In via Mascarella il ricordo dello studente e militante di Lotta continua ucciso dai Carabinieri durante le giornate del ’77. Diverse iniziative rinviate a causa del coronavirus. Le parole diffuse da CentroDoc “Lorusso-Giuliani” e Vag61, Cua, Hobo e Làbas.
Fiori, una bandiera di Lotta continua e il calore di militanti di diverse generazioni, stamattina in via Mascarella, per ricordare Francesco Lorusso a 43 anni dall’uccisione per mano dei Carabinieri durante le giornate del marzo ’77, proprio nel punto in cui cadde ferito a morte e che oggi è segnalato da una lapide sotto i portici (su cui qualcuno ha aggiunto le parole “poi però”, come si vede nella foto pubblicata in questa pagina).
A causa delle limitazioni imposte per il coronavirus, nei giorni scorsi diverse iniziative previste per l’anniversario della morte di Lorusso e del movimento del ’77 sono state rinviate. E’ il caso di due appuntamenti organizzati dal Centro di documentazione dei movimenti “Francesco Lorusso – Carlo Giuliani”, che ha comunque diffuso il contributo preparato per presentare gli incontri. Il comunicato comincia con la citazione di uno stralcio del documento che i compagni arrestati per i fatti del marzo ’77 lessero nell’aula del tribunale al processo dell’aprile 1978 (“Siamo colpevoli: di essere comunisti, di avere professato pubblicamente le nostre idee, di appartenere al movimento ’77, di non accettare alcun compromesso storico”) e così il CentroDoc spiega questa scelta: “Siamo partiti da quella testimonianza collettiva che rivendicava le ragioni di un Movimento e non si faceva intimorire dalle pratiche repressive dello Stato. Lo abbiamo fatto perché, a partire da quella stagione, prima con la legge Reale, poi con la legislazione d’emergenza, l’apparato repressivo si è sempre alimentato con logiche da ‘diritto penale del nemico’. Nella ‘Repubblica fondata sul lavoro’ i governi che si sono succeduti nel corso degli anni si sono sempre posti nei confronti del conflitto sociale quasi esclusivamente nei termini di una sua criminalizzazione. La superiorità della ragion di stato è sempre stata anteposta alle ragioni di chi combatteva lo sfruttamento sul lavoro, la mancanza di un reddito dignitoso, il diritto ad avere una casa, la privazione della libertà e della dignità. Introducendo norme che rinforzavano la legislazione emergenziale degli anni ’70 (in buona parte ancora in vigore), si è arrivati lentamente a un vero e proprio ‘stato di polizia’, supportato da pratiche repressive quotidiane fatte di soprusi, arbitrarietà e arroganza, rivolte in primo luogo contro gli oppositori sociali. Negli ultimi anni più di 20.000 procedimenti giudiziari (fatti di denunce, processi, condanne, carcere e provvedimenti speciali) sono stati rivolti contro le donne e gli uomini che hanno partecipato ai movimenti di trasformazione della società o a pratiche di lotta per la difesa ambientale e sociale nei territori o per contrastare le logiche di sfruttamento nei luoghi di lavoro. Inoltre, l’apparato repressivo si è affinato inasprendo le forme e gli strumenti di controllo, decretando nuove restrizioni liberticide, per arrivare alle attuali ‘leggi razziali’, derivate dai decreti Minniti e Salvini. La battaglia contro questo impianto di leggi ‘emergenziali’ deve essere fatta in tanti modi, sia a livello di critica politica sia facendo crescere una cultura ‘anti-giustizialista’, per questo abbiamo deciso di attraversare anche con questi temi le iniziative a ricordo di Francesco Lorusso e delle giornate del marzo ’77″. Con la diffusione delle immagini e delle parole del CentroDoc “Lorusso-Giuliani”, si affianca Vag61, “portiamo nel nostro cuore Francesco e parliamo dei conflitti sociali e della repressione di ieri e di oggi”.
Anche il Cua ha rimandato il festival in memoria di Lorusso che si sarebbe dovuto svolgere in questi giorni. Ha scritto il collettivo: “Che cosa significa sospendere un festival di questo tipo? Ce lo siamo domandato e continuiamo a farlo: la convinzione ferma è che la memoria di Francesco, studente di medicina ucciso l’11 marzo del 1977 dai carabinieri di Cossiga in via Mascarella, non può semplicemente rimanere assopita per via di questo clima. Come collettivo universitario portiamo il ricordo di Francesco in ogni iniziativa culturale e di memoria storica, in ogni momento di contestazione del presente, in ogni rito di sovversione collettiva, in ogni mattone che poggiamo e in ogni porta che tutte e tutti insieme apriamo. L’esercizio della memoria storica non è un palestra commemorativa ma uno slancio d’intenti che rinnoviamo e scriviamo con la convinzione che chi lotta lascia sia un ricordo che una responsabilità nel cuore delle tante e dei tanti che verranno. Per tutti questi motivi porteremo il ricordo di Francesco, ragazzo, studente e militante comunista rivoluzionario, proprio nelle stesse strade in cui venne ucciso 43 anni fa, amplificando il suo ricordo, lasciando impresso ciò che non deve e non può essere dimenticato. Francesco vive nel cuore di chi lotta”.
Questo, invece, quanto ha scritto Hobo: “Nessuna memoria condivisa, nessuna unità nazionale: per Francesco e per noi! Come ogni anno siamo sotto la lapide di Francesco Lorusso, studente ucciso l’11 marzo 1977 dalla polizia armata da Pci e Università. Ancora oggi, soprattutto ai tempi del virus, le ordinanze del governo e del Comune targate Pd, insistono sulla retorica dell’unità nazionale, del fare sacrifici per superare la crisi, imponendo in maniera schizofrenica la chiusura delle attività e vietando gli assembramenti ma senza prendere le misure adeguate per la tutela della nostra salute. Nella crisi sanitaria ed economica, ieri come oggi, non siamo tutti uguali: c’è chi specula e guadagna e chi ne paga i costi, chi con le sue politiche peggiora le condizioni di milioni di lavoratrici e precari e chi lotta per migliorare la propria vita. Per ribadire che non c’è nessuna memoria condivisa tra noi e chi comanda, che non accettiamo alcuna unità nazionale, questa mattina abbiamo rotto l’ordinanza ed abbiamo portato, con tutte le compagne e i compagni di Francesco, una corona sotto la lapide dello studente ucciso. Il governo non tutela e non tutelerà mai la nostra salute, solo esercitando la nostra libertà potremo farlo”.
Anche Làbas sui social ha sottolineato l’anniversario di oggi: “11 marzo 1977. Bologna. Quarantatre anni fa in via Mascarella Pier Francesco Lorusso, studente di Medicina e militante di Lotta Continua, veniva assassinato dai colpi di pistola di un carabiniere durante un corteo del movimento”.