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Palestina / Aumenta la colata di cemento dei coloni israeliani

Secondo i dati ufficiali israeliani, lo scorso anno le costruzioni sono incrementate del 40%. Con Netanyahu, dal 2009, sono sorte nella sola Cisgiordania 14 mila nuove case per coloni.

28 Marzo 2017 - 18:58

(Da Nena News

Quanto era già visibile girando in auto tra Cisgiordania e Gerusalemme est ed era comprensibile leggendo i continui annunci di espansione coloniale fatti da rappresentanti del governo israeliano nel corso dell’ultimo anno, ora viene confermato dai numeri.

Ieri il Central bureau of statistics israeliano ha pubblicato i dati relativi all’ampliamento degli insediamenti israeliani nei Territori occupati nel 2016: rispetto al 2015 l’incremento nelle costruzioni è del 40%. Lo scorso anno sono state costruite 2.630 unità abitative per coloni, 700 in più rispetto al 2015.

A commentare i dati è l’associazione israeliana per i diritti umani Peace Now: “Il secondo più alto numero degli ultimi 15 anni”. Il record è del 2013 quando in 12 mesi ne furono costruite 2.874. La media annuale dal 2001 ad oggi si attesta così sulle 1.790 unità abitative per coloni.

Ad accendere i riflettori sulle politiche espansioniste dell’attuale governo di destra guidato dal premier Netanyahu sono i dati riferiti al suo mandato: dal 2009 quando è stato eletto primo ministro la sola Cisgiordania ha subito la costruzione di oltre 14 mila case per coloni. Numeri estremamente preoccupanti che non tengono conto dei più recenti annunci, seguiti all’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca: fin dal giorno successivo all’insediamento le autorità di Tel Aviv hanno annunciato l’approvazione di piani di costruzione per 6 mila unità abitative nei Territori e la creazione di una nuova colonia, iniziativa che non veniva presa da 25 anni.

A ciò si aggiunge la sanatoria per gli insediamenti colonici considerati illegali anche dallo Stato di Israele e che con la legge approvata all’inizio dell’anno dalla Knesset saranno legalizzati.

Dopotutto il governo Netanyahu lo ripete a ogni piè sospinto: nessuno può impedire a Israele di costruire dal mar Mediterraneo al fiume Giordano. Nessuno pare intenzionato a fermarlo: l’ultima risoluzione Onu, la 2334 del 23 dicembre scorso, che condanna l’espansione coloniale e che aveva ricevuto l’astensione Usa invece del solito veto, è ampiamente disattesa, grazie all’impunità di cui gode Tel Aviv.

Un’impunità che è stata di nuovo protagonista la scorsa settimana quando un rapporto dell’agenzia Escwa dell’Onu è stato stracciato dallo stesso palazzo di Vetro. Ieri quel rapporto è stato impugnato da una delegazione di paesi arabi di fronte al segretario generale Guterres, considerato il responsabile dell’affossamento della relazione che accusava Israele di perpetrare politiche di apartheid contro il popolo palestinese e di aver istituzionalizzato l’oppressione razziale e la dominazione della popolazione palestinese nel suo insieme.

L’ambasciatore palestinese all’Onu, Riyad Mansour, insieme ai rappresentanti di Iraq e Oman , ha parlato di “bullismo e intimidazione” compiuti da Israele per costringere l’Onu a ritirare il rapporto, che – cassato – ha spinto Rima Khalaf, capo dell’agenzia Escwa, alle dimissioni per le indebite pressioni subite: “Teniamo alle Nazioni e al segretariato generale – ha detto Mansour – e non accettiamo metodi che non sono parte della cultura delle Nazioni Unite”.