Culture

Opinioni / Bill Ayers e Bernardine Dohrn,
dai Weather Underground a oggi [video]

Pubblichiamo l’intervista raccolta da Commonware ai due “Weathermen” ospitati a Vag61 lo scorso novembre, insieme al video del dibattito tenutosi nello spazio autogestito.

08 Dicembre 2016 - 14:20

foto Vag61Sabato 19 novembre Bill Ayers e Bernardine Dohrn – due fra i fondatori del movimento di lotta clandestino “Weather Underground”, nato dopo il 1968 negli Stati Uniti sulla scia della profonda spaccatura che si verificò all’interno della società americana con l’inizio della guerra in Vietnam – hanno fatto una tappa del loro tour italiano a Vag61, per parlare del libro “Fugitive Days” (l’autobiografia di Ayers, che racconta la storia dei Weathermen) e discutere della situazione politica contemporanea negli Stati Uniti. In quell’occasione i due militanti hanno rilasciato una bella intervista alla rivista Commonware – che ripubblichiamo qui con piacere – ripercorrendo la storia del loro percorso politico, e successivamente hanno tenuto un dibattito nello spazio autogestito di via Paolo Fabbri – di cui pubblichiamo la registrazione video – durante il quale si sono confrontati con il pubblico insieme a Franco Berardi “Bifo”, principalmente sull’attualità.

> Il video dell’incontro a Vag61:

 

> L’intervista della redazione di Commonware:

Vivere underground

Il libro è autocritico ma non pentito, a partire da questo, quali sono stati secondo voi gli aspetti più interessanti e significativi dei Weather Underground, e quali i vostri limiti?

BILL: Sono d’accordo, il libro è critico ma non pentito. Anche se siamo tristi per quello che abbiamo perso, per il nostro amico David Gilbert che è ancora in carcere e per gli altri prigionieri politici, per i compagni morti in un’esplosione, quando i media negli Stati Uniti ci chiedono di pentirci, ci stanno chiedendo di rinnegare la nostra lotta contro questo mostro genocida che stava uccidendo 6mila persone a settimana in Vietnam. Non lo rinneghiamo. Vogliono che rinneghiamo le bombe nelle stazioni di polizia quando i neri venivano assassinati quotidianamente. Non lo rinneghiamo. Quello che rinneghiamo, se rinneghiamo qualcosa, su un livello politico, è che per un abbastanza breve ma decisivo periodo di tempo siamo stati dogmatici, settari, moralisti, era distruttivo e lo abbiamo imparato. Abbiamo imparato a dubitare, ad agire e poi dubitare. Non solo ad agire ma ad agire e poi ripensare a ciò che avevamo fatto. Ma non rinneghiamo ciò che il sistema vuole che rinneghiamo, l’esserci scagliati contro la guerra e il razzismo con ogni fibra di noi stessi.

BERNARDINE: Il movimento contro la guerra era enorme e trovò forza anche nei veterani che tornavano dal Vietnam. Non si può sottostimarne il ruolo profondamente importante nella costruzione del movimento contro la guerra. Il movimento dei neri è stato da subito contro la guerra. Muhammad Ali, il Southern Student Non-violent Coordinating Committee, il movimento per i diritti civili e Martin Luther King hanno preso posizione contro la guerra. Il nostro contributo specifico al movimento era l’idea che i bianchi avessero la responsabilità di stare al fianco del movimento dei neri, di interrompere il programma del governo che noi pensavamo, e adesso sappiamo, fosse un piano dell’FBI di J. Edgar Hoover e del Presidente per assassinare e criminalizzare i militanti neri. E io penso che insistere sulla responsabilità dei bianchi nel liberarsi dal suprematismo bianco, per essere umani e rivoluzionari era un ruolo specifico che ci siamo assunti. Come ha detto Bill, abbiamo insistito sull’azione ma eravamo più lenti nel riflettere, eppure era importante agire e alzare la posta per quella che continuava a essere una guerra contro il popolo vietnamita, anche quando la maggior parte degli americani sono diventati contrari alla guerra e volevano che finisse è continuata per altri cinque anni.

foto Vag61Pensate che le vostre biografie siano rappresentative di quella generazione?

BERNARDINE: Non possiamo parlare per gli altri. Eravamo politicamente molto radicali, ma nello stesso momento c’era anche un vasto movimento culturale, una disaffezione dei giovani alla vita per cui erano stati cresciuti ed educati, per i lavori senza senso per campare e per fare soldi, per il sogno americano se vogliamo. Una cosa che ci è chiara è che quando la libertà è nell’aria è contagiosa, il movimento dei neri è stato il primo ed è stato contagioso: altre persone volevano la libertà. Allora c’è stato un movimento contro la guerra, un movimento delle donne, un movimento per i diritti dei gay, un movimento per l’autosussistenza alimentare, un movimento per la salute delle donne, che si sono mossi simultaneamente e si sono arricchiti a vicenda, pur essendo diversi fra loro.

C’è una forte sensazione nel libro che la vostra fosse una “rivolta etica”, quanto siete andati al di là di questo per fare lavoro politico con altri gruppi e lotte negli Stati Uniti in quel periodo?

BERNARDINE: Il movimento dei neri si è separato dai bianchi in quel periodo, non era facile e non era quello che volevamo, volevamo essere con loro, lavorare con loro, volevamo fare riunioni insieme, arricchirci della loro saggezza e intelligenza, volevamo imparare da loro. Separarci fu molto doloroso e difficile, in quegli anni quando io ero a capo dell’SDS, le organizzazioni degli studenti neri e chicanos stavano crescendo nelle università, il compito era di sostenere anche quelle lotte. E c’era una tendenza maoista nel movimento studentesco americano, come in tutto il mondo, che sosteneva che gli studenti dovessero lasciare l’università ed entrare a far parte delle organizzazioni operaie. Molti hanno imparato a far parte delle lotte che erano già in corso, per esempio quelle dei lavoratori nei campus che chiedevano un giusto salario, molte delle università più grandi erano circondate dai quartieri poveri dei neri che non potevano usare le risorse del campus: non potevano entrare nelle aule universitarie, nelle palestre, ecc., erano considerati una minaccia. In molti casi l’idea di aprire l’università invece di lasciarla chiusa e accessibile solo agli studenti è diventato un argomento molto potente e uno strumento per mobilitarsi con la comunità. Molti studenti dell’SDS dopo sono andati a fare lavoro politico nei quartieri poveri in tutto il paese. Hanno provato a partecipare alle lotte con la gente del quartiere, riconoscendo le lotte delle donne, le lotte sul welfare anche infantile, le lotte per la casa, per i servizi sanitari, le lotte del lavoro.

BILL: Altre persone sono andate in fabbrica o in campagna per fare organizzazione. Ma quando noi siamo andati underground, in clandestinità, uno dei vantaggi nascosti fu che ci trovammo a vivere ai margini della società. Nei quartieri poveri, in posti dove dato il nostro background non ci saremmo mai trasferiti. Bernardine si è trovata a lavorare come donna delle pulizie, come cameriera, e io mi sono trovato a lavorare nelle cucine e al porto. Improvvisamente, per 15 anni, ci siamo trovati con amici che non avremmo mai conosciuto se non fossimo andati underground, in clandestinità, abbiamo preso parte a lotte in cui forse non saremmo mai stati coinvolti, ma che ora erano parte di una vita a cui provavamo a dare un senso: pur consapevoli che eravamo presi in una lotta mortale con la macchina della guerra, con la polizia e con l’FBI, allo stesso tempo vivevamo le nostre vite clandestine, le nostre vite underground. Ho lavorato nei porti per molto tempo ed ero sempre nella stanza del sindacato dove quotidianamente sceglievano i lavoratori, dovevamo essere là ogni mattina verso le 5-6 per provare a lavorare quel giorno. Parlavo, bevevo caffè e fumavo con altre persone, e una delle cose divertenti che mi è successa era che i comunisti mi chiedevano sempre di andare alle loro riunioni ma io dovevo rifiutare e loro pensavano “questo lavoratore sembra uno che ha coscienza, perché non viene mai alle nostre riunioni?”. Ero parte del tessuto sociale, non ero in clandestinità in modo isolato ma allo stesso tempo ovviamente non potevo partecipare direttamente a questo tipo di cose politiche.

BERNARDINE: Una delle cose che abbiamo scoperto mentre eravamo underground, in clandestinità, era che c’erano molti underground, vi ci siamo imbattuti costantemente, c’erano renitenti alla leva, che avevano documenti falsi, c’erano moltissimi disertori dell’esercito, che stavano provando a vivere senza essere arrestati, c’erano donne e gay che stavano scappando dall’oppressione delle zone rurali, andando sulle coste e provando a vivere una vita diversa con nomi diversi. C’era una rete underground, una rete clandestina quindi, era strano, perché non esiste un posto underground, ma quando tu sei underground incontri altre persone che sono underground.

BILL: Incontri tutti i tipi di criminali, anche la mafia. Una volta stavo aspettando una telefonata di Bernardine, ero a un telefono a gettoni ad aspettare la telefonata, ed era un telefono perfetto perché si trovava nella cantina di un ristorante, stavo aspettando e improvvisamente sono apparsi due uomini della mafia: stavano aspettando anche loro una chiamata. Mi spaventai parecchio, ma a tutti serve un “telefono perfetto”…

foto Vag61Considerando il ruolo importante delle donne nei Weather Underground, e anche le critiche femministe dei rapporti di genere dentro l’organizzazione, qual era la situazione al vostro interno, e quali problemi emersero?

BERNARDINE: In quel periodo c’erano molte divisioni su diversi temi, il movimento delle donne, il movimento dei gay, i neri e i bianchi separati. Mi sentivo femminista, ho partecipato a gruppi di autocoscienza femminile, presi parte alla protesta delle donne dentro l’Sds, ma allo stesso tempo il mio femminismo era internazionalista, dal mio punto di vista quello che era importante era che le donne rivoluzionarie si assumessero la responsabilità per quello che il governo stava facendo, nel nostro nome, alle donne in tutto il mondo. C’erano scissioni e recriminazioni come se ci fosse una sola cosa da fare – adesso, guardando indietro, penso che c’erano molte cose giuste da fare e avremmo potuto vederci come parte di un movimento ampio e comune. Ma non successe.

BILL: Penso che le donne e gli uomini hanno avuto esperienze diverse ma stavano provando a ripensare tutto, a ripensare i rapporti, la sessualità, e mentre stavamo ripensando queste cose trascinavamo la vecchia società con noi. Mi sento fortunato per essere vissuto in un periodo in cui si poteva imparare: eravamo sempre sfidati a ripensare il già dato. Chi ci sfidava erano spesso i nostri amici più stretti, i nostri amanti, era anche doloroso ma in realtà quel dolore era necessario se volevi rompere con la stupidità in cui eri cresciuto. Il nostro atteggiamento verso il sesso, la politica e il modo di vivere e di far festa, verso i simboli e le cerimonie dicevano: tutto il vecchio sarà messo in dubbio, tutto il nuovo sarà provato. Eravamo davvero sperimentali, e ci siamo fatti male, ma abbiamo anche imparato qualcosa.

Quale fu il vostro rapporto con le Black Panthers?

BILL: Ci siamo alleati con le Black Panthers quando eravamo all’università, rapporti stretti e anche tensioni talvolta, e poi quando eravamo in clandestinità c’erano gruppi di rivoluzionari neri, il Black Liberation Army, che era una scissione delle Black Panthers, e ci siamo coordinati su vari progetti.

BERNARDINE: Bisogna ricordare che in quel periodo la politica dell’FBI è stata quella di assassinare i leader neri, di arrestarli e criminalizzarli, e di ostacolare, distruggere e vessare le organizzazioni bianche rivoluzionarie, ma di non assassinarci, anche se per 11 anni siamo vissuti avendo sulla testa un mandato di cattura che prevedeva potessero ucciderci. Fred Hampton, un nostro compagno stretto a Chicago, che era a capo delle Black Panthers là, è stato assassinato dalla polizia e dall’FBI nel cuore della notte. E questo in molti modi ci ha spinto più velocemente di quanto pensavamo alla clandestinità, abbiamo avuto questa sensazione di doverci opporre con i nostri corpi al potere che provava a distruggere le vite delle persone.

Che cosa è rimasto di quel tipo di rifiuto, delle vostre esperienze? Che cosa può insegnarci la vostra rivolta, oggi?

BERNARDINE: È troppo presto per dirlo, è stato un pezzo di una lunga serie di sollevazioni politiche in America. Qualche volta penso che sia glorificata dai militanti dell’epoca in un modo che mette pressione e ostacola i militanti di oggi che non sentono di avere lo stesso potere. Per un altro verso è demonizzata, ci hanno chiamato terroristi e figli di papà, egoisti e tante altre cose pazzesche. Ma fu un pezzo di un movimento globale. Ovviamente c’erano altre lotte di liberazione in tutto il mondo che ci hanno dato potere e impulso per affermare che gli Stati Uniti non dovrebbero essere esclusi dalla lotta rivoluzionaria – perché può succedere in tutto il mondo ma non nella madre patria dell’imperialismo? – e quindi ci sentivamo molto responsabili quando abbiamo provato a imitare quello che stava succedendo nelle lotte di liberazione in tutto il mondo, ma abbiamo preso molta forza e ispirazione anche da altre lotte.

BILL: Il problema è che se metti gli anni ’60 sotto una teca non c’è nessun esempio, ma se tu invece mostri che era un pezzo di una lunga serie di lotte possiamo vedere che c’erano le lotte degli anni ’30, lotte negli anni ’50, tutte le lotte nella prima parte del ’900 che hanno prodotto il movimento per i diritti civili, che non sono molto celebrate ma che sono anch’esse molto importanti. Quando la gente ha un cuscino sulla faccia e sta soffocando resiste, e quando resistiamo conquistiamo forza e speranza attraverso quella resistenza; la nostra resistenza è stata un momento nel ciclo delle lotte, non la romanticizziamo pensando che eravamo i migliori, in verità pensiamo gli anni ’60 siano stati un mito e un simbolo, ma spesso portati avanti da vecchi nostalgici. Noi non siamo nostalgici.

BERNARDINE: Oppure gli anni ’60 vengono mercificati e diventano un prodotto commerciale.

BILL: In generale è anche un modo per soffocare i giovani. Negli anni molte persone ci hanno detto “Accidenti, avrei voluto vivere negli anni ’60”, e noi diciamo “No, stai sbagliando”, come se avessimo avuto il sesso migliore, la musica migliore, i cortei più belli…

BERNARDINE: Sì, ma in effetti abbiamo avuto la miglior…

BILL: …il miglior sesso!

BERNARDINE: …musica.