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Opinioni / La Grecia, le lotte sociale e l’attesa del messia

Riceviamo e pubblichiamo un commento sui fatti ellenici di questi mesi: “Fuori da aule universitarie e studi televisivi. donne e uomini che realmente si oppongono al neo-liberismo, esponendosi alla ferocia della polizia e alle lame fasciste”.

02 Luglio 2015 - 13:01

Political Zoo (foto scattata da Atene. da flickr  aesthetics of crisis)Se vogliamo considare le realtà rivoluzionarie e/o radicali italiane come un entità viva, potremmo facilmente identificarne alcune patologie e sintomi, e, con poca difficoltà, anche le cause. Ad esempio, per quelli che sono i momenti, i luoghi che attirano le nostre attenzioni, succede che l’emozione diventi moda, la moda accaparramento, l’accaparramento abitudine, una pessima abitudine.

E’ una delle malattie eterne e, forse, più insidiose fra quelle che si insediano nella mentalità dichi partecipa, a diverso titolo nelle lotte sociali: l’attesa del Messia.

L’attenzione per gli altri, come scrivevo tempo fa, è un oggetto scottante per chi è abituato a vedersi riflesso in ogni volto; non è un problema di egemonie, di interessi o quale altromotivo materiale, piuttosto è l’incapacità antropologica diaccettare che esista un Altro/a diverso e differente da se.

Ora, l’argomento che è di moda è quello della Grecia: chi si sbracciava per i riot del 2008, e piangeva per Alexis Grigoropulus e Pavlos Fyssas, facendo finta di non capire le caratteristiche di quelle realtà, guardando disattentamente le alternative, le risposte sociali di autogestione, oggi magari si spreca in lodi per il nuovo Mahdi di chi non ha mai smesso di sognare, in fondo al cuore, la scalata al potere, il seggio in (euro)parlamento come compromesso fra il fatto che sì, si fa la rivoluzione, ma intanto ora il capo sono io.

Per parlare di Grecia, innanzitutto bisognerebbe capirne le diversità fondamentali riguardo alla società, alle relazioni, alla cultura e alle condizioni materiali; estrapolando alcuni elementi fondamentali in sintesi, come il fatto che l’ibernamento sociale dovuto alla dittatura, ha impedito la costituzione di un qualsiasi movimento marxista moderno, o la sopravvivenza di un movimento Antiautoritario classico, in favore del movimento anarchico attuale, de facto egemone, cresciuto con Bookchin e la cultura dell’Autonomia tedesca, e che ha la capacità fondamentale di un grande senso pratico, a discapito delle circonvoluzioni mentali che invece qui abbondano.

Così come il distacco che c’è, fra l’individuo e lo stato greco, figlia dell’epoca della monarchia dei Wittelsbach, è stato il brodo di coltura favorevole alle molteplici forme di autogestione (cosciente o meno) che hanno dato accesso ai greci a servizi fondamentali, come l’Ospedale Generale di Kilkis, la fabbrica Viomehaniki Metaleftikí e così via.

Alla base, una rete capillare di comitati di quartiere, di municipalità e di territori, di assemblee che legavano gli attivitsti alle persone della comunità, attivando così quella società parallela e in competizione a quella statale, come si vede nel bel documentario “Mai Più Vivere Come Schiavi” di Yannis Youlountas.

Questa dualità tipica della Grecia, si vede anche nei partiti politici, che, Syriza compresa, non hanno praticamente base militante, vedendosi infatti dipendenti dalla decisamente volatile, approvazione dei votanti, che rapidamente spostano le percentuali dagli uni agli altri, poichè chi ancora va alle urna, supporta le soluzioni che concretamente possono essere utili alle proprie condizioni di vita, come si vede dal fatto che, poco tempo fa, Atene ha visto una marcia di 5000 persone a favore di una risoluzione positiva con le istituzioni europee.

Vedere nel referendum del 5 luglio una battaglia ideologica, e non un dilemma che riguarda le soluzioni in grado di calmierare o affondare, è una dimostrazione della nostra arroganza occidentalocentrica, che vede l’Apocalisse di Giovanni in qualsiasi confronto al mondo, potendo quindi identificare i “buoni” come i “nostri”, e i “cattivi” come gli “altri”.

E ora siamo arrivati al livello della farsa, con i Crowfounding per le banche greche, gli slogan nazionalistici che diventano “di libertà” e il supporto acritico ad una forza che, a parte il sensazionalismo mediatico, a cui è obbligata, se non vuole scomparire come il PASOK.

Fuori dalle aule universitarie, dagli studi televisivi, senza lo stipendio garantito e la sicurezza della carica politica, ci sono le donne e gli uomini che realmente si oppongono al neo-liberismo e alle ingiustizie, esponendosi alla ferocia della polizia, alle lame fasciste, agli arresti e ad una vita che si barcamena fra le serrande chiuse e i sorrisi di chi non si arrende.

Tsipras non ha ripulito Exarchia dall’eroina. Non ha occupato la casa dei rifugiati e la polivalente in Agios Dimitrios, non ha respinto la polizia in Calcidica, non ha fatto i doppi turni negli ambulatori autogestiti, non ha fatto serate di autofinanziamento, visto che i finanziamenti li prendeva da quando si associava alle proteste anti-austerity ma si dissociava dalla rivolta popolare, così come ora continua a non mantenere nessuna delle promesse che ha fatto in campagna elettorale, se non inglobare, statalizzando, le grandi iniziative autogestite e occupate di Atene, così da disinnescarne il potenziale rivoluzionario.

Le prime cose della lista, le facevano quei 50 compagni ancora chiusi nelle carceri di Tipo C, magari insieme ai migranti ancora bloccati nei lager in stile CIE, alle lavoratrici dei servizi riassunte grazie allo sciopero ad oltranza, di cui tutti, chi per convenienza, chi per miopia, pare si siano scordati.

Perché la lotta “anti-austerity”, i compagni e le compagne, la fanno da sempre.

Si chiama anticapitalismo.

Edward Vasa