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Palestina / YoGaza, un arrivederci tra solidarietà e resistenza

La seconda parte del diario di YoGaza e Acrobatics4Gaza: “Yoga, trapezio e tessuti non erano mai entrati nella striscia. Per come sono loro, in tempo record diventeranno dei master anche in queste discipline”.

29 Marzo 2016 - 16:40

> Day 8: saluti negati.

Foto FB Moving To GazaLunedì 28 marzo – Ci rendiamo conto troppo tardi che non aver baciato e abbracciato Abud, prima di arrivare al border, ci sarebbe costato il fatto di poterlo salutare solo con una stretta di mano. Impossibile da credere, ma non è permesso salutarsi con un abbraccio amichevole e sincero, non è possibile baciarsi le guance, tenersi stretti per un po’ e raccomandarsi di mantenere i contatti, scriversi presto, mandarsi le foto, non in pubblico almeno. Non ci resta che congedarsi dal nostro nuovo amico con una fredda, ma sincera, stretta di mano.
Comincia la trafila dei controlli assieme ad una pioggia inaspettata e torrenziale. Meglio penso io, così le lacrime non si vedono, si perdono fra le gocce e nessuna di noi chiede nulla a nessuna. Sappiamo come ci sentiamo, seppur senza parlarne.

Ad Erez, dopo essere tutte passate per controlli ordinari e body scanner, una di noi viene trattenuta per diverse ore, spogliata ed interrogata. Molto sospetto risulta per loro che sia già stata a Gaza e soprattutto passando per l’Egitto. Entrando ad Erez sembrava di entrare in 1984 di Orwell. Il suono della pioggia sembrava il suono della grande macchina da scrivere che riscrive la storia del mondo e, vedendo quell’esagerazione di sfiducia e paranoia, ho pensato che la polizia leggesse anche nel pensiero. Mitra, sguardi seri, coercizione, attesa, le stesse domande fatte più volte da agenti diversi e finalmente via, dopo 4 ore di blocco. Tutti questi controlli sottendono una gran paura di morire e per questo provo compassione.

Arrivate a Betlemme, noi che resteremo ancora un po’ in West Bank, nonostante sia mattina, non abbiamo energia che per dormire. Piano piano crolla addosso tutta la stanchezza degli ultimi 9 giorni.
Gaza alle spalle e mille idee per far si che questa esperienza continui anche se non siamo più li.
Yoga, trapezio e tessuti non erano mai entrati nella Striscia. Ne avevano sentito parlare e avevano visto dei video, ma mai prima avevano lavorato con degli insegnanti. Per come sono loro in tempo record diventeranno dei master anche in queste discipline.
Grazie!!!!

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YoGaza (parte 2)

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> Day 7: l’ultimo giorno.

Foto FB Moving to GazaDomenica 27 marzo 2016 – Ultimo giorno dentro la Striscia, domattina si partirà all’alba in direzione del border di Erez. Alcune di noi devono essere in aeroporto entro le 11.30 e sarà una vera corsa contro il tempo, considerando che tutti ci dicono che uscire da Gaza richiede più tempo e più controlli che entrarci. In ogni caso uscire il giorno prima avrebbe significato perdere un giorno di lavoro e questo nessuna di noi l’ha minimamente preso in considerazione. Purtroppo o per fortuna oggi la nostra ombra sono un cameraman ed una giornalista della Rai Gaza. Entriamo ed usciamo super scattanti dai centri sportivi e dalle associazioni, su e giù dal nostro pulmino in tenuta sportiva, con la telecamera che ci precede sempre ed un po’ ci sentiamo le spice girls del campo profughi.
È bene che si porti l’attenzione sulle attività del Centro italiano di scambi culturali -Vik e sui giovani che fanno parte dei suoi progetti, è giusto che si dica che ci sono internazionali che riescono ad entrare a Gaza come volontari per condividere esperienze e conoscenze, ma a noi mette un po’ a disagio l’occhio scrutatore del giornalista, soprattutto se ti sposta a destra, a sinistra, avanti ed indietro per rendere la tua vita un po’ più interessante a livello cinematografico. Tiranno è il tempo in questa esperienza ma non abbiamo perso un secondo, yoga, acrobatica, socialità, amicizia, chiacchiere, ci siamo confrontati sulle nostre vite e ci siamo dati stimoli a vicenda per crescere un po’ più forti ed aperti. Venire a Gaza è un’esperienza per pochi perchè le restrizioni sono tante, ma più e più persone devono muoversi e lottare per entrare qui. Vivere la Striscia è veramente importante per capire chi sono quelle persone che il mondo chiama terroristi. Sono i bambini col mocciolo al naso, le donne pudiche che arrossiscono per un sorriso, sono le persone che ti invitano sempre a mangiare un dolcetto o bere un tè, sono i giovani che volano con gli skateboard e quelli che hanno da poco imparato a fare graffiti con le bombolette, sono i ragazzi e le ragazze delle palestre di arti marziali che ogni giorno si allenano, o i ragazzetti che a 12 anni lavorano coi loro carretti o nel negozio di papà. Sono i profumieri che vogliono “freerun the world” e si impegnano ad imparare un po’ di italiano per farti sentire che ti vogliono bene. Veniamo invitati ad assistere ad una esibizione di dabka, la danza popolare palestinese, che subito dopo la salita al potere di Hamas nel 2006 era stata dichiarata illegale. La musica allontana dalla preghiera, conduce alla perdizione e la danza, che prevede che uomini e donne si tocchino in pubblico, è considerata promiscua, contraria alle leggi di Dio, quindi da proibire. Per fortuna non aver rinunciato alla passione per le proprie tradizioni, ha permesso alla gente di Gaza di riappropiarsi di quella piccola libertà di esprimersi attraverso la danza, che altro non fa che celebrare la voglia di vivere e di far festa con la musica. Indossare il velo copricapo a Gaza non è obbligatorio, è una scelta. Sicuramente le donne che non lo fanno, se non aderiscono ad una religione diversa da quella islamica, devono impegnarsi a resistere al giudizio dei ben pensanti culturalmente conservatori, in alcuni casi devo opporsi al volere delle famiglie, subire gli sguardi invadenti degli uomini per strada. Ciononostante resta una scelta, di comodo o autodeterminata, comunque una scelta. Passiamo le ultime ore libere con i nostri amici del Gaza Parkour Team, del Fonon Martial Arts di Kanyunis, del Gaza Circus School di Shagiayye ed i nostri angeli custodi, autisti, consiglieri Jimmi ed Abud. Mancherete tutti e tutte. Il mal di Gaza esiste e noi ci prepariamo a vivercelo. Nodo alla gola, lacrime agli occhi, sorriso degli amici, le donne, i bambini nel cuore, movimento nel corpo, Gaza nei pensieri.

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> Day 6: ascolto, pazienza, resistenza.

Foto FB Moving To GazaSabato 26 marzo 2016 – Le regole del gioco sono davvero poche. A Gaza non si entra e non si esce. È bene ribadirlo perché quando hai 26 anni, sei un mostro del parkour e ti invitano a Las Vegas ad una competizione che potrebbe cambiarti la vita e non c’è nessunissima possibilità di uscire da quel border, devi avere ben chiaro cosa ti spezza le ali mentre vorresti spiccare il volo. La tua terra, il tuo stato, quello che ti rilascia un passaporto pressochè inutilizzabile è sotto occupazione da parte dell’esercito israeliano e tu, che non hai tanta voglia di pensare alla politica, ma vorresti dormire sospeso in aria (cit.), non puoi che fare i conti con la realtà. Se perdi la speranza e la fiducia sei fregato, muori dentro e di te resta ben poco. Allora cominci a prenderti cura dei ragazzi più giovani, sperando fortemente che per loro un giorno possa essere diverso.

Lo yoga non è uno sport, è un’arte, una disciplina antica che da sempre accompagna gli individui in quel lungo percorso che è la vita. È una ricerca esistenziale per rispondere ai dubbi e alle difficoltà. È un tentativo di crescita attraverso l’ascolto di se stessi nella parte più assopita, aperta e profonda dello spirito.

Al termine della lezione dedicata alle giornaliste gazawi, una donna ha confessato ad Oriana di essersi sentita molto in colpa per non essersi presa cura di se stessa per tutta la vita.
Yoga come disciplina che insegna a creare il tempo per portare l’attenzione verso l’interno, in contatto col respiro, per trasformarsi in un canale che canalizza energia in direzione verticale, dalla terra verso il cielo ed in espansione fino ai confini dell’universo. Staticamente, in attesa che le sensazioni del corpo si depositino sul fondo, lasciando spazio alla vera natura dell’immaginazione di esprimersi, anche attraverso un meritato e piacevole silenzio.

La paura, il dolore, l’ansia, che sono sensazioni spiacevoli, possono attraverso la meditazione, divenire il pretesto per mettersi in ascolto del propio corpo. Ascolto, pazienza, resistenza, superando la reazione esplosiva per arrivare alla reazione più sincera ed umana.

Per la prima volta la classe di acrobatica è stata dedicata alle donne. C’è molto separatismo fra i due sessi e per ragioni culturali non è conveniente mostrarsi in tenuta sportiva o senza velo copricapo davanti a dei maschi, solo all’ interno delle mura domestiche e con i familiari mostrarsi non è considerato tabù.
We love Gaza even if we don’t understand it sometimes!

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> Day 5: il venerdì è festa.

Gaza City - FB Moving to GazaVenerdì 25 marzo 2016 – Venerdi nei paesi islamici è giorno di festa, come la domenica lo è nei paesi cattolici. L’università è chiusa, così come le palestre e per noi significa un giorno di riposo per preparare nuove lezioni e guardarci un po’ attorno, conoscere gente e capire un po’ meglio il quotidiano della Striscia. Nelle giornate di festa, a Gaza city, si riversano persone da tutte le città ed i quartieri della Striscia per visitare mercati, passeggiare al porto o bersi un caffè sulla spiaggia. Le strade sono imbottigliate dal traffico, clacson, pedoni, macchine in terza fila, rotonde prese in controsenso, nessuno che dà la precedenza a nessuno, pedoni che si gettano in mezzo alle macchine per attraversare e noi, che in questo momento siamo nove in quest’auto, sette adulti e due bambini.

Di matrimoni oggi ne avremo contati almeno dieci e di solito, secondo la tradizione, uomini e donne non festeggiano insieme. Gli uomini affittano furgoni o camion col cassone aperto, ci salgono su in tanti, con musicisti e strumenti e cantano e danzano mentre girano per la città. Una banda di scatenati su ruote.
Al porto, assieme a Meri del centro italiano di scambi culturali Vik, incontriamo i ragazzi e le ragazze che col centro hanno collaborato per questo o quel progetto e che sono in questi giorni impegnati a preparare il Carnival, ovvero un festival di diversi talenti, in diverse discipline, come parkour, ninja, karate, rollerblade, skateboard, acrobazie a cavallo ecc.

La giornata volge presto al termine, la preparazione è stata intensa, domani ci aspetta il penultimo giorno di lavoro qui a Gaza. La pre-nostalgia comincia già a farsi sentire. Usciremo da qui e non sappiamo se mai ci rientreremo, se fra un mese sentiremo parlare dei nostri nuovi amici al telegiornale perché sarà scoppiata l’ennesima guerra, non sappiamo se mai potranno venire in Italia a studiare quello che amano, se potranno mai realizzare i loro sogni, se qualcosa cambierà nella vita di questa gente, se l’assedio verrà mai rotto e se Israele e l’Egitto apriranno mai quei maledetti valichi che soggiogano e strozzano la vita di questa gente, che ovviamente chiede solo il diritto di vivere una vita normale.

Grazie Gaza per tutti i sorrisi, le foto, le traduzioni fatte a caso, gli autisti spericolati, l’umorismo, l’accoglienza, grazie per il senso di libertà e di vita vera che ci fai sperimentare, grazie per averci insegnato che le prime e più alte barriere sono nella testa.

We love Gaza, we stand with Gaza.

Yo-Gaza e Acrobati-Gaza per Moving to Gaza 

> La prima parte del diario: qui