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Opinioni / Note da #BlockupyFrankfurt

Ripubblichiamo da Uninomade 2.0 un commento di Sandro Mezzadra: “E’ in fondo il problema dell’Europa, di una nuova dimensione europea delle lotte e dell’azione dei movimenti, quello che ci viene così consegnato dalle giornate di Francoforte”.

23 Maggio 2012 - 17:44

Note da Blockupy Frankfurt

di SANDRO MEZZADRA

1. This is what democracy looks like

L’appuntamento, giovedì 17 maggio, è nella Paulsplatz, un luogo carico di significati nella storia politica tedesca. Qui (nella Paulskirche) si riunì dopo la rivoluzione di marzo l’assemblea costituente del 1848, che promulgò la prima Costituzione tedesca prima di essere travolta dalla reazione. Molti tra i manifestanti che si avviano alla spicciolata verso la piazza tengono ben in vista il testo di un’altra Costituzione, quella tedesco-federale del 1949, oppure portano cartelli che ne richiamano gli articoli sui diritti fondamentali. Da due giorni Francoforte sta in effetti vivendo in un grottesco stato d’assedio, con la conseguente sospensione dei diritti fondamentali, primo fra tutti quello di manifestare e di esprimere liberamente il dissenso, in teoria (e per evidenti ragioni) fortemente tutelato in Germania. Anche il concentramento nella Paulsplatz, convocato da una coalizione di associazioni per la difesa dei diritti fondamentali, è stato vietato. E quando in piazza ci ritroviamo in un paio di centinaia, la polizia chiude tutti gli accessi. Ogni volta che qualcuno prende la parola con il megafono, gli altoparlanti della polizia ripetono che ogni manifestazione è vietata, soffocando con la potenza dei decibel la voce della protesta.

Un paio d’ore dopo, mentre in altre parti della città gruppi di manifestanti vengono circondati dalla polizia, molti sono fermati e allontanati da Francoforte, nella piazza centrale della città (il Römer) riescono a radunarsi due – trecento persone. Viene montata qualche tenda, ed è subito chiaro che la polizia non tollererà questo estremo oltraggio. Dopo un paio d’ore migliaia di poliziotti circondano la piazza, intervengono con decisione sollevando da terra ogni singolo manifestante e portandolo via dalla piazza. Ancora, sono molti e molte a mostrare la Costituzione ai poliziotti, ma questi ultimi non sembrano farci caso. La situazione è surreale: un gigantesco apparato di polizia, gran dispendio di adrenalina da parte degli uomini (e delle donne) in divisa, bambini e anziani trascinati via, qualcuno si fa male. Tutto per sciogliere un sit-in.

Scene che si ripetono il venerdì, anche se la polizia non riesce a impedire che un gruppo di manifestanti occupi un piccolo spazio di fronte alle transenne erette a protezione della sede della Banca Centrale Europea. La pressione della polizia continua a essere asfissiante, ma chi è riuscito ad arrivare fin qui può consolarsi alla vista del quartiere finanziario di Francoforte apparentemente paralizzato. E comincia a circolare un primo bilancio, che sarà ripreso dallo storico quotidiano liberale della città, la “Frankfurter Rundschau”, dopo la manifestazione del sabato: i banchieri hanno chiuso le banche, la polizia ha bloccato la città…

Sensazioni contrastanti, alla fine delle prime due giornate che ho passato a Francoforte: da una parte le cose stanno così, la ricaduta mediatica è decisamente positiva, non saranno pochi a scrivere anche su giornali mainstream che Blockupy Frankfurt ha vinto. Agli scenari apocalittici costruiti dalla polizia per giustificare l’imponente dispositivo di sicurezza (costato cinque milioni di euro, una bella cifra anche per la Germania) si sovrappongono le immagini di donne anziane trascinate via dal Römer da agenti bardati da robocop. Qualcuno ironizza sull’indignazione della Cancelliera Merkel per la violazione dei diritti umani in Ucraina… Dall’altra parte, la sensazione è quella di aver partecipato a una messa in scena e al tempo stesso a un esperimento. Non poteva esserci rappresentazione più efficace, nel cuore finanziario dell’Europa, di quella divaricazione tra capitalismo e democrazia che costituisce uno dei temi di fondo della crisi che stiamo vivendo in questa parte del mondo. La crisi di legittimità del capitalismo dentro la crisi economica si è palesata a Francoforte in tutta la sua potenziale violenza, con una sorta di anticipazione sperimentale di quello che potrà avvenire se anche la tenuta del celebrato “modello tedesco” comincerà a vacillare.

“E’ questa la democrazia”, scandivano i manifestanti nelle piazze di Francoforte. Uno slogan dal doppio significato: la “vostra” democrazia è lo stato d’assedio poliziesco; la “nostra” democrazia è quella “reale” delle acampadas e del movimento occupy, è quella che si nutre della resistenza e delle lotte dentro e contro la crisi. Non eravamo molti a Francoforte, giovedì e venerdì: diversi pullman sono stati fermati all’entrata in città e rimandati in dietro, il clima di paura creato nelle settimane precedenti ha avuto certamente una sua “efficacia”, e ogni volta che ci si muoveva si avvertiva fisicamente il senso del limite che ci era imposto dalla presenza della polizia. Ma la determinazione e perfino la gioia di chi c’era esprimevano la consapevolezza di essere parte di un movimento ben più grande, che sta materialmente costruendo un orizzonte di radicale alternativa alla crisi.

2. A-anti-anticapitalista

La giornata di sabato comincia presto, con riunioni e preparativi per il corteo, l’unica manifestazione autorizzata tra tutte le iniziative programmate dalla coalizione Blockupy Frankfurt. Quando arriviamo al concentramento, è subito chiaro che sarà un grande corteo. Dalla regione di Francoforte, da tutta la Germania, da diversi Paesi europei stanno arrivando pullman e treni. Ci sono le bandiere di Attac e della Linke, pezzi di sindacato (soprattutto di quello dei servizi, verd.di), militanti anti-nucleari, ci sono soprattutto molti giovani e giovanissimi. L’atmosfera è serena, gioiosa, ma c’è anche molta preoccupazione: la polizia, ripetono un po’ tutti, cercherà la provocazione, farà di tutto per ottenere “immagini” che giustifichino lo stato d’assedio di questi giorni, che in qualche modo cancellino quelle di giovedì al Römer…

E’ quello che accade ripetutamente durante il corteo. Quando si forma lo “spezzone anti-capitalista”, la polizia lo accerchia, tenta di rompere i cordoni e soprattutto di spezzare in due la manifestazione. Ma questa volta l’operazione non riesce: la risposta è sempre determinata, mentre Attac e la Linke, che sono dietro e davanti allo “spezzone anti-capitalista”, rifiutano ogni tentativo della polizia di praticare nella piazza la separazione dei manifestanti “pacifici” da quelli “violenti”. Il corteo percorre per ore le strade di Francoforte e arriva compatto fino alla piazza dove è prevista la sua conclusione. Oltre venticinquemila manifestanti (numeri tedeschi, non italiani, dunque reali) danno un senso diverso alle azioni dei giorni precedenti, e soprattutto rappresentano un’ottima base su cui fare una scommessa politica sul futuro del movimento Blockupy in Germania.

“A-anti-anticapitalista” è lo slogan scandito continuamente durante il corteo, all’inizio dai cordoni dello “spezzone anti-capitalista” (il più folto numericamente), poi un po’ da tutti. Uno slogan un po’ “basic”, certo, ma che acquisisce un significato preciso alla luce di quanto accaduto a Francoforte la scorsa settimana e più in generale dentro la crisi europea: la “democrazia reale” delle acampadas e del movimento occupy non può che qualificarsi materialmente dentro la lotta anti-capitalista. Se assistiamo oggi in Europa, come si diceva poc’anzi, a una tendenziale divaricazione tra capitalismo e democrazia, la reinvenzione della democrazia – lungi dal potersi collocare sul terreno della “pura politica” – non può che passare attraverso la critica radicale del capitalismo.

3. Solidarität

Fin da quando ha cominciato a circolare la proposta di Blockupy Frankfurt ho pensato che la cosa realmente importante in quella proposta, la ragione per cui valeva comunque la pena di esserci, era propriamente il fatto che la mobilitazione si svolgesse a Francoforte. La riapertura di un’iniziativa di movimento in Germania mi sembrava infatti (e continua ovviamente a sembrarmi) essenziale dal punto di vista delle lotte in Europa. La rottura del consenso di cui continua a godere il “modello tedesco”, lo sviluppo di conflitti e iniziativa politica attorno alle crepe evidentissime che lo caratterizzano quanto meno dalla “riforma” degli ammortizzatori sociali varata dal governo rosso-verde (la cosiddetta Hartz IV), la politicizzazione della precarietà ormai molto diffusa soprattutto tra i giovani sono passaggi essenziali per la costruzione e il consolidamento di uno spazio europeo delle lotte. Non si tratta, ovviamente, di negare che la crisi ha in Germania un impatto radicalmente diverso rispetto ad altri Paesi europei. Al contrario, penso che la ricostruzione della geografia della crisi, dell’eterogeneità delle sue modalità di manifestazione e dei suoi effetti in diversi contesti (tanto in Europa quanto a livello globale), sia uno dei compiti più urgenti di fronte a cui ci troviamo. Ma questa “cartografia dell’eterogeneità” degli effetti della crisi non può che combinarsi con una comprensione della sua dinamica sistemica, della base di interdipendenza su cui si dispiega. In particolare in Europa.

Da questo punto di vista, le giornate di Francoforte rappresentano indubbiamente, come scrivono i compagni e le compagne della Interventionistische Linke (http://www.dazwischengehen.org/), “un inizio”. La partecipazione europea è stata significativa, pur nella situazione di emergenza in cui ci siamo trovati a muoverci ci sono stati importanti momenti di discussione che hanno coinvolto attivisti/e di diversi Paesi. Non si può tacere tuttavia che la comunicazione è stata difficile anche nelle settimane precedenti, con il continuo proporsi di problemi di “traduzione”: in senso letterale (banalmente la gran parte dei materiali che circolavano tanto prima quanto durante le giornate di Blockupy Frankfurt era solo in tedesco) ma anche in un senso più largo, relativo cioè alla difficoltà di tradurre non solo linguaggi, lotte, culture e pratiche diverse ma anche esperienze profondamente eterogenee della crisi. Per certi aspetti, si può dire che la differenza del più recente ciclo di lotte nei confronti del movimento globale di inizio secolo (il suo essere maggiormente “radicato” in situazioni specifiche) si è tradotta a Francoforte in un arretramento rispetto al lavoro di rete e alla militanza sul livello “transnazionale”. A me pare che sia un punto su cui cominciare da subito a lavorare, sia per quel che riguarda la concreta costruzione di ambiti transnazionali di discussione e di organizzazione sia per quanto riguarda il problema più generale degli “spazi” di azione politica oggi.

Da questo punto di vista, la retorica della “solidarietà” (“al popolo greco, al popolo spagnolo, al popolo italiano”…), maggioritaria tanto nella preparazione quanto nel corso delle giornate di Francoforte, appare decisamente problematica. Da una parte ripropone un linguaggio (quello dell’internazionalismo proletario) che oggi – lungi dal poter essere riattivato nei suoi termini classici – indica semmai il terreno su cui è necessario far lavorare la forza-invenzione dei movimenti e del lavoro teorico; dall’altra parte subisce, limitandosi a rovesciarla meccanicamente nei termini appunto della “solidarietà”, la rappresentazione dei rapporti di forza all’interno dell’Unione Europea. E’ il senso della dislocazione oggi necessaria, dell’invenzione di un nuovo spazio comune delle lotte e dei movimenti che finisce così per essere offuscato.

4. Blockupy Europe

E’ in fondo il problema dell’Europa, di una nuova dimensione europea delle lotte e dell’azione dei movimenti, quello che ci viene così consegnato dalle giornate di Francoforte. E’ dentro questa dimensione, come abbiamo ripetuto molte volte, che si può (e si deve) sperimentare da subito la combinazione di un radicamento delle lotte dentro specifici ambiti metropolitani con la costruzione di uno spazio in cui queste stesse lotte possano moltiplicare la loro forza e cominciare a costruire elementi di programma politico alternativo. Sono consapevole del fatto che questa è soltanto l’enunciazione dei termini di un problema, non certo la sua soluzione. Ma è un’enunciazione di cui occorre rivendicare in primo luogo il realismo politico: è solo attraverso la capacità di dislocare le lotte dentro una dimensione europea che possiamo opporci efficacemente alla crescita delle destre vecchie e nuove e al loro tentativo di “occupare” gli spazi e le retoriche della sovranità nazionale; ed è solo dentro la dimensione europea che possiamo puntare a costruire un rapporto di forza favorevole con il capitale finanziario. A Francoforte, anche da questo punto di vista, abbiamo partecipato a un nuovo “inizio”, ne abbiamo intravisto le potenzialità e le difficoltà. Già nelle prossime settimane, di fronte al precipitare dei tempi della crisi attorno alla questione greca, non mancheranno le occasioni per metterci alla prova.

(da Uninomade 2.0)