Ieri, intanto, nello spazio di via San Giacomo è iniziato il Timelapse Festival che prosegue anche oggi e domani: “Torniamo ad attraversare le strade e le piazze della nostra città e le aule della nostra università riempiendole di contenuti altri e di saperi costruiti dal basso”, spiega il Cua.
“Un mese di occupazione– segnala un comunicato diffuso da Split – Spazio Per Liberare Il Tempo– e ancora silenzio, ma i nostri problemi sono ancora gli stessi! Noi non ci fermiamo! È passato un mese dall’occupazione di Split e nessuna presa di posizione è arrivata, nè dall’attuale governance universitaria, nè dalle candidate al futuro rettorato”. Per questo ieri le/gli attiviste/i sono andate/i ad affiggere sui muri di Palazzo Paleotti “le rivendicazioni che ci hanno portato ad occupare, che sono frutto di problematiche e sofferenze che ancora stanno sulla nostra pelle e per cui la governance universitaria non sta muovendo un dito. Un anno di gestione dell’emergenza da Covid-19 da parte dell’Unibo ne ha messi in evidenza i più o meno latenti limiti, che durante un anno del genere, come mai prima hanno reso la vita di tante studente un inferno, fatto di sacrifici, di rinunce, di ritorni alla città d’origine, di ansia, di stress, di competitività. Per questi motivi la Piazza Studio Autogestita – che da oltre un anno si muoveva per la zona universitaria per evidenziarli – si è trasformata un mese fa nell’esperienza dell’occupazione di Split. Ciò che ci stupisce (e purtroppo non così tanto!) è la totale indifferenza a ciò che qui dentro si è creato e che intendiamo riuscire a portare fuori dagli spazi di Split: modi differenti di vivere e costruire il sapere, di stare insieme, che non contemplino né il nichilismo, né la militarizzazione, né la svendita degli spazi urbani e pubblici. E oggi (ieri, ndr) siamo tornate a ribadirlo laddove dovrebbero esserci le personalità che paventano la vicinanza alle studente, ma che invece ci hanno lasciato in un silenzio assordante che, però, siamo qui per colmare con le nostre voci”.
Proprio a Split, intanto, ieri è iniziato anche il Timelapse Festival, promosso dal Cua, che così lo presenta: “#timelapse è una tecnica cinematografica nella quale la frequenza di cattura di ogni fotogramma è inferiore a quella di riproduzione; a causa di questa discrepanza il tempo, nel filmato, sembra scorrere più velocemente del normale. Guardiamo all’ultimo anno delle nostre vite e quello che sentiamo è che questo tempo non ci è appartenuto. Un infinito appiattito in un secondo: intanto che lo vivevamo, ogni istante è stato una fatica, una sofferenza, ma ora ci ripensiamo e quello che vediamo è riassumibile in pochi attimi, i ricordi, le esperienze, la nostra vita si può sintetizzare in un timelapse. Il tempo che abbiamo perso, che ci hanno sottratto, non può esserci restituito, ma quello che abbiamo davanti, d’ora in poi, vogliamo riconquistarlo. Quest’anno nasce #timelapse, festival della zona universitaria bolognese. Torniamo ad attraversare le strade e le piazze della nostra città e le aule della nostra università riempiendole di contenuti altri, di saperi costruiti dal basso, riappropriandoci del significato che questi spazi hanno e devono avere per noi. Siamo stanche di sottostare all’invisibilità a cui UniBo cerca di ridurci, già da prima della pandemia ma ora sempre di più. Siamo stanche di sottostare ai ritmi produttivi che ci vengono imposti, di vivere l’Università come un non-luogo composto solamente da esami, lezioni, svuotato del senso che invece ha una vita da studente universitarie a tuttotondo, fatta di esperienze che ora non ci è consentito vivere e di spazi che ora non ci è consentito attraversare. Tutto quel mondo che l’Università per noi ha sempre rappresentato, con la pandemia è stato considerato sacrificabile. La nostra salute psicologica è stata considerata sacrificabile, il nostro benessere, non solo fisico, tutto ciò che non spostava l’ago della bilancia del profitto è stato considerato sacrificabile. Per noi però non lo è e non lo è mai stato, ed è anche per questo che sentiamo l’esigenza di restituire una nuova vitalità a questi spazi e ai nostri percorsi al loro interno. Rifiutiamo il sapere che è reso merce, comprato e venduto in una costante competizione tra chi lo genera. Rifiutiamo la conoscenza che diventa competenza, utile e finalizzata. Rifiutiamo la normazione e la normalizzazione, desideriamo conquistare lo spazio per restituirlo ai saperi ribelli, controcorrente, costruiti dal basso ed in base alle nostre necessità. Ciò che vogliamo è dare spazio a maestranze, studente, libraie, giocoliere, scrittrici, artiste, musiciste che in questo anno sono state dimenticate, abbandonate e insieme a loro le loro arti, i loro desideri, i loro tempi, i loro spazi, i loro bisogni. Essere voci e corpi in movimento, in strada, in piazza, in università. Pensiamo che sia il momento di tornare ad attraversare la città in maniera differente: né nichilismo, né menefreghismo, ma neanche militarizzazione, chiusure e silenzi. Reimmaginarci e reimmaginare, a partire da noi, la zona universitaria si mostra sempre di più come un’impellenza non più rimandabile. Ci riprendiamo il tempo e lo spazio!”.
La prima giornata del festival, ieri, si è svolta con la presentazione a Split del numero di Zapruder dedicato ai 20 anni dal G8 di Genova, intitolato “Zona rossa”. Oggi, invece, il programma prevede dalle 15 l’evento “Piazza letteraria” in piazza Verdi, dedicata alla memoria di Sante Notarnicola, “poeta e bandito che questa pandemia ci ha strappato via, lasciando un vuoto incolmabile se non tramite la lettura delle sue opere”. Già dal mattino, intanto, sono apparsi tavoli e panche per la “piazza studio autogestita”. Domani, infine, il festival si sposterà nei giardini di via Filippo Re per una discussione dal titolo “Pandemia, tra ecologia e transfemminismi”.