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Opinioni / Cos’è lo statuto del ficcanaso e perché riguarda anche noi

Riceviamo e pubblichiamo un commento sul progetto di legge inglese che norma la raccolta di informazioni private dei sudditi della Corona riconoscendola come mezzo indispensabile per sicurezza e benessere dello Stato.

15 Dicembre 2016 - 12:26

di G.B.

One nation under cctv - opera di Bansky - foto da flickr @oogiboigAlla fine di novembre, Elisabetta II ha dato il Royal Assent alla proposta di legge parlamentare denominata Investigatory Power Act, subito rinominata dalla stampa Snooper’s Charter, cioè Statuto del Ficcanaso. La nuova legge sulle intercettazioni non ha visto una copertura particolare né significativa sulla stampa internazionale, eppure è un testo di legge che instaura un precedente preoccupante, e che andrebbe analizzato con particolare cautela proprio per la sua natura di legge ordinaria, e non emergenziale. Vediamo perché.

Innanzitutto, l’obiettivo della legge è quello di definire il confine tra intrusione della privacy legittima e illegittima, tenendo conto non solo della sicurezza nazionale, un argomento tipico della giustificazione dell’intrusione governativa nelle comunicazioni private tra cittadini, ma anche della stabilità economica del Regno Unito. All’interno dell’intercettazione legittima rientra anche quella dei bulk personal dataset, (BDP), ovvero masse di dati che provengono da strumenti diversi ma che sono stati conservati nello stesso database, che riguardano dati bancari, informazioni sui viaggi compiuti, scansioni del passaporto, documentazione medica, appartenenti sia a cittadini britannici che a stranieri. Questi stessi dati vengono conservati per un anno dagli operatori telefonici, che sono obbligati a fornirli, qualora richiesto. In questo modo si supera un possibile impasse come quello che sorse a proposito dell’iPhone dell’esecutore della strage di San Bernardino, che costrinse l’FBI a rivolgersi a una ditta israeliana.

In questo modo, si legalizza la pratica dell’hacking governativo, andando a normare, confermandola, una prassi ma senza apporvi ulteriori garanzie se non quella della previa innocenza del cittadino. Certo, c’è chi potrebbe argomentare che ottenere una regolamentazione è sempre un risultato a favore della democrazia, resta però il fatto che l’uso del diritto in questo modo non rappresenta una tutela del cittadino, perché, come già avveniva prima, continua ad essere spiato. Con questa legge lo stato riconosce la necessità dello stoccaggio sistematico delle informazioni relative ad abitudini, contatti, vizi privati della quasi totalità popolazione come mezzo indispensabile per la sicurezza del benessere dello stato e del capitale, cioè la prevenzione delle attività di sovversione. Il messaggio sotteso è inquietante: se non hai niente da nascondere allora non hai bisogno che la tua privacy venga salvaguardata. L’unica limitazione riguarda alcuni dati sensibili, la cui considerazione, viene però lasciata alla coscienza dell’autorità giudiziaria e a un riferimento pro forma ai diritti umani. Tra i dati sensibili rientrano, oltretutto, anche le dichiarazioni e identità degli informatori giornalistici, la tutela dei quali diventa materia non di libertà di stampa, ma di sicurezza nazionale.

Inoltre, là dove vige un trattato di mutua assistenza (leggi NATO), il Regno Unito ammette l’intercettazione di cittadini britannici da parte di agenzie europee o appartenenti al Patto Atlantico. E ancora: viene considerata illegittima l’intercettazione portata avanti da una relevant person, che, per definizione, ricopre una pubblica carica. Se lavori come dipendente della polizia postale, o per un’agenzia che appalta i propri servizi allo stato, non sei perseguibile, si potrebbe dire tra i denti che stanno solo obbedendo agli ordini – e in ogni caso la pena massima è un anno di reclusione.

Chi può emanare l’ingiunzione che rende legittima l’intercettazione? I capi dei servizi di intelligence, il direttore della National Crime Agency, i commissari di polizia delle Metropoli, i capi della polizia della Scozia e Irlanda del Nord, le autorità competenti europee e dei trattati di assistenza reciproca, i segretari di Stato (il Regno Unito ne ha due), i ministri scozzesi. L’approvazione da parte di una commissione è necessaria, ma non nel caso provenga dai Segretari di stato o dai ministri, o nei casi di urgenza (un po’ come il decreto legge, e anche in questo caso viene da sogghignare). In tutto questo, la separazione dei poteri viene accantonata, visto che si riconosce una legittima autorità giudiziaria a membri dell’esecutivo o cariche nominate dalla corona.

Ma non finisce qui: l’attività di intercettazioni può essere portata avanti non solo dalle forze di implementazione della legge, ma anche dalla OFCOM, l’agenzia “indipendente” delle telecomunicazioni inglese, e può avere luogo anche nelle prigioni e negli ospedali psichiatrici, nelle strutture di detenzione di immigrati: per queste ultime tre location il testo di legge non fa menzione dell’obbligo di mandato. Si chiude così il cerchio della sorveglianza e della punizione. Bentham sarebbe fiero di voi, ragazzi.
Andiamo ora alla parte più “succosa”: l’accesso, da parte di 48 organizzazioni statali, a tutta una serie di metadati riguardanti chiamate, messaggi vocali, conversazioni sui social media e sulle piattaforme di messaggistica, nonché la cronologia del browser in uso, che vengono immagazzinate dagli operatori telefonici per un anno per poterle rendere disponibili. Questo già accadeva in passato, sotto forma di prassi non legale, tuttavia la legge ha esteso la lista delle precedenti 24 organizzazioni che possono richiedere l’accesso ai dati – dunque al di fuori di un procedimento investigativo. La lista completa è qui.
In sostanza, le dichiarazioni del 2013 di Snowden, riguardanti la enorme quantità di dati in possesso dell’ NSA (National Surveillance Agency) che ci avevano rivelato la vastità del processo di sorveglianza, sono ora parte del diritto inglese, giustificate e incontestabili – nonostante varie ONG britanniche e non abbiano già sottoposto il testo alla Corte Internazionale dei Diritti Umani.