Comunicato conclusivo del convegno organizzato dal Cesp e dal Coordinamento Precari della Scuola di Bologna, che oggi sono a Roma per manifestare davanti al Miur.
Comunicato conclusivo del convegno
“Scuola libera dal mercato, scuola libera dal precariato” (Bologna, 8 aprile 2014)
Dalle relazioni che hanno contribuito a ricostruire il quadro storico e l’attualità della condizione dei precari della scuola pubblica e dal dibattito che ne è seguito sono emerse alcune riflessioni e proposte di rivendicazioni che ci sentiamo di condividere.
Siamo convinti che ci troviamo vicini ad un momento di cambiamento. Non crediamo alla propaganda di Renzi che promette grandi assunzioni, mentre conferma la sudditanza dell’Italia alle politiche di austerità che ci chiedono di tagliare la spesa pubblica per ridurre il debito dello Stato italiano di 40 miliardi ogni anno per i prossimi 20 anni. Né pensiamo che i ricorsi fatti in sede europea da soli riusciranno a farci ottenere l’assunzione che già da tempo ci siamo meritati sul campo. Sapevamo già che la nostra precarietà è sfruttamento e che non c’è alcuna altra motivazione valida a mantenere una persona per decenni in questa condizione se ogni anno quel lavoro è necessario alla sopravvivenza della scuola.
Non possiamo dire, ancora, se questo cambiamento sarà o meno positivo, ma lo vediamo arrivare. Lo vediamo nella pressione dei numeri che crescono (500000 precari della scuola come riportato nelle Linee programmatiche del Ministro Giannini dello scorso 27 marzo), ma anche in quelli che diminuiscono (130000 tra insegnanti e ATA tagliati dalla Gelmini): una sproporzione enorme che rischia di diventare ingestibile per il Ministero, ma che potrebbe anche trasformarsi in un grande bacino da cui attingere lavoratori sempre meno pagati e garantiti. Un cambiamento che sta scritto nei tentativi di ogni Ministro dell’istruzione di modificare il sistema di reclutamento e formazione.
Siamo convinti anche che questa trasformazione stia arrivando come l’onda lunga dei cambiamenti che la scuola e il lavoro degli insegnanti hanno vissuto per anni e che i tagli della Gelmini hanno solo accelerato. Serve, infatti, alla scuola-miseria postgelmini un docente ancora più flessibile e adattato alla didattica dei quiz standardizzati che permettono di seguire centinaia di alunni con un monte ore settimanale aumentato. Ed è necessario a chi ci governa che i futuri docenti accettino la propria precarietà come un privilegio rispetto a chi è ancora più precario. Di certo molti sperano che tutti noi alla vigilia di questi cambiamenti aspettiamo docili nell’attesa di ottenere l’osso prima degli altri.
Non possiamo oggi dire con certezza quale sarà l’esito di questo cambiamento, sappiamo, però, che si può affrontare il problema attuale della precarietà in due modi: o con il superamento di questa forma di sfruttamento attraverso l’assunzione di tutti i precari che attualmente lavorano nella scuola, oppure con la trasformazione futura di tutti i docenti in lavoratori precari grazie alle diverse forme di assunzione diretta da parte dei presidi: concorsi per contratti triennali, concorsi per reti di scuole, utilizzo di esperti esterni, albi regionali, ecc…
Di fronte a questo scenario, la nostra divisione è come sempre la loro arma più potente, perciò occorre tentare di avviare la ricomposizione dei tanti pezzi di precariato della scuola che troppo spesso finiscono per dimenarsi in una lotta con i propri colleghi. Per farlo crediamo che sia necessario unire le diverse e legittime battaglie delle varie tipologie di precariato in alcune rivendicazioni comuni.
Innanzitutto, l’investimento nella scuola statale non può essere ridotto e vincolato alle logiche di riduzione della spesa pubblica che sono tra le cause del perdurare della crisi economica e che non hanno altro motivo di esistere se non quello di giustificare il mantenimento e l’accentuazione di questa condizione di sfruttamento di tutti i docenti e del personale ATA.
Chiediamo piuttosto che la scuola statale Italiana venga rifinanziata riportando la spesa per l’istruzione in rapporto al PIL almeno ai livelli in cui era prima del 1992 (ovvero 7% del PIL contro l’attuale 4%) e quindi ad un livello paragonabile agli altri paesi europei.
Questa opera di rifinanziamento vogliamo che passi innanzitutto per l’assunzione di tutto il personale precario, perché la prima e più importante risorsa per la scuola sono le persone che ci lavorano. Dato che lo Stato ha utilizzato il nostro lavoro anche per decenni, appare evidente che questo lavoro è essenziale al funzionamento dell’Istituzione pubblica e dato che la popolazione scolastica (seppur con lievi variazioni) è ormai costante intorno agli 8 milioni di studenti, è altrettanto evidente che non esistono giustificazioni alla mancata assunzione del personale precario.
Pretendiamo, quindi, che il MIUR riconosca che se ci ha assunti e ci ha riconosciuto l’abilitazione all’insegnamento era perché riteneva di aver bisogno del nostro lavoro. Quindi chiediamo una immediata sanatoria di questa condizione insostenibile di sfruttamento che non ha uguali in Europa.
Questa assunzione di massa rappresenterebbe una vera e propria inversione di tendenza rispetto alle capacità dello Stato di rispondere alle esigenze educative del nostro tempo, perché si verrebbe a costituire un organico ampio della scuola che sarebbe in grado di dare una risposta alla richiesta di più scuola che viene dalla società e di affrontare le principali necessità aggiuntive rispetto al normale insegnamento di cattedra, come i corsi di recupero e potenziamento, il tempo pieno, la progettazione didattica, le compresenze, la sostituzione di colleghi, eccetera.
Per quanto riguarda infine il reclutamento e la formazione degli insegnanti siamo convinti che debba essere invertita la logica dominante dell’ultimo ventennio. Da quando si è avviato il percorso delle S.S.I.S., infatti, il MIUR si è impegnato in un’opera di ulteriore scollamento tra il percorso della formazione degli insegnanti e il loro reclutamento, come se non fosse sempre lo stesso Ministero a far aumentare gli abilitati da un lato e dall’altro a restringere le assunzioni, facendo crescere a dismisura il numero di chi legittimamente aspira ad un posto di insegnante a tempo indeterminato. Si tratta di un esercito di riserva che, con tutta evidenza, potrà rendersi disponibile anche per le scuole private, qualora lo Stato diminuisca ancora il suo impegno (come sarebbe facilmente prevedibile in caso di rispetto degli obblighi di bilancio imposti dall’Europa dell’austerità).
La radice della precarietà sta tutta qui, in questa doppia faccia del Ministero, mentre non ci sarebbe alcuna reale esigenza di lavoro precario, se fossero invertiti gli ordini del problema: non più formazione e reclutamento, ma reclutamento e quindi formazione. Noi crediamo, infatti, che, una volta sanata l’attuale situazione di sfruttamento, il MIUR dovrebbe assumere i suoi docenti in base alle esigenze di personale tra i laureati che escono dalle sue Università e che dovrebbe riconoscere a questi lavoratori neoassunti, come ai lavoratori degli altri settori, il diritto ad un periodo di formazione retribuita, senza obbligo di docenza, nel quale svolgere il percorso di abilitazione richiesto all’insegnamento. In questo modo il percorso di abilitazione rientrerebbe, come è giusto, nel diritto alla formazione e all’aggiornamento dei lavoratori.
Torniamo in piazza a chiedere il rispetto per chi lavora, per la Costituzione della Repubblica fondata sul lavoro e per la scuola Statale che ha bisogno di docenti e personale stabile.
Chiediamo, quindi, innanzitutto l’assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari della scuola!
E lo faremo da venerdì 11 aprile, giorno dello SCIOPERO DEI PRECARI DELLA SCUOLA, partecipando alla manifestazione che si terrà a Roma davanti al MIUR alle ore 10.
Cesp – Centro Studi per la Scuola Pubblica e Coordinamento Precari Scuola Bologna