuto da privati suddivisi tra investitori istituzionali, retail, fondazioni bancarie e aziende. La compagine è composta da investitori di diversa nazionalità anche grazie alle relazioni coltivate durante i road show; questa caratteristica consente una ulteriore diversificazione che conferisce una maggiore stabilità dell’azionariato”.

Proseguendo, la multiutility segnala che “il Gruppo Hera ha nella compagine sociale circa 300 investitori istituzionali con in mano circa 400 milioni di azioni, di cui il 21% sono possedute da fondi SRI”. La seguente tabella, riportata nella pagina “Investitori istituzionali” del portale, mostra i principali azionisti di questa categoria:

(sopra: tabella tratta dalla pagina https://www.gruppohera.it/gruppo/investitori/azionariato/investitori)

BlackRock e Vanguard in prima linea

Ecco allora che nell’elenco degli investitori istituzionali pubblicato da Hera è possibile ritrovare riferimenti a due realtà segnalate nel rapporto Albanese: Vanguard e BlackRock, due colossi tra i fondi di investimento a livello globale. Ecco uno dei passaggi in cui vengono citati: “Dopo l’ottobre 2023, quando il bilancio della difesa israeliano è raddoppiato e in un momento di calo della domanda, della produzione e della fiducia dei consumatori, una rete internazionale di società ha sostenuto l’economia israeliana. Blackrock e Vanguard sono tra i maggiori investitori nelle aziende produttrici di armi fondamentali per l’arsenale genocida di Israele. Le principali banche globali hanno sottoscritto titoli del Tesoro israeliani, che hanno finanziato la devastazione, e i più grandi fondi sovrani e fondi pensione hanno investito risparmi pubblici e privati nell’economia del genocidio, pur continuando a dichiarare di rispettare le linee guida etiche”.

Ne ha parlato anche ‘il Manifesto’ lo scorso 19 luglio: la Relatrice Onu “ha presentato un dettagliato rapporto sull’occupazione che costituisce un durissimo atto d’accusa verso Israele. Già il titolo lo fa intuire: ‘Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio’. Si indica la connessione fra le pratiche coloniali di occupazione illegale che caratterizzano tale scenario con gli sbocchi repressivi e vessatori, fino all’estremo limite della pulizia etnica e del genocidio che vediamo oggi. Il testo non si limita ad una burocratica rassegna dei diritti violati da parte dello Stato ebraico, ma denuncia i nomi delle aziende colluse con esso. Come si dice nella premessa, ‘le imprese coloniali e i genocidi ad esse associati sono stati storicamente guidati e resi possibili dal settore aziendale’; tanto più nel caso di Israele, Stato fortemente integrato con l’economia mondiale ed occidentale in particolare. Una sezione del Rapporto è specificamente rivolta al settore della finanza, individuando uno dei problemi principali nell’acquisto di titoli di Stato israeliani, il che significa prestare soldi allo Stato ebraico. Come abbiamo argomentato anche su queste pagine, la situazione di guerra sta portando un sostanzioso aumento delle spese militari che spinge Tel Aviv verso un abnorme deficit nelle finanze pubbliche, per compensare il quale occorre trovare prestiti all’estero, ed in questo contesto in cui la reputazione del paese è particolarmente logorata gli investitori senza troppo pelo sullo stomaco risultano particolarmente preziosi. I primi che vengono citati sono le due grandi banche d’affari BNP Paribas e Berclays. Poi si tirano in ballo i grandi fondi di gestione patrimoniale, BlackRock e Vanguard, nonché Pimco, la succursale della compagnia di assicurazioni tedesca Allianz. I due giganti nordamericani vengono menzionati non soltanto in merito ai bond di Stato, ma come investitori e detentori di azioni di società direttamente fortemente compromesse con le politiche israeliane; si fanno i nomi di Palantir (il cui padrone è, com’è noto, fra i più stretti alleati di Trump), Microsoft, Amazon.com, Alphabet, IBM, Lockheed Martin, Caterpillar e Chevron. Anche le società globali di assicurazione sono coinvolte: la tedesca Allianz e la francese Axa, che assicurando le società sul campo ne riduce il rischio di operatività (essere coinvolti in un genocidio ha diversi rischi commerciali)”.

Il rapporto di Albanese “contiene una dettagliata ricognizione delle aziende coinvolte in questi processi e del modo in cui lucrano sulle pratiche genocidarie perpetrate da Israele, direttamente con la vendita di armi o indirettamente con la fornitura di altri prodotti e/o servizi”, ha scritto ‘il Fatto Quotidiano’ il 3 luglio, riportando la seguente frase pronunciata dalla Relatrice nel suo intervento di presentazione: “Questo genocidio non è stato evitato, né è stato fermato, perché è redditizio. C’è gente che sta facendo soldi a costo del genocidio. Un sacco di soldi”. Poi, nello stesso articolo, il passaggio che chiama in causa uno dei due fondi già citati: “A supporto delle colonie c’è una estesa rete di fornitori di sevizi finanziari, legali, pubblicitari, etc. La francese Bnp Paribas e l’inglese
Barclays sono tra i gruppi bancari più attivi nel finanziamento di Israele e delle sue politiche attraverso la vendita sui mercati di titoli di Stato israeliani a tassi piuttosto vantaggiosi per l’emittente. La tedesca Allianz e l’americana Blackrock sono tra i più importanti sottoscrittori di questi bond. Allianz, insieme alla francese Axa, è anche uno dei principali detentori di azioni ed obbligazione di aziende implicate nel genocidio di Gaza e nelle occupazioni illegali”.

Blackrock e Vanguard vengono segnalati anche nell’articolo sul rapporto Albanese pubblicato il 10 luglio da ‘Lavialibera’, rivista fondata da Libera e Gruppo Abele: “Sono stati di titoli del tesoro a sostenere il bilancio israeliano. A comprarli alcuni dei più grandi istituti finanziari al mondo, come Bnp Paribas, Barclays, Blackrock, Vanguard, Allianz Pimco. Tra le compagnie assicurative figurano Allianz e Axa. Anche i fondi sovrani, i fondi pensione e le organizzazioni benefiche basate sulla fede non sono esenti da questo elenco. Compaiono il Norwegian government pension fund e la cassa depositi e prestiti del Quebec, mentre tra gli enti di beneficenza il Fondo nazionale ebraico, i Christian Friends of Israeli Communities, la Dutch Christians for Israel e le organizzazioni affiliate che hanno sostenuto progetti nelle colonie”.

Ma c’è anche State Street

Non è tutto, però. In un articolo de ‘il Manifesto’ del 25 marzo, precedente quindi alla pubblicazione del rapporto Albanese, si fa riferimento anche ad un’altra grande società che riporta all”elenco dei principali investitori istituzionali pubblicato da Hera: State Street. “Dagli anni ’50 Tel Aviv ha ricevuto dagli Usa oltre 260 miliardi di dollari di aiuti militari. Soltanto nell’ultimo anno e mezzo, dall’attacco di Hamas del 7 ottobre- ha scritto il quotidiano- hanno superato i 20 miliardi di dollari. Israele, allo stesso tempo, è all’avanguardia nella ricerca scientifico-tecnologica militare, è uno dei maggiori esportatori di armi e contemporaneamente uno dei maggiori clienti delle americane Boeing, General Dynamics, Lockheed Martin e RTX (Raytheon Technologies). Queste società sono tra i principali fornitori di tecnologie militari, come caccia F-35, missili avanzati e sistemi di difesa aerea, utilizzati dall’esercito israeliano. Dietro queste aziende si cela una struttura finanziaria globale: i fondi d’investimento internazionali noti come le «Big Three»: Vanguard, BlackRock e State Street. I tre fondi d’investimento sono tra i maggiori azionisti di rilievo delle principali compagnie di armamenti e di molti settori. Vanguard, BlackRock e State Street detengono quote significative in Boeing, Lockheed Martin e RTX, influenzando la gestione e le strategie di queste società. L’aumento delle spese militari e l’acquisto di armamenti da parte di Israele sono strettamente collegati ai profitti di queste aziende. Lockheed Martin ha fornito i caccia F-35 a Israele, considerati un pilastro delle sue capacità militari. Gli F-35 il 26 ottobre hanno eliminato in un giorno l’80% delle difese anti-aeree iraniane. Boeing è responsabile della vendita di velivoli da combattimento e missili, mentre RTX ha fornito avanzati sistemi missilistici e difese aeree. Ogni vendita non solo rafforza l’apparato bellico israeliano ma genera anche grandi profitti. Le Big Three svolgono un ruolo di primo piano nell’alimentare una rete economica che beneficia direttamente dalle tensioni geopolitiche e militari. Mentre la popolazione civile di Gaza e Cisgiordania continua a soffrire per le operazioni militari e l’occupazione, le aziende belliche e i loro principali azionisti vedono aumentare i propri profitti grazie alle vendite crescenti di armamenti. Ecco perché si parla di complesso militar-industriale israelo-americano. Ha un preciso significato bellico, finanziario e di potere globale”.

Come continuare ad amare la bomba

Non c’è solo Israele-Palestina. Parlando di economia di guerra, ci sembra utile richiamare anche un altro tema molto delicato: le armi nucleari. Lo ha affrontato un articolo del 29 dicembre 2022 apparso su ‘Valori’, la testata giornalistica di proprietà di Fondazione Finanza Etica, promossa da Banca Etica ed Etica Sgr: “Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nel dibattito internazionale è riapparso un argomento che speravamo di avere archiviato per sempre: la minaccia nucleare. Non accadeva dalla crisi dei missili di Cuba del 1962, esattamente sessant’anni prima. Se le armi nucleari continuano a esistere è perché nove Stati le posseggono ancora. Perché decine di imprese private producono le componenti necessarie per i loro arsenali. E perché centinaia di istituti finanziari investono in tali aziende. A ricostruire i flussi di capitali che girano attorno a questo business è la campagna Don’t Bank on the Bomb mediante il report ‘Risky Returns: Nuclear weapon producer and their financiers’ (Ritorni pericolosi: i produttori di armi nucleari e i loro finanziatori), redatto dalla Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN) e dall’organizzazione non governativa Pax”. Ed ecco rispuntare ancora Vanguard, State Street e BlackRock: “La top 10 delle società finanziarie più generose verso i produttori di armi nucleari è tutta a stelle e strisce. In testa alla classifica c’è Vanguard con 68 miliardi di dollari nel 2022, di cui 11,5 a Honeywell, quasi 12 a Raytheon Technologies e poco meno di 10 a Lockheed Martin. Completano il podio State Street a quota 57 miliardi e Capital Group a quota 51. La classifica continua con BlackRock, Bank of America, JpMorgan Chase, Citigroup, Wells Fargo, Wellington Management e Morgan Stanley. Basta sommare questi dieci investitori per arrivare a 386 miliardi nel 2022, più della metà del totale degli investimenti in essere”.

ALLORA, DOVE FERMA IL TRAM?

Passiamo allora alla seconda parte di questo approfondimento. Lavorando sulla segnalazione ricevuta dal nostro lettore, infatti, è emerso un altro collegamento tra il rapporto Albanese e gli affari in corso sul territorio bolognese. Stavolta si parla della realizzazione del tram. Una questione in parte già venuta allo scoperto tempo fa, visto il coinvolgimento di Alstom nei cantieri che sono all’opera in città per posare le rotaie sia della Linea Rossa che della Linea Verde. Ma c’è di più, perchè addentrandoci nella ricerca condotta dalla Relatrice Onu abbiamo notato la presenza di un altro grande player attivo nel settore: la CAF, acronimo per Construcciones y Auxiliar de Ferrocarriles. Ovvero l’azienda a cui il Comune ha recentemente assegnato l’appalto per la fornitura dei mezzi che effettueranno il servizio lungo la tranvia.

L’instancabile Alstom

Intanto, i cantieri. I lavori per la Linea Rossa e la Linea Verde del tram, per un importo complessivo che si aggira sui 500 milioni di euro, sono stati affidati dal Comune ad un raggruppamento di imprese costituito da C.M.B. Società Cooperativa, Alstom Ferroviaria S.P.A., Alstom Transport S.A. e Amplia Infrastructures S.P.A. (già Pavimental S.P.A.). Ecco quindi che “mentre il Comune di Bologna conferma il suo impegno per l’adozione di procedure per appalti etici, emergono già, nei consorzi che hanno vinto appalti pubblici con questa amministrazione, i nomi di alcune imprese coinvolte in violazioni di diritti umani e diritto internazionale. Una di queste è il gruppo industriale francese Alstom, che opera nel settore della costruzione di treni e infrastrutture ferroviarie, attualmente impegnato nella costruzione delle linee del tram”, è la denuncia contenuta in un comunicato diffuso il 20 giugno 2024 da BDS Italia, cioè la sezione italiana per il movimento a guida palestinese per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele. Ha spiegato il BDS: “Alstom S.A. è inclusa dal 2020 nel database delle Nazioni Unite, la lista nera che elenca 112 imprese coinvolte in attività economiche nelle colonie israeliane nei Territori Palestinesi Occupati, illegali ai sensi del diritto internazionale. Nello specifico, l’azienda è inclusa in quanto società madre di Bombardier Transportation Israel Ltd., acquistata nel 2021, ed è coinvolta in relazione a due categorie di attività illegali evidenziate nel database: ‘la fornitura di servizi e utenze a sostegno delmantenimento e dell’esistenza di insediamenti, compresi i trasporti’, e ‘l’utilizzo di risorse naturali, in particolare acqua e terra, a fini commerciali’. Secondo il rapporto di Don’t Buy into Occupation (DBIO), una coalizione di 25 organizzazioni della società civile di Belgio, Francia, Irlanda, Paesi Bassi, Norvegia, Palestina, Spagna e Regno Unito, Alstom è coinvolta nella Jerusalem Light Rail (JLR), che collega le colonie illegali nella parte orientale occupata di Gerusalemme con la parte occidentale della città. Nel 2019, Alstom si era ritirata da una gara d’appalto dopo una significativa pressione da parte della società civile. Tuttavia, nel luglio 2021, Alstom è entrata a far parte di uno dei consorzi selezionati per partecipare alla gara d’appalto delle linee Blu e Viola per la Jerusalem Light Rail, che collegheranno le colonie illegali nel sud e nel nord della città, insieme a imprese israeliane incluse nella lista nera delle Nazioni Unite, come Electra Group Ltd. (nota anche per l’accordo di franchising con il gruppo francese della grande distribuzione Carrefour che ha aperto supermercati nelle colonie e offerto pacchi alimentari ai soldati dell’IDF impegnati nel genocidio a Gaza). Inoltre, attraverso Bombardier Transportation Israel Ltd., sta collaborando con Israel Railways al collegamento ferroviario tra Tel Aviv e Gerusalemme. Il treno attraversa la linea verde nella Cisgiordania occupata in due aree, utilizza illegalmente terreni palestinesi pubblici e privati nei territori occupati per un progetto di trasporto israeliano a beneficio esclusivo dei cittadini israeliani”.

Prosegue il comunicato del BDS: “Alstom ha diversi altri contratti in Israele. Tra questi la costruzione delle linee di metropolitana leggera Haifa – Nazareth e Linea Verde di Tel Aviv, sempre in consorzio con Electra Group Ltd. Naturalmente, con l’ipocrisia che contraddistingue la maggior parte delle imprese, Alstom nel suo Codice Etico afferma di rispettare i Principi Guida delle Nazioni Unite in materia di imprese e diritti umani e la legislazione internazionale sui diritti umani. Il caso di Alstom è un esempio di come, in assenza di politiche etiche di appalto e di impegno a rispettarle, aziende notoriamente coinvolte in violazioni di diritti umani e diritto internazionale possano impunemente trarre profitto da appalti pubblici, finanziati dalle tasse dei cittadini. Sicuramente Alstom non è l’unica impresa con questo background ad avere appalti con amministrazioni pubbliche, come il Comune di Bologna o la Regione Emilia-Romagna. Per questo è urgente che Comune e Regione introducano misure adeguate per l’attuazione dell’ordine del giorno votato dal Consiglio Comunale il 22 aprile e della risoluzione approvata dall’Assemblea Legislativa Regionale l’11 giugno. In attesa che tali misure siano attivate al più presto per gli appalti futuri, Comune e Regione dovrebbero prendere in considerazione azioni per interrompere i contratti in essere con aziende che risultassero coinvolte nelle violazioni di diritti umani e diritto internazionale. Da parte nostra, continueremo a denunciare i crimini e le complicità di queste aziende e a chiedere che vengano escluse dagli appalti”.

Una vicenda, quella che riguarda Alstom, che ha trovato voce anche nelle strade della città. Alla fine dello scorso agosto, ad esempio, è comparsa questa scritta sulle protezioni del cantiere del tram in via Corticella: “Free Gaza, Alstom complice genocida”. Non era la prima volta che accadeva. Sempre sullo stesso cantiere una scritta simile era stata tracciata qualche settimana prima e altre frasi dello stesso tenore erano comparse in precedenza anche in zona stadio.

Viaggiate comode/i sui vagoni CAF

Una volta che le rotaie del tram saranno pronte, serviranno i veicoli. “Il Comune ha aggiudicato la gara per l’accordo quadro per la fornitura di 60 tram destinati alla nuova rete tranviaria di Bologna. La fornitura è stata aggiudicata all’azienda spagnola CAF, leader a livello mondiale per la costruzione di materiale rotabile ferrotranviario”, ha segnalato Palazzo D’Accursio con un comunicato stampa del 4 ottobre 2024, specificando: “La gara, svoltasi con procedura aperta, sopra soglia europea, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa basato sul miglior rapporto qualità prezzo, è stata aggiudicata all’aziendaspagnola CAF (CONSTRUCCIONES Y AUXILIAR DE FERROCARRILES S.A.) uno dei fornitori internazionali leader in questo campo, la cui offerta ha ottenuto un punteggio complessivo pari a punti 86 sui 100 massimi assegnabili, e che ha offerto un ribasso pari al 3,30% sull’importo globale a base di gara. Nell’ambito dell’accordo quadro, della durata di sei anni e il cui valore complessivo ammonta a 237,88 milioni di euro al netto di IVA, verranno stipulati specifici contratti applicativi per dare progressiva attuazione alla fornitura dei veicoli”.

Ma CAF, come anticipato, compare anche nel rapporto di Albanese: “Quando si passa alla fase di ricostruzione dei territori espropriati, i nomi citati nel rapporto sono quelli della tedesca Heidelberg, che fornisce i materiali edili e della spagnola Construcciones Auxiliar de Ferrocarriles”, ha segnalato ‘il Fatto Quotidiano’ il 3 luglio. Leggendo direttamente il dossier della Relatrice Onu: “Diverse aziende hanno contribuito allo sviluppo delle infrastrutture stradali e di trasporto pubblico fondamentali per la creazione e l’espansione delle colonie e per collegarle a Israele, allo stesso tempo escludendo e segregando i palestinesi. L’azienda spagnola/basca Construcciones Auxiliar de Ferrocarriles ha aderito a un consorzio con una società, inserita nella banca dati delle Nazioni Unite, per la manutenzione e l’espansione della ‘Linea Rossa’ della metropolitana leggera di Gerusalemme e la costruzione della nuova ‘Linea Verde’, in un momento in cui altre aziende si erano ritirate a causa delle pressioni internazionali. Queste linee comprendono 27 chilometri di nuovi binari e 53 nuove stazioni in Cisgiordania, che collegano le colonie con Gerusalemme Ovest. Sono stati utilizzati escavatori e macchinari Doosan e Volvo, mentre la filiale di Heidelberg ha fornito i materiali per un ponte della metropolitana leggera”. Il Database Onu, spiega Albanese nel rapporto, elenca le imprese che “direttamente o indirettamente hanno reso possibile, facilitato e tratto profitti dalla costruzione e dall’espansione degli insediamenti”. E caso vuole che si parli di Linea Rossa e Linea Verde anche nel caso di Gerusalemme.

LE PROMESSE DEL COMUNE SUGLI “APPALTI ETICI”

Vale la pena approfondire, allora, il tema degli “appalti etici” a cui già si è accennato nei paragrafi precedenti. Bisogna tornare ad un ordine del giorno approvato dal Consiglio comunale nell’aprile 2024: per la cronaca, prima dell’affidamento della fornitura dei tram alla CAF. Il Consiglio, dunque, con questo ordine del giorno invitava il sindaco Matteo Lepore ad adottare “una politica di appalti etici (Pae) che tenga conto del coinvolgimento degli offerenti e dei membri della sua entità economica in gravi violazioni dei diritti umani e/o del diritto internazionale (ad esempio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità) e che consenta quindi al Comune di escludere tali soggetti”. Posizione da portare anche “in sede di discussione del rinnovo del Protocollo appalti”. La richiesta era inserita in un documento presentato da Coalizione civica e licenziato all’unanimità (ma in realtà le opposizioni non erano in aula: presente solo un consigliere di Fdi, che votò a favore). Nell’odg non si fa riferimento a specifici contesti, ma la stessa Coalizione civica su Facebook collocò il documento nella scia dell’iniziativa che negli stessi giorni in Comune, non senza polemiche, aveva visto protagonista Omar Barghouti, co-fondatore del movimento BDS: “Era il 20 febbraio quando abbiamo invitato Barghouti a Palazzo D’Accursio. Dalle sue parole, abbiamo raccolto l’appello a lavorare ad un atto di indirizzo politico di carattere universale, che andasse nella direzione di escludere dagli appalti del Comune le aziende che con la loro attività di siano rese essere complici della violazione dei diritti umani, ovunque esse siano e di qualsiasi provenienza esse siano”. Un principio generale, quindi, “che vale tanto per le eventuali complicità con i crimini dello Stato israeliano contro la popolazione palestinese- scrisse Coalizione civica- quanto per le guerre e le violazioni dei diritti umani in tutto il mondo: l’invasione russa in Ucraina, l’assedio turco contro lapopolazione kurda del Rojava per citarne solo due”.

La questione affrontata nell’odg, poco tempo dopo, fu discussa anche in un incontro tra il coordinamento cittadino “Bologna per la Palestina” e l’allora capo di gabinetto del Comune, Matilde Madrid. Era il 4 giugno 2024, sempre prima dell’affidamento CAF. Il confronto riguardò “i passi concreti che l’amministrazione comunale intende intraprendere per un’effettiva attuazione di politiche etiche in materia di appalti per lavori, forniture e servizi”, riferirono gli attivisti in un comunicato: “Questo incontro era stato richiesto dal coordinamento in seguito all’approvazione da parte del Consiglio comunale nella seduta del 22 aprile 2024 dell’Ordine del Giorno in cui si invitavano Sindaco e Giunta ad attivarsi per introdurre misure che consentano di escludere dagli appalti imprese coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani e/o del diritto internazionale. Nell’incontro abbiamo appreso con soddisfazione che il Comune ha già intrapreso alcune verifiche con i propri servizi per individuare le misure giuridico-amministrative necessarie per adottare le politiche di appalti etici ed ha intenzione di procedere su questo percorso con determinazione. La delegazione di Bologna per la Palestina ha affermato la disponibilità a contribuire costruttivamente a questo percorso, condividendo anche eventuali informazioni sulle buone prassi di istituzioni pubbliche italiane e europee riguardo alle politiche di appalti etici. Auspicando che il Comune di Bologna persegua senza esitazioni l’impegno a garantire il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale da parte di tutte le imprese con cui intrattiene rapporti commerciali, abbiamo convenuto di incontrarci con regolarità per monitorare l’avanzamento del lavoro”.

Pochi giorni dopo, l’11 giugno 2024, sempre la rete delle realtà bolognesi vicine alla causa palestinese segnalò che il nodo appalti era venuto allo scoperto anche in Regione: “Il coordinamento cittadino ‘Bologna per la Palestina’ accoglie con grande favore l’approvazione di una risoluzione per l’adozione di una politica di appalti etici da parte dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna. La risoluzione, approvata nella seduta dell’11 giugno, impegna la Giunta ‘ad adottare, da parte della Regione Emilia-Romagna e degli Enti controllati, gli appalti etici al fine di tenere conto di eventuali violazioni dei diritti umani e/o del diritto internazionale da parte degli operatori economici e quindi di escludere tali soggetti in fase di valutazione delle offerte’ e ‘a inserire il requisito etico legato al rispetto dei diritti umani nel ‘Protocollo d’Intesa tra Regione Emilia-Romagna e Cgil-Cisl-Uil ER in materia di legalità e appalti’. Insieme all’ordine del giorno del Consiglio Comunale approvato il 22 aprile, questa risoluzione presentata da Europa Verde, che ringraziamo per questo risultato, indica un esempio che altre amministrazioni pubbliche possono seguire per sostenere concretamente i diritti umani e il diritto internazionale. Questi risultati sono il frutto di un percorso di lavoro avviato dal coordinamento cittadino ‘Bologna per la Palestina’, che riunisce oltre 40 associazioni, e di un confronto con alcun* consiglier* sensibili a questo tema. L’adozione di politiche etiche di appalto costituisce una scelta di principio giuridicamente fondata da parte delle amministrazioni pubbliche, in linea con le norme indicate nei principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani. Queste stesse norme richiedono che gli stati e le amministrazioni pubbliche, compresi i consigli comunali, promuovano il rispetto dei diritti umani da parte di tutte le imprese con cui conducono transazioni commerciali. Si pongono così le basi per l’esclusione di aziende complici del regime israeliano di colonialismo, occupazione militare e apartheid, responsabile del genocidio in corso a Gaza e di violazioni che durano da oltre 75 anni nell’impunità più assoluta. Diverse città in Europa e nel mondo, incluse Gent, Verviers e Liège (Belgio), Oslo, Barcellona, Bélem (Brasile), Derry e Strabane (Irlanda), Hayward (USA), hanno già adottato misure simili che puntano a colpire le complicità con i crimini di Israele. Come nel caso del Comune di Bologna, che ha confermato il suo impegno ad attuare al più presto una politica di appalti etici, continueremo a fare pressione sulla Regione Emilia-Romagna affinché vengano effettivamente introdotte in tempi brevi le misure necessarie per applicare le richieste della risoluzione approvata e a vigilare perché nessuna azienda complice dei crimini di Israele sia ammessa a partecipare ad appalti. Invitiamo gruppi e associazioni solidali con la lotta del popolo palestinese a intraprendere percorsi simili in tutta Italia, coinvolgendo rappresentanti di istituzionilocali e amministrazioni pubbliche, per introdurre misure che mettano fine alle complicità con i crimini di Israele e impongano il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale”.

E INTANTO PALAZZO D’ACCURSIO PREMIA FRANCESCA ALBANESE

Come interessante coronamento di quanto riportato finora, infine, ci sembra utile notare come lo stesso Comune di Bologna che ha strettissimi rapporti con Hera e ne detiene l’8,4% delle azioni, nonchè lo stesso Comune che ha affidato un appalto milionario alla CAF, di recente abbia deciso di conferire la cittadinanza onoraria proprio a Francesca Albanese: questo “per il suo impegno nella tutela del diritto internazionale e nella difesa dei diritti umani, per aver denunciato con rigore e indipendenza le responsabilità di Stati, aziende e individui nei crimini contro il popolo palestinese, contribuendo a riaffermare quello che dovrebbe essere il primato del diritto sulla forza, principi condivisi dal Comune di Bologna”. La delibera è stata approvata il 6 ottobre con 25 voti favorevoli (sindaco, Pd, Coalizione civica, Lepore sindaco, Anche tu conti) e nove contrari (Fdi, Lega, gruppo misto, Bologna ci piace, Fi), come segnalato dalla stessa amministrazione in un comunicato stampa.

Il pronunciamento del Consiglio comunale ha incontrato accese polemiche, sia da parte della destra che nel campo dello stesso centrosinistra, favorite anche dalle affermazioni fatte da Albanese in occasione del ritiro un analogo riconoscimento a Reggio Emilia e poi durante una trasmissione televisiva. Ma il sindaco Lepore ha difeso pubblicamente la decisione di conferire la cittadinanza alla Relatrice Onu, insistendo proprio sul tema dell’economia di guerra. “Ho votato a favore di una proposta arrivata dopo una discussione. Albanese è una rappresentante delle Nazioni unite”, ha affermato Lepore ai microfoni di ‘Radio 24’, aggiungendo che inquadrare la sua vicenda solo nel dibattito nazionale significa commettere “il solito errore. Purtroppo la politica e i media italiani fanno di tutto quello che succede nel mondo qualcosa di veramente grottesco”. Albanese è “una persona che, tra le prime, ha denunciato il genodicio e anche l’economia della guerra. Cosa significa? Quelle aziende- ha sintetizzato Lepore- che supportando l’esercito e il Governo israeliano hanno fornito armi o supporti tecnologici. E’ un punto importante perchè se non avessimo avuto lei e altre voci, anche la società civile europea che è scesa in piazza, l’unico racconto che avremmo della follia che sta succedendo a Gaza sarebbe quello del governo Netanyhau, del governo Trump o dei Governi che sostengono unilateralmente Israele”. In un’intervista a ‘Ètv’, poi, il sindaco ha riconosciuto di non aver apprezzato alcuni “scivoloni mediatici” di Albanese, ma in ogni caso l’idea della cittadinanza onoraria parte dal suo ruolo “come rappresentante Onu per il conflitto in Medioriente, in particolare come relatrice della procedura che ha portato a riconoscere il genocidio e l’economia di guerra, cioè l’elenco delle imprese che hanno dato supporto economico e tecnologico a Israele”.

Intanto, però, come ci fa notare il lettore che ha inviato la segnalazione sulle azioni Hera, i mega-fondi che contribuiscono a finanziare l’economia di guerra israeliana investono anche nella multiutility che sul territorio bolognese gestisce il servizio idrico o la raccolta dei rifiuti pagata con la Tari versata al Comune, la stessa multiutility a cui tantissime/i cittadine/i di questo territorio pagano le bollette del gas o della luce. Mentre un’altra grande società come CAF riceve centinaia di milioni dal Comune, cioè soldi pubblici, per vendere i tram che attraverseranno la città. Segno che quanto accade a Gaza o in Cisgiordania è più vicino a noi di quanto possa sembrare. Per fortuna, questo lo hanno dimostrato anche le straordinarie piazze che a Bologna come altrove si sono riempite di solidarietà, vera, per il popolo palestinese.