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“Panebianco razzista”, blitz a Scienze politiche [foto]

Vernice rossa sulla porta dell’ufficio dopo un editoriale sul Corriere, Hobo: “Finita l’impunità dei baroni complici dello sfruttamento”. Sconnessioni precarie, ieri: “Ecco gli illusionisti del capitale”.

14 Gennaio 2014 - 16:16

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#PaneBIANCO #cuoreNERO #portaROSSA

“Fuori i baroni razzisti dall’università”: siamo andati a gridarlo e imprimerlo sui muri della scuola di Scienze Politiche, contro il prof. Angelo Panebianco, barone dell’UniBo, ideologo neoliberista, editorialista di una pericolosa organizzazione criminale, il Corriere della Sera.

Dopo l’articolo di chiaro stampo schiavista e razzista apparso ieri (vedi il comunicato qui sotto), questa mattina a mezzogiorno quasi un centinaio di student@ e precar@ indignat@ e alcuni lavoratori della logistica in lotta si sono radunati nel cortile di Scienze Politiche per affermare che nell’università non c’è spazio per figure di questo tipo. Il barone Panebianco ha tentato di provocare il presidio che lo contestava, sostenendo presuntuosamente le sue ragioni e pretendendo un “confronto”, come se non fossero sufficienti i palcoscenici di cui quotidianamente dispone nell’accademia e sui media! Ebbene sì, noi rifiutiamo e neghiamo la parola ai razzisti e a chi è tra i responsabili delle condizioni di precarietà e impoverimento che quotidianamente viviamo. Panebianco scrive che bisogna farla finita con la tolleranza e l’accoglienza: per questo ti espelliamo. Nessuna libertà per lo sfruttamento e i suoi ideologi! Dopo circa mezz’ora di presidio e comunicazione, che ha raccolto la partecipazione e la solidarietà di tante e tanti, un nutrito corteo si è diretto davanti all’ufficio del barone Panebianco, a cui è stato dato un foglio di via dall’università. La sua porta è stata ricoperta di vernice rossa, a simboleggiare quel sangue dei migranti e dei soggetti colpiti dalla crisi di cui figure come Panebianco sono responsabili.

Con l’iniziativa di oggi vogliamo dire in modo chiaro che è finita l’impunità dei baroni, dei complici dello sfruttamento e dei corrotti protagonisti della dismissione dell’università. In Argentina chiamano escrache le manifestazioni contro i criminali della dittatura militare, la pratica è stata ripresa negli Stati Uniti e in Spagna contro i responsabili della crisi e gli ideologi dell’1%. A partire da qui questa campagna inizia anche nell’Università di Bologna: ufficio per ufficio, lezione per lezione.

Apriamo al contempo un dibattito pubblico contro queste posizioni, per produrre collettivamente un altro ordine del discorso radicalmente alternativo a quello di cui si fanno portatori i servi del pensiero neoliberale. Chiediamo anche una presa di posizione allargata di docenti, ricercatori e lavoratori dell’università, perché un’altra università bisogna iniziare a costruirla subito. E in questa università per i razzisti proprio non c’è posto.

Hobo – Laboratorio dei Saperi Comuni

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#paneBIANCO fai schifo!

L’infame editoriale oggi (ieri, ndr) apparso sul Corriere della Sera del professor Panebianco si commenta (quasi) da solo: un disgustoso cocktail di ideologia razzista e ideologia dello sfruttamento, che ovviamente  è portatore di conseguenze estremamente materiali per chi tutti i giorni ne subisce l’applicazione.

In realtà, non siamo affatto sorpresi: la linea politica di PaneBIANCO è in perfetta sintonia e continuità con le politiche istituzionali dello Stato, quotidianamente implementate sulla pelle dei migranti. Inoltre, conosciamo bene l’Università di Bologna e sappiamo altrettanto bene che questi sono gli insegnamenti dei vari Baroni che la gestiscono.
Per il momento e in questa sede, al Professore della Razza e del Lavoro, vogliamo dire soltanto due cose:

1) il problema della scarsità è il paravento discorsivo di chi detiene il privilegio. La cooperazione annichilisce questa vuota retorica e mette a valore l’abbondanza (ed anche gli economisti capitalistici più raffinati ne sono a conoscenza, nonostante ce lo tengano nascosto).

2) siamo d’accordo sul rifiuto dell’etica. Infatti, la nostra unica “politica della convenienza” in materia di migrazione è il libero incontro tra gli esseri umani, assolutamente più produttivo (e felice) di qualsiasi criterio di selezione, razziale o meritocratico-individualista che sia.

3) siamo ben consapevoli che la proposta di favorire l’ingresso di quei lavoratori e lavoratrici migranti “meritevoli” che possono integrarsi più di altri ha tutto il sapore della sfruttamento razzista a cui le élite di questo paese ci hanno abituato sin dalla sua fondazione.
Il resto che abbiamo da dire lo esprimono le lotte, che distruggeranno il vostro sporco privilegio e le spazzeranno via ogni sua copertura ideologica.

Vogliamo però, per una volta, prendere il Barone Panebianco sul serio. Allora sì, almeno su una cosa ha ragione: basta con la tolleranza, diamo il foglio di via dall’università i docenti nelle mani di pericolose organizzazioni criminali come Confindustria e il Corriere della Sera.

#Panebianco fai schifo, studenti/esse e precari/e ti espellono!

Hobo – Laboratorio dei saperi comuni

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Gli illusionisti del capitale e il nero pane del realismo

Una delle più rilevanti testate giornalistiche nazionali ci ha offerto, oggi, illuminanti consigli per gli acquisti, proponendo modalità di selezione degli immigrati adeguate a un paese conomicamente avanzato come l’Italia. Una «politica realista», ci viene detto, è quella della
«convenienza» anziché dell’«accoglienza». Una volta che si sia dissipata la nebbia delle statistiche «fraudolente» che gonfiano i livelli di disoccupazione giovanile includendovi gli studenti, sarà possibile stabilire opportunamente la «domanda» di forza lavoro, una merce tanto preziosa quanto scomoda, «attraendo» immigrati con qualifiche specializzate, che trovino impiego in quei settori che i giovani indigeni lasciano vuoti. In questo modo si eviterebbe anche che la manodopera scarsamente qualificata finisca nel sotterraneo mondo dell’impiego illegale, notoriamente gestito dalla criminalità. Poche ma essenziali indicazioni per stabilire una politica che finalmente si lasci alle spalle l’universalismo che spetta alla Chiesa e a qualche obsoleta ideologia laica e per affermare con forza il particolarismo di uno Stato che deve rendere conto solo ai propri contribuenti.

Sono lontani i tempi in cui gli ideologi del capitale avevano un certo rigore e con perizia piegavano le statistiche alla loro verità. Qui la perizia non è di casa e l’invocazione dell’agire razionale assomiglia a un vero e proprio illusionismo. Con toni tanto più spettacolari quanto più risuonano dalla cattedra si invoca l’interesse dei contribuenti.

Giustissimo! Il calcolo razionale vorrebbe che i migranti fossero tra i principali beneficiari di ciò che spetta ai contribuenti, visto che proprio loro contribuiscono in percentuali assai importanti alle casse dello Stato. Qualche losco individuo accecato dalle logiche dell’accoglienza potrebbe sospettare che forse neppure ai contribuenti «nativi» spetti poi tanto, in un’Italia che è così avanzata economicamente da mettere i suoi laureati al lavoro in settori scarsamente qualificati, o che li costringe a emigrare per trovare un’occupazione che corrisponda al loro grado di formazione. Si tratterebbe però di una supposizione fraudolenta, priva di realismo. Dobbiamo crederci se a dircelo è uno scienziato politico. Stupisce che non sia mai passato per Prato e non ne abbia mai sentito parlare, visto che è convinto che il lavoro nero riguardi solo la criminalità organizzata e non abbia niente a che fare con la fiorente imprenditoria degli appalti e dei contoterzisti, nota in tutto il mondo per la sua irreprensibilità.

L’operazione di trasformare i migranti in «ladri di welfare», oltre che di lavoro, gode comunque di un certo prestigio europeo, al punto che ormai non è più necessario essere extracomunitari per essere espulsi da un paese dell’Unione. Non c’è neppure bisogno di essere neri o di professare religioni lontane dal cattolicesimo che, dopo essere stato liquidato in nome della necessaria separazione tra i fini della Chiesa – l’accoglienza – e quelli dello Stato – la convenienza –, improvvisamente torna a essere la religione di questo Stato. La magia degli illusionisti del capitale non conosce confini! Nonostante l’accusa d’ipocrisia rivolta a tutti coloro che la pensano diversamente, nonostante la pretesa inquietante di avere una percezione unica di cosa è reale, d’illusionismo si tratta. Chiunque abbia una conoscenza anche generica delle politiche migratorie attuali potrebbe persino dubitare che tanta scienza politico-giornalistica si fondi su di un’effettiva competenza. L’approccio che pretende di imprimere a fuoco il marchio dell’utilità sulla pelle della forza lavoro immigrata, trasformandola in una merce importata con tutti i certificati e tutte le garanzie preventive, sta mostrando ovunque i propri limiti. Gli uomini e le donne sono una merce strana e non accettano volentieri di farsi marchiare, nemmeno se gli scienziati politici vogliono convincerli che lo impone il calcolo razionale. Per questo, gli Stati reali, non quelli di carta immaginati su un foglio di giornale, devono quotidianamente fare i conti con migranti che si muovono in tutto il mondo nella più totale indifferenza verso quanto sostenuto dagli illusionisti del capitale. Per questi ultimi questo fatto è amaro quanto un boccone di pane nero. Per noi si tratta solo di realismo.

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