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Opinioni / “Perché di violenza non si muoia, ma neanche si viva”

Mujeres Libres: il ddl sul femminicidio “un ridicolo specchietto per le allodole, che da una parte distoglie l’attenzione dai tagli drastici al welfare, dall’altra permette di far passare in sordina politiche securitarie”.

25 Novembre 2013 - 11:25

Alcune considerazioni sul DDL sul femminicidio, a lato del 25 novembre

Nei media:

Femminicidio, violenza di genere, stalking…. Solo alcuni anni fa il significato di queste parole era sconosciuto a molti. Adesso, invece, non c’è settimana in cui non si legga sui giornali di un caso di violenza domestica o extra-domestica. E’ forse un fenomeno nuovo, attualmente in espansione? Nient’affatto, semplicemente se ne inizia a parlare. Bene, si direbbe, finalmente. Ma in che termini ne parlano i media? Come di un fenomeno emergenziale, legato soprattutto ad alcuni prototipi di uomo-carnefice, solitamente straniero o portatore di culture “altre”.

Non se ne parla, purtroppo, come di un fenomeno strutturale, presente da millenni nella nostra cultura. Una cultura cattolica, patriarcale e machista, che da sempre mette le donne in una posizione di sottomissione e che solo negli ultimi tempi sta lentamente (ma molto lentamente…) iniziando a cambiare. I media tendono a portare la violenza di genere sul giornale solo quando la donna è morta, stuprata o gravemente ferita. Non parlano mai delle migliaia di donne che ogni anno si sollevano e si liberano da una relazione di violenza: morte si ribelli mai. Ben venga che si parli di questo triste fenomeno, ma i mezzi di informazione non brillano di inventiva e in poco l’immagine di una donna che perde sempre si è rinforzata il che sicuramente non aiuta in un cammino emancipatorio.

La narrazione mediatica della violenza tende da una parte a creare una concezione della donna eterna vittima, incapace di ribellarsi e dall’altra a non concepire la violenza in quanto tale se non portata allo stremo. Probabilmente, se si parlasse un po’ di più della violenza di genere “comune”, che sia fisica, psicologica, economica, e la si condannasse al pari di ciò che si fa per il femicidio, si contribuirebbe a trasmettere una condanna della violenza tout court e non solo nei casi più gravi. Si limiterebbe, in altre parole, l’idea che “in fondo uno schiaffo ogni tanto non è violenza” e che “se vai in ospedale, allora, è un’altra cosa”. Si inizierebbe a diffondere l’idea che spesso, prima dell’ospedale, c’è proprio quell’intimidazione o quello schiaffo visto da molti come irrisorio incidente di percorso.

Il nuovo Ddl:

In questo contesto si inserisce il nuovo Disegno di Legge approvato dal parlamento, provvedimento che inserisce alcune timide ma significative novità per quanto riguarda la violenza di genere. Novità che vanno a toccare tre fronti: quello giuridico, quello dell’intervento culturale educativo e quello dell’intervento socio-assistenziale. Anche qui “Bene!” si direbbe. Ma anche qui c’è qualcosa che tocca.

Prima fra tutte il fatto che all’interno dello stesso Ddl, oltre a quelli in materia di violenza di genere, siano presenti provvedimenti volti a colpire chi lotta sui territori. Nel disegno di legge, infatti, si istituisce la possibilità di utilizzare militari per servizi di vigilanza a siti e obiettivi sensibili, tra i quali il cantiere dell’Alta Velocità di Chiomonte. Risulta lampante come ancora una volta un tema quale quello della violenza di genere sia stato utilizzato in modo strumentale per far passare politiche repressive e securitarie.

Il Ddl pone inoltre l’accento su quanto all’interno della scuola, la violenza di genere sia un tabù e di come sia indispensabile una formazione del corpo docente che abitui gli insegnanti a parlare di violenza con i/le bambin*. Oltre agli/le insegnanti il Ddl punta ad intervenire sulla formazione degli operatori dei media. Tutto ciò su carta sembra un bel passo avanti: finalmente a scuola si parlerà di femminicidio, sperando, ovviamente, che la formazione in questione sia fatta da persone competenti, che non propongano una concezione di donna quale vittima impotente e che offrano strumenti concreti a insegnanti spesso impreparati ad affrontare le situazioni di violenza che sfiorano all’interno delle aule scolastiche.

Peccato che sono proprio le politiche sociali la scuola a subire gravissimi tagli: il tempo pieno è sempre più un lusso di pochi e l’attività in compresenza è ormai inesistente. La scuola pubblica dove ancor oggi, nel 2013, è in programma l’ora di insegnamento della religione cattolica, determinando una tale ingerenza vaticana nel campo dell’istruzione che diventa difficile prescinderne. Nella scuola quindi viene quotidianamente legittimata una cultura cattolica fortemente patriarcale e machista che ci chiediamo come possa non influenzare la formazione culturale e, conseguentemente, la percezione della violenza domestica di bambini e bambine. Dall’altra gli stessi tagli eliminano metodicamente tutte le opportunità educativo-culturali che un* bambin* può trovare al di fuori della scuola stessa. Ci si riferisce, ovviamente, alle opportunità offerte dal pubblico: centri di aggregazione, doposcuola, centri sportivi a costo ridotto… rimangono, invece, ben salde le opportunità offerte dalla Chiesa, che, come dicevamo prima, di certo non fanno della denuncia della violenza di genere un loro cavallo di battaglia.

Centri antiviolenza e welfare per tutt*:

Il disegno di legge stabilisce anche un potenziamento dei centri anti-violenza, definendo un piano operativo che si svilupperà tra il 2014 e il 2020 ; viene anche determinato un fondo da destinare a tale incremento. Questa sarebbe una buona intenzione, che contrasta però con i continui tagli al welfare operati dal governo. Una delle basi che permettono alle donne di uscire da una situazione di violenza è la possibilità di poter contare su un’indipendenza economica. Reddito, casa, servizi sono infatti elementi che fanno la differenza nel momento in cui si deve decidere di rompere una relazione. Il centro antiviolenza, per quanto sia un ottimo ente di supporto psicologico e materiale, non basta. Servono reddito (da lavoro o meno), case, servizi sociali di qualità, trasporti gratuiti, asili e doposcuola per i/le bambin*, pensioni. Se si ha un lavoro serve che non sia precario, che ci si possa fare affidamento. In caso contrario ad una donna vittima di violenza mancheranno in molti casi gli elementi materiali indispensabili per uscire da una relazione violenta.

Ddl, pene carcerarie e razzismo di Stato:

Dal punto di vista giuridico il Ddl pone l’obiettivo di velocizzare l’iter processuale, favorendo un intervento tempestivo dei servizi sociali. Servizi sociali che però, come dicevamo prima, sono sempre più privi di risorse e con l’acqua alla gola e che quindi non si capisce come possano rispondere a tutte le situazioni di violenza che vengono denunciate.

L’iter processuale, inoltre, risulta spesso lungo perché in Italia c’è un cronico ingolfamento di processi legati a reati per il consumo di droga (legge Fini-Giovanardi) e per reati di clandestinità (legge Bossi-Fini). Probabilmente l’eliminazione di tali reati, di per sé non lesivi dell’altrui libertà né dell’altrui benessere, aiuterebbe a dare un ordine di priorità che vedrebbe la donna vittima di violenza non più obbligata a convivere per mesi e anni con la presenza del suo aguzzino libero e in attesa di processo.

Ovviamente non riteniamo la detenzione carceraria la migliore soluzione per un uomo autore di violenza, anzi. Critichiamo le carceri, in particolare quelle italiane, sovraffollate e connotate da una microsocietà interna fortemente gerarchizzata e patriarcale che non sono certo luoghi idonei all’interno dei quali proporre a chi ha fatto violenza di genere un percorso di recupero e ripensamento su se stesso. Neanche il Ddl, d’altronde, si pone il problema di come affrontare nel concreto tanto la prevenzione, quanto la presa in carico dell’uomo violento.

Vengono previste nel disegno di legge la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione dall’Italia per gli accusati di violenza, anche prima di una condanna definitiva. Per quanto non pensiamo vadano fatti sconti agli autori di violenza ci sentiamo di denunciare questa come una pratica discriminatoria. Tanto un immigrato non deve pagare di più, quanto un italiano non deve pagare di meno. La violenza di genere è un fenomeno trasversale e non ha nazionalità. Ancora una volta sembra che in questo Ddl il governo si faccia schermo con la campagna contro la violenza di genere per far passare provvedimenti razzisti e discriminatori. Sui corpi delle donne non si fa razzismo!

Più welfare e meno grandi opere:

In conclusione il disegno di legge porta al suo interno una serie di elementi positivi che vorrebbero mettere in primo piano il tema della violenza di genere ma che inserito in un insieme di tagli al welfare lo rendono in buona parte obsoleto, perché nei fatti le politiche del governo stanno togliendo alle donne tutti quei diritti che le rendono libere di scegliere. Risulta perciò un ridicolo specchietto per le allodole, che da una parte distoglie l’attenzione dai tagli drastici al welfare, dall’altra permette di far passare in sordina politiche securitarie e repressive che rendono ancora più difficile e rischioso lottare contro decisioni prese dall’alto che riempiono di soldi le tasche di pochi devastando i territori.

Ci credono forse tutte cieche e sorde… noi non lo siamo! La mossa non gli è riuscita!

Serve un welfare di qualità per contrastare la violenza di genere! Tutti i tagli alla cultura, all’educazione e ai servizi sono complici dei femminicidi! E non basta un Ddl per fermare la lotta in Val di Susa!

 

*Il titolo è liberamente ispirato da uno slogan di Scarceranda

 

Collettivo Femminista Mujeres Libres Bologna